-
L’esordio letterario del regista e attore teatrale Liv Ferracchiati, appena uscito in libreria col titolo Sarà solo la fine del mondo, è, tra molte altre cose, anche un’indagine serrata e sgomenta, surreale e tangibilissima, della maschilità.
-
In questo estratto, il protagonista transgender del romanzo indossa una speciale cosa da maschi, il binder, e si scopre pervaso da istinti aggressivi cui decide di non corrispondere.
-
Confidenziale e ritmicamente travolgente, la pirotecnica prosa di Ferracchiati è un ipnotico monologo punteggiato da esilaranti note a piè di pagina.
Chi sono io? Temo di averlo capito, Lettore.
Da qualche tempo guardo alcuni video in cui ci sono dei ragazzi che documentano mese dopo mese, a volte giorno dopo giorno, i loro cambiamenti fisici. Non ricordo nemmeno come sia capitato sui loro canali, ma ce ne sono un sacco su YouTube. Sono quasi tutti stranieri, quasi nessuno è italiano. Anche se non capisco perfettamente l’inglese riesco a seguire quello che dicono perché, da una parte, sento che abbiamo qualcosa in comune, e dall’altra ci sono parole o frasi chiave: «testosterone», «chest», «top surgery», «binder», «medical silicone prosthesis», «this is my voice after three months on T, this is my voice after six months on T» eccetera.
Etologia e Binder
Se si digita «FtM» nella barra di ricerca ne escono a migliaia.
Ma quanti sono?
FtM significherebbe Female to Male. Questa dicitura mi fa vomitare, Lettore. Indica la direzione del transito da Femmina a Maschio, in questo caso.
Le nomenclature sono utili forse agli etologi per classificare le specie animali e i loro comportamenti, vanno bene per i canidi, i felidi, gli elapidi, i lepidotteri, gli sfeniscidi. Capisco l’utilità e la praticità nella comunicazione, ma un po’ di buongusto, perdio. Preferirei che non si usassero sigle e preferirei essere definito un fascinoso esemplare di “maschio” transgender, anziché un FtM.
Scherzo sul fascinoso, mi guardo allo specchio e mi faccio ribrezzo.
In ogni caso, guardo questi video ossessivamente, per ore e ore, ne sono ipnotizzato. C’è qualcosa che mi attrae e che mi fa tirare un sospiro di sollievo.
Ho scoperto che esistono delle specie di canotte fascianti, chiamate binder, che appiattiscono il seno. Allora me ne sono fatte spedire un paio dalla Thailandia, non so perché le producano solo così lontano, ma questo è.
In estate fanno morire di caldo e dopo un po’ di ore che le porti ti manca il fiato, a volte ti viene pure mal di stomaco, ma ne vale la pena, perché allo specchio appari con un petto quasi piatto. Dico quasi perché, se non vuoi morire veramente, devi allentarla un po’. In più, con il tempo, si allargano, non ci si può fare niente e devi continuamente, come fosse un tic, prenderti la maglia tra due dita e sborsarla in avanti.
C’è da dire che da quando indosso queste canotte sono tutto sommato rinato, perché mi sembra quasi di poter star dritto e non ripiegato come un verme per non far vedere quei due orridi rigonfiamenti.
Aliene mammelle
Lettore, tu hai delle mammelle?
Io sì e le ho sempre sentite come se fossero masse tumorali pronte a uccidermi. Ho paura persino a sfiorarle, eppure sono sempre state sane, incredibilmente. La palpazione che consigliano, per me è impossibile.
Ho orrore, mi fanno male al solo pensiero di toccarle.
Sai quando qualche maschio, eterosessuale o omosessuale (perché l’ho sentito dire anche da qualche maschio omosessuale, che tu dici, perché?), si mette a dire che, se avesse le tette, starebbe sempre a toccarle?
Ecco, Lettore, ti garantisco di no. Ti assicuro, e a me piacciono moltissimo le tette, che con le mie è diverso. Non riesco a sfiorarle nemmeno con il pensiero. Il mio sistema nervoso centrale non le riconosce, le sente come oggetti estranei e pericolosi, una sorta di virus, insomma.
Fa partire gli anticorpi per combatterle.
In ogni caso, frequento questa scuola di teatro, studio regia, così ho convinto un po’ di gente che un tema interessante da trattare in un nuovo spettacolo potrebbe essere quello del transgenderismo. Parlo dell’importanza politica e sociale del tema, ma in realtà a me dell’importanza politica e sociale del tema interessa fino a un certo punto, ho bisogno di capirne di più per me. Devo esplorare quest’argomento che mi fa paura, perché, suppongo, altrimenti mi tramortirebbe. In alcuni momenti sono così vulnerabile, Lettore.
Io per primo so poco sul tema, ma i miei compagni di accademia ne sanno ancora meno. Allora riferisco le due o tre informazioni che ho appreso, ma con l’aria di chi ne sa. Ho coinvolto in questo progetto anche Sexy, le ho chiesto di fare una scena di sesso, scritta da me, con un biondino del mio anno. Lui doveva interpretare il protagonista: il ragazzo transgender in transizione. Quando l’hanno fatta, poi, la sera, abbiamo litigato.
Istinti sconosciuti
L’idea che la mia donna possa essere attratta da un ragazzo mi uccide.
Non è nemmeno tanto il tradimento, è che lui ha tutto quello che io non ho.
Ma cos’è che non ho?
Vado ad analizzare il biondino: occhi chiari, come i miei, altezza, come la mia, forse un po’ più basso, spalle, non larghissime direi, fianchi, non proprio stretti, capelli biondi, appunto. Sono furioso di gelosia per un tizio che, a tutti gli effetti, ha più cose in comune con me che differenze, ma questo è.
L’irrazionale mi domina.
Finite le prove, nel mio monolocale, Sexy mi fa: «Perché non parli?»
«Che devo dire?», rispondo aspro. «Che cos’hai», replica lei. «Niente», dico io.
«Non è vero», dice lei. Lungo silenzio.
«Ti piace fare quella scena, vero?» chiedo, sorprendendo per primo me stesso.
«Quale scena?», domanda lei per capire.
«Smettila», quasi ruggisco.
«Di quale scena parli?».
«Quella in cui uno a un certo punto ti mette su un tavolo». «L’hai scritta tu».
«Lo so».
«E mi hai scelta tu per questa parte».
«Lo so».
«E hai scelto lui per la parte del fidanzato transgender».
«Lo so».
«Quindi?».
«Cosa?».
«Cosa vuoi da me?».
«Ho capito che ti piace e che tu gli piaci».
«Dunque?».
«Ti piace?».
«A me no».
«Tu gli piaci».
«Può essere, quindi?».
«Vai a casa».
«Mi stai cacciando?».
Sì, la sto cacciando. Sono furioso, ferito, sulla difensiva. Voglio che sparisca dalla mia vista, forse dalla mia vita, deve andarsene. Iniziamo a litigare, violentemente. È probabile che lei sia attratta da lui, ma è anche probabile che non gliene freghi niente. Anch’io sono attratto da altre, ma lo reputo meno grave. Non per questioni di differenze tra uomo e donna, ma perché va a minare la mia autostima.
Il litigio degenera, gridiamo, la stringo in un angolo, lei mi provoca.
Avrei voglia di metterle le mani addosso. Capisco che potrei ammazzarla, lei è minuta, meno forte, ma sono accecato.
Provo a contenermi, ma le do una spinta. Leggera, non forte, inciampa nella gamba del letto. Cade tra l’armadio e il comodino.
Rischia di battere la testa. Io mi paralizzo.
Lei mi guarda confusa, non sa nemmeno perché stiamo litigando, e forse non lo so nemmeno io. Da un po’ di tempo litighiamo spesso, ma questa volta sono stato violento. È spaventoso, non sapevo di poterlo essere con lei.
Non sapevo di poter provare un istinto simile. Ho spinto la mia fidanzata e lei è caduta a terra. Potenzialmente le avrei potuto fare del male, ma c’è di più perché, in preda alla rabbia, ho desiderato colpirla.
L’avrei annientata per gelosia. L’avrei annientata perché mi sentivo impotente mentre mi provocava.
Quel tipo di uomo
Quello che mi manda fuori di testa è che menta, ma l’assurdo è che mente per me. Non avrebbe nascosto nulla se io non fossi stato morboso. Sarebbe stato come dire: «E mi piace il gelato al gusto di vaniglia». Invece io ne ho fatto una tragedia, non mi entra in testa che se le piace la vaniglia non significa che non le piaccia io. Sono fuori di me, ma il fatto che sia caduta e che abbia sfiorato uno spigolo con la tempia ha azzerato tutto. Vorrei chiederle scusa, ma la rabbia mi prende a cazzotti lo sterno.
«Scusa», le dico. «Ora vai via».
Lei non capisce che deve andare davvero, che lo dico per il suo bene, che la sto difendendo dalla mia idiozia.
Significava anche questo essere uomo? Sentire di essere più forti e avere paura di fare del male all’altro? Non poter esprimere i propri sentimenti se non così? Perché non pronunciavo le semplici parole: «Sono vulnerabile: in questo momento qualsiasi cosa mi ferisce. Non è colpa tua, scusami»?
Se mai fossi stato un uomo, io non volevo essere quel tipo di uomo.
L’esordio letterario del regista, drammaturgo e attore teatrale Liv Ferracchiati, appena uscito in libreria col titolo Sarà solo la fine del mondo, è, tra molte altre cose, anche un’indagine serrata e sgomenta, surreale e tangibilissima, della maschilità. In questo estratto, regalato ai lettori di Domani dalle edizioni Marsilio, il protagonista transgender del romanzo indossa una speciale cosa da maschi, il binder, e si scopre pervaso da istinti aggressivi cui decide di non corrispondere. Confidenziale e ritmicamente travolgente, la prosa di Ferracchiati è un ipnotico monologo punteggiato da esilaranti note a piè di pagina, che è un peccato non poter riprodurre nel formato del giornale.
© Riproduzione riservata