Le rilevazioni Ocse Pisa hanno suscitato sulla stampa una forte preoccupazione sul crollo delle competenze o sull’incapacità di insegnare la matematica a scuola. Ma si tratta di una lettura superficiale dei dati. Intanto perché questo tipo di analisi sono indicatori molto parziali che non possono essere usati a fondamento di una riflessione generale sulla qualità dell’insegnamento e dello studio
Il 5 dicembre scorso sono stati presentati i risultati dell’Indagine Ocse Pisa (Programme for International Student Assessment) svoltasi nel 2022 (qui i dati italiani, qui i dati internazionali e i report completi).
Dopo la loro presentazione la stampa italiana ha gridato all’allarme, con molti titoli che raccontavano di un crollo delle competenze o dell’incapacità di insegnare la matematica a scuola. Ma è veramente così? Come gruppo Dopolavoro Matematico ci siamo presi un po' di tempo per ragionare su quanto abbiamo letto sui giornali, sui social, e soprattutto su quanto effettivamente riportato nell’indagine.
La prima e comune opinione è di considerare con cautela quanto rappresentato: i test possono essere strumenti utili, ma vanno usati con prudenza. Molti sono i fattori che determinano gli esiti di questo genere di procedure d’indagine. I test dovrebbero essere considerati come dei sondaggi utili ma monodimensionali nella loro struttura.
Appare quindi non corretto utilizzare questi dati, che sono di fatto indicatori parziali, come fondamento di una riflessione generale sulla qualità dell’insegnamento e dello studio proposto dalle scuole italiane. Questa considerazione non prescinde dalla consapevolezza delle criticità presenti nella scuola italiana e non significa che il dato non sia importante, ma suggerisce forse di considerarlo in un’ottica diversa, senza diventare il presupposto per creare allarmi generalizzati, e alimentare narrazioni sbagliate basate su stereotipi che andrebbero decostruiti.
Ci riferiamo al dato più riproposto emerso dall’indagine: il gap di genere negli esiti dei test tra ragazzi e ragazze, che si aggira intorno al 4% (e non al 21% come abbiamo letto da più fonti: il punteggio medio delle ragazze è 461, quello dei ragazzi 482). Che senso ha porre la questione in termini di gap? E più importante ancora: esiste veramente questo gap o è una falsificazione, è un voler rappresentare necessariamente un fenomeno forzando i numeri?
Un elemento che sembra non essere preso in considerazione nella rilevazione dei dati è la composizione della popolazione studentesca scorporata per genere dentro i diversi indirizzi di scuola superiore. Il numero di ragazze iscritte negli indirizzi classico ed artistico sono superiore all’indirizzo matematico. Quindi sarebbe più opportuno, forse scontato, affermare che negli indirizzi dei licei classico e artistico lo studio della matematica è meno approfondito rispetto alle stesse classi del liceo scientifico.
Invece quello che viene detto dal report del test Pisa e riportato dai giornali è che a parità di formazione, cosa non possibile né vera nella realtà, le ragazze ottengono risultati peggiori. Potremmo definire questo un classico paradosso di Simpson. Cosa dice il paradosso? Che i dati, soprattutto quando dipendono da molte variabili correlate tra loro, sembrano dire cose diverse a seconda di come vengono aggregati.
Sarebbe stato più esatto, infatti, riproporre i dati sugli esiti disaggregati per indirizzo scolastico e non mettere tutto assieme, in altre parole avrebbero dovuto pesare le percentuali per indirizzo, e questo dipende dalla metodologia usata per costruire la lettura dei dati.
Questo ragionamento ovviamente non esclude il fatto che sul piano istituzionale la grande differenza in termini di genere tra gli iscritti nei vari indirizzi non sia una questione rilevante e da affrontare nella sua complessità.
Essendo super aggregati i dati Ocse Pisa non permettono di fare misure sui fenomeni sociali che determinano il presunto gender gap. La performance è un esito, ma alcune fra le variabili che contribuiscono a determinarlo sono indipendenti dal rapporto tra studenti e matematica, come il senso di autoefficacia, la motivazione, ecc.; e quindi per essere rilevate con strumenti statistici dovrebbe essere fatto su studi un po' diversi dalla large survey. Ci sembra fondamentale che ci siano entrambi gli strumenti di indagine perché altrimenti i risultati sono ciechi rispetto alle cause da indagare.
Queste riflessioni ci portano ad affermare che i dati vanno letti con attenzione, e saputi anche leggere e contestualizzare, bisogna tener presente il contesto socio-culturale e educativo. I sistemi educativi e le pratiche culturali variano ampiamente tra i paesi, e generalizzare i risultati senza tenerne conto può portare a interpretazioni errate. Ad esempio, la scarsa dimestichezza italiana con i test potrebbe influenzare i risultati.
Questa scarsa dimestichezza e competenza nella lettura dei dati nel giornalismo italiano, per come è stata rappresentata appunto l’indagine, è un tema importante a cui bisognerebbe dare la giusta attenzione, rappresentando l’epifania di un fenomeno e al tempo stesso la sua fenomenologia. La correlazione tra la mancanza di conoscenza matematica e l'incapacità di leggere i dati è evidente. La promozione di una cultura matematica potrebbe contribuire a colmare questa lacuna, permettendo una comprensione più approfondita dei dati e delle sfide educative attuali. Questo deficit potrebbe riflettersi nella narrazione dei media e nelle decisioni politiche. La promozione di una cultura matematica diffusa potrebbe contribuire a migliorare la comprensione dei dati e a prendere decisioni più informate. Su questo punto di riflessione, come gruppo Dopolavoro Matematico, siamo impegnati da sempre, dedicando moltissima parte delle nostre attività alla promozione e divulgazione del pensiero matematico inteso come produttivo di pensiero critico e dunque produttivo di libertà.
Un altro elemento che ci sembra interessante rilevare è che questa indagine per come ci rappresenta gli esiti e per come vengono divulgati possa ulteriormente alimentare un altro luogo comune: il dualismo conflittuale tra cultura classica e cultura scientifica. Un conflitto che ha origini lontane ma che è privo di fondamento, perché entrambe le aree di studio offrono competenze importanti proprio ai fini della costruzione del pensiero e una narrazione tossica che le mette in opposizione può soltanto danneggiare il sistema educativo nel suo complesso.
In conclusione ribadendo l’invito alla cautela nel leggere i dati riteniamo che l’approccio della complessità dei fenomeni sia da privilegiare perché mette in luce tutti i diversi aspetti cercando di portarli a sintesi, offrendo uno sguardo più attento alla realtà in grado di porsi sfide e obiettivi necessari ed efficaci per il futuro.
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