La prima volta, a Londra, Katie Ledecky da Washington aveva 15 anni e vinse subito l’oro negli 800 stile libero. Nel tempo è arrivata a dieci medaglie olimpiche e ventisei mondiali, una fuoriserie. Per dieci anni ha dominato la sua specialità preferita: tre volte campionessa olimpica, sei volte campionessa mondiale, unica nuotatrice ad aver vinto la stessa gara in sei mondiali consecutivi. Praticamente imbattibile dal 2012 al 2016 nei 200, 400, 800 e 1500 stile, imbattuta negli 800 addirittura dal 2010, finché all’inizio di quest’anno ai Southern Zone Senior Championships ha trovato la canadese Summer McIntosh, che quando lei vinceva il primo oro non andava ancora alle elementari: è nata nel 2006, tra i Giochi di Atene e quelli di Pechino.

Altro talento precoce: a 17 anni McIntosh è alla sua seconda Olimpiade, ma a casa sua arriva ultima: sua madre, Jill Horstead, gareggiò a Los Angeles nei 200 farfalla, qualificandosi per la finale; sua sorella Brooke ha vinto la medaglia di bronzo alle Olimpiadi invernali giovanili di Losanna 2020, nel pattinaggio artistico di coppia. Nei 400 stile - oggi – ci saranno tutte e due. Anzi tutte e tre: l’australiana Ariarne Timus è nata la settimana prima dei Giochi di Sydney 2000, a Londra aveva 12 anni. La prima volta ha battuto Ledecky ai Mondiali del 2019, superandola negli ultimi 50 metri di gara e diventando la seconda atleta più veloce della storia. A Tokyo, tre anni fa, Titmus ha spinto ancora negli ultimi 50 metri e ha battuto Ledecky: 3’56”69 contro 3’57”36. Da allora si superano da una vasca all’altra del mondo, sul filo dei centesimi.

EPA

Di corsa

Il tempo è l’ossessione dello sport da quando l’uomo ha imparato a misurarlo. Dopo quattro anni di allenamenti e di vita dedicata all’ossessione dei Giochi olimpici, può capitare di perdere per un decimo, un centesimo, addirittura un millesimo. Misurare con la maggior precisione possibile i risultati è parte dello sport praticamente da quando esiste, o meglio da quando si è capito come calcolare il tempo. Durante la prima edizione dei Giochi moderni, nel 1896 ad Atene, mentre gli atleti correvano la maratona, un giudice li superò in bicicletta, per portare al traguardo il cronometro con cui stabilire il tempo del vincitore: è così che sappiamo che il greco Spyridon Louis, probabilmente un pastore, impiegò 2 ore 58 minuti e 15 secondi per coprire i 40 chilometri dal ponte di Maratona allo stadio Panathinako di Atene (la lunghezza ufficiale di 42,195 km per la maratona fu stabilita solo nel 1921). Quanto ci mise Fidippide per annunciare la vittoria riportata dagli Ateniesi sui Persiani purtroppo non lo sapremo mai.

Per i Greci nelle gare atletiche contava la vittoria, non il tempo: era l'occhio del giudice, non il cronometro, a decretare il trionfo. Potete immaginare le contestazioni. Che comunque non sono mancate neanche quando i modi di misurare il tempo si sono affinati: dalla clessidra agli orologi solari, ad acqua, a sabbia, a quello meccanico, elettronico, fino all'orologio atomico, con una precisione sempre maggiore. Fu soltanto a Stoccolma, nel 1912, che i tempi dell’atletica iniziarono a essere calcolati in decimi di secondo.

ANSA

In bicicletta

La ricerca della perfezione nella misurazione del tempo, da Galileo a Newton fino ai giorni nostri, non è diversa dalla ricerca della perfezione che muove gli atleti di qualsiasi disciplina. Ce n’è una – si corre proprio oggi su biciclette avveniristiche con materiali che inseguono l’aerodinamicità più estrema – che si chiama proprio così, cronometro: letteralmente, misurazione del tempo.

La ricerca della perfezione ammette che ci possa essere qualcuno più perfetto di te: nel nuoto, nella corsa, nel ciclismo. «Ho cercato di limare tutto, un giorno mi sono concesso due birre, il massimo dello sgarro», ha raccontato Filippo Ganna, 28 anni da due giorni, uno che contro il tempo corre da quando era un ragazzino: è stato due volte campione del mondo, e nel 2022, in velodromo, ha stabilito il record dell’ora, correndo 56,792 chilometri in 60 minuti. A Tokyo, tre anni fa, la cronometro gli riservò una delusione (quinto a 5 secondi dall’argento), poi ampiamente compensata dall’oro nell’Inseguimento a squadre con i suoi fratelli di pista. Oggi, in quell’esercizio crudele contro il tempo, Ganna si gioca la prima delle sue carte olimpiche. «Non voglio pensare agli altri, ma solamente a me stesso. Devo essere il miglior Filippo Ganna di sempre, nella miglior giornata di sempre, con il miglior supporto di sempre. Solo dopo il traguardo, però, potrò sapere se si potrà festeggiare oppure no». Nella cronometro non esistono strategie né tattiche: l’unica è andare forte, più forte possibile, e sperare che gli altri siano andati più piano. E quando tagli il traguardo non alzi le braccia al cielo, ma ti accasci sul manubrio, senza più respiro né forze. Sperimentando sulla tua pelle tutto il dolore che fa il tempo quando passa.

© Riproduzione riservata