Cinquant’anni fa il declino industriale cambiò il volto del Nordest dell’Inghilterra, modificandone per sempre il paesaggio e colpendo duramente le sue comunità: diverse migliaia di persone, soprattutto minatori, operai e lavoratori degli impianti siderurgici e della cantieristica navale, persero l’impiego, molto spesso anche dall’oggi al domani, in qualche caso dopo averlo appreso dalla televisione. Il Nordest è stato il più importante distretto industrializzato del Paese ma anche il primo ad essere smantellato per gli effetti delle politiche neoliberiste.

Era un mondo di rumori stridenti, di metallo fuso, di volti scuriti dalla fatica e dai vapori degli altoforni che nonostante lo scorrere degli anni sopravvive, nitido, negli scatti del fotografo e disegnatore inglese Ian Macdonald, al cui lavoro di “valorizzazione della memoria” il Sunderland Museum and Winter Gardens di Sunderland dedica la bella retrospettiva “Fixing Time”, visitabile fino al 4 gennaio 2025.

Altiforni e cantieri navali

Le fotografie in bianco e nero, di grande formato e di notevole impatto visivo ed emotivo, sono il frutto di un lavoro realizzato negli ultimi cinquant’anni o poco più nell’area del Teesside da quello che è considerato tra i più importanti fotografi britannici viventi. I soggetti sono uomini e donne della classe operaia e gli oggetti, ma soggetti anch’essi, sono gli altoforni e i cantieri navali di questa parte d’Inghilterra, immortalati nella loro età dell’oro e negli ultimi istanti prima della fine. Non è un caso che una delle (tante) foto significative esposte sia End of a era, “Fine di un’era”, che raffigura una serie di oggetti e strumenti un tempo d’uso quotidiano in una grande fabbrica che non esiste più: tenaglie di vari formati, una foto dei fondatori della società appesa alla parete, un quadro elettrico, cavi, pezzi di macchinari e altri attrezzi obsoleti.

Passata dall’essere sinonimo di industria a derelitto piegato dalle ferite infertegli dal processo di deindustrializzazione, l’area del Teesside ha avuto per oltre quarant’anni uno skyline delineato dall’enorme altoforno Redcar (demolito nel 2022) che rappresenta il focus di “Fixing Time” insieme con il cantiere navale Smith’s Dock.

Il fumo delle ciminiere

Edifici giganti e lucenti dalle cui ciminiere fuoriescono nuvole di fumo, grandi navi nelle cui pance metalliche si muovono uomini piccolissimi, scintille prodotte dalla saldatura che esplodono come fuochi d’artificio e poi tubi, containers, acqua e terra così scura da sembrare pece, dalla quale le scavatrici hanno strappato qualsiasi forma di vita.

Gli operai, con le loro tute annerite e i caschi di protezione, sono le uniche presenze vive.

Hanno i volti sfigurati dal calore, segnati dalla fatica, macchiati dal carbone, qualcuno si è messo in posa, qualcun altro si è fatto ritrarre mentre lavora sodo, altri in un momento di pausa.

Ricorda un dipinto di Edward Hopper il gruppetto di donne, cuoche e cameriere, seduto a un tavolo della mensa. Sono in cinque, hanno appena finito il turno e stanno discorrendo e ridendo davanti a una tazza di tea; ad illuminarne i volti e i movimenti è una grande vetrata che ricorda quelle dei diners americani ma dalla quale si intravedono le infernali sagome dei carroponti e dell’altoforno che troneggiano all’esterno.

Chi è MacDonald

Nativo di Middlesbrough, nel Teesside, ma da tempo spostatosi nello Yorkshire, Ian Macdonald si è distinto dalla gran parte dei fotografi documentaristici britannici (categoria in cui viene fatto rientrare suo malgrado, forse per aver lavorato nel rivoluzionario collettivo Amber con maestri come Chris Killip, Graham Smith e altri) per l’eccezionale uso delle tecniche di stampa in bianco e nero e per le bellissime composizioni dei suoi scatti.

La mostra di Sunderland propone anche numerosi ritratti della serie Eton, realizzati nel 2006 al termine di una residenza artistica nel prestigioso college inglese, insieme a diversi disegni a carboncino in stile espressionista, rilevanti non solo per la loro intensità ma anche perché rappresentano spesso i prodromi dei progetti fotografici.

«Quando ho fotografato il cantiere navale ne stavano annunciando la chiusura», ha raccontato in una intervista al Guardian: «E il direttore della società lo aveva appreso dalla tv. Siamo arrivati ad agosto e siamo rimasti lì fino alla chiusura del cantiere, il 27 febbraio 1987: è solo così che ho potuto captare il cambiamento e decifrare l’essenza di quel luogo. Mi interessa molto ridare dignità a posti come questi, dove mio padre e mio nonno hanno lavorato come operai per una vita intera».

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