Saša Stanišić è un autore bosniaco-tedesco. È nato nel 1978 e nel suo primo libro tradotto anche in italiano, Origini, racconta la sua fuga, prima solo con la madre, poi anche col padre, verso la Germania, dove si è ricostruito un’esistenza.

Nel suo libro si parla delle origini di ciascuno e della storia della sua vita. Nel 2021 Keller ha tradotto Origini in italiano: come è stato accolto? Le origini di una persona sono un concetto universale?

Il bello di un libro che si occupa del tema delle origini è che quasi tutti a un certo punto della vita si chiedono “chi sono, e cosa mi ha reso la persona che sono?” Anche i luoghi acquisiscono importanza in questo contesto: “Perché vivo dove vivo?” e anche “Cosa voglio dalla mia vita qui dove abito?”

Quali sono gli elementi che compongono le origini di una persona?

Abbiamo tutti le nostre risposte a queste domande e hanno a che fare con gli aspetti importanti che ci caratterizzano: quelli genetici, quelli sociali, quelli finanziari e anche con i doveri, le imposizioni, gli incarichi del passato e del presente. Quindi le origini, come le intendo io, sono un mosaico di tutte queste influenze, queste strade, queste decisioni (che abbiamo preso noi e che hanno preso altri) o anche semplicemente delle coincidenze che, com’è successo per esempio nel mio caso, hanno portato al fatto che stiamo avendo questa conversazione esattamente ora. Le origini sono e possono essere molte cose diverse, ed è meraviglioso.

Quindi non è solo questione di dove si nasce.

La mia utopia è che riusciremo a vederci tutti in questa maniera: complessi come siamo e non guardandoci per prima cosa nello specchio della nostra appartenenza nazionale. Persone che sono la somma dei nostri talenti e sogni, dei nostri sentimenti e della nostra morale. 

Ha avuto bisogno del libro per mettere un punto alla sua storia e avere un posto dove conservarla?

La realizzazione di Origini ha diverse motivazioni differenti. Una di queste è il mio tentativo di fare i conti in maniera sincera con la mia biografia e la biografia della mia famiglia, e quindi anche con la nostra fuga e con la nostra vita da rifugiati in Germania

Quando ha ritenuto fosse arrivato il momento giusto per scrivere Origini?  

Il lavoro è cominciato in un periodo in cui le origini venivano utilizzate ovunque come una categoria politica. Delle origini si abusava anche per opprimere le minoranze, diffondere stupidaggini sul darwinismo sociale e aumentare in maniera generica il valore di “radici” che in realtà sono solo delle coincidenze: per alcuni rappresentano un privilegio e per altri una maledizione.

Come l’ha scritto?

Su questo volevo dire la mia: sulla politica migratoria restrittiva, come la viviamo ovunque in Europa e anche nel resto del mondo, perché tanto di quel che tratto nel libro – identità, confini, esclusione – continua a giocare un ruolo nelle discussioni di oggi e nella vita dei migranti. Alcune parti del testo sono quindi il mio contributo cosciente sotto forma narrativa a questo argomento.

In un’intervista del 2020 ragionava degli elementi che determinano il successo nel processo di integrazione dei migranti. Cosa pensa del fatto che oggi in alcuni casi persino a persone in fuga venga vietato di raggiungere i paesi dove sono dirette e venga esclusa a priori la possibilità di un’integrazione ordinata?

Il problema di fondo (non solo della vita dei rifugiati, ma in generale) è la distribuzione impari dei beni pubblici così come la strada più difficile per raggiungere i settori importanti della società. Le migranti e i migranti provenienti dai paesi extra-Ue e prima di tutti i rifugiati in Germania e nell’Unione europea hanno molta più difficoltà ad accedere a istruzione e lavoro come anche ad aspirare a uno spazio abitativo sufficiente e un contesto di vita salutare e privo di paura. Un concetto di “pari opportunità” che in fondo non è null’altro che razzismo strutturale, penalizzazione a causa di passaporto, colore della pelle o appartenenza religiosa. In Germania la gestione dei rifugiati in molti posti è una catastrofe, la legge di naturalizzazione obsoleta, i respingimenti disumani e tutto questo in un paese che vorrebbe essere un paese d’immigrazione.

Oggi è più facile vivere da straniero in un altro paese rispetto agli anni in cui lei si è trasferito in Germania?

È difficile fare confronti, perché ciascuno e ciascuna di noi porta una sua storia nel nuovo paese, con i propri problemi, aspirazioni e premesse per risolvere quei problemi e realizzare quelle aspirazioni. I paesi in questo contesto in ogni caso sono molto statici, alcune cose magari sono migliorate (in Germania c’è stata una reazione veloce ed efficace nel caso dei rifugiati ucraini, di recente), altre sono rimaste restrittive e molto lontane da una legge moderna sull’immigrazione.

Oggi il tedesco è la sua lingua madre?

Da scrittore posso concepire le mie storie in maniera precisa e seguendo idee chiare perché ormai è il tedesco la mia lingua “più forte”. Ma anche la mia prima lingua è importante, infatti è addirittura come se in me esistesse un ascoltatore e un lettore che reagisce in maniera molto più emozionale alla prima lingua che al tedesco o anche all’inglese. Per esempio, non mi hanno mai toccato le canzoni di interpreti tedeschi, mentre ascoltando tante canzoni dell’ex Jugoslavia potrei cominciare a piangere appena iniziano. 

Ha mai pensato di scrivere un libro in bosniaco?

Con la mia famiglia e mio figlio parlo spesso bosniaco. Sono proprio le conversazioni con mio figlio a regalarmi grande gioia. Accompagnare il suo apprendimento e il suo bilinguismo, il suo concepire il mondo di due culture già di per sé così diverse nei due paesi è un grande regalo per me, come padre (ma anche come scrittore). 

Cosa significano la lingua madre e le lingue che si apprendono nel corso della vita per la costruzione delle proprie origini?

Per alcuni valgono di più, per altri di meno. Bisogna anche chiedersi cosa si vuole e si può raggiungere (ancora) con la prima lingua? È qualcosa di più di un semplice strumento comunicativo? Serve anche per la vita quotidiana, per il lavoro per esempio? Credo che la maggior parte delle persone si definisca per una gran parte in base alla lingua o alle lingue che parlano. Più sono, meglio è. Ma le persone vengono anche considerate – a seconda delle lingue – eterodirette e definite da cliché che gli altri collegano a quelle lingue. In Germania, crescere in una casa in cui si parla francese come seconda lingua ha un valore molto più alto agli occhi dei tedeschi che imparare una lingua dei Balcani. Anche qui, quindi, (purtroppo) i pregiudizi definiscono chi (credono che) siamo.

In un’intervista ha detto che il paese in cui è cresciuto non significa più tanto per lei da quando è morta sua nonna (una delle figure principali nel romanzo, ndr). Quanta parte dei nostri ricordi dipende dalle persone, quanta dai luoghi?

Cosa possono mai essere i luoghi senza le persone che amiamo? Per me solo luoghi. Coperti magari di ricordi, che però creiamo giorno per giorno anche altrove. Quando le persone che hanno plasmato quel luogo, lo hanno reso “importante” non ci sono più, i luoghi per me perdono la loro magia. A meno che non si tratti di zone o città meravigliose in termini paesaggistici o architettonici. È chiaro che in quel caso si possono passare belle giornate anche da “estranei”.

All’epoca, lei è fuggito dalla guerra. Come hanno reagito i suoi due paesi “d’origine” al conflitto in Ucraina e alle nuove tensioni nei Balcani? Lei che ne pensa?

Nell’ex Jugoslavia in Serbia c’è un grosso numero di persone che, per legami antichi e nonostante i fatti concreti, pensano molto bene di Putin e del suo stato mafioso, una questione problematica, ma che non sorprende. In Germania la reazione alle sfide economiche e militari è stata si esitante, ma poi abbastanza buona. Anche i problemi umanitari della fuga sono stati affrontati bene. 


Origini (Keller 2021, pp. 384, euro 18,50) è un romanzo di Saša Stanišic

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