Il terrore della morte è qualcosa di irreversibile e che da sempre fa la fortuna dell’industria della cosmesi. La cantante ci insegna che diventare vecchi è brutto, ma che fare come ti pare è l’unica vera conquista
Ho ben chiaro il momento in cui ho sentito per la prima volta che stavo invecchiando. È successo durante il lockdown: nelle ore chiusa in casa a non fare niente, ho cominciato a trascorrerne troppe davanti allo specchio. Non so se si tratti di una coincidenza, il fatto che dall’inizio della pandemia alla sua fine ho compiuto trent’anni, o se effettivamente tutto quel tempo a disposizione ci ha regalato tante piccole nuove paranoie.
Di certo, a 28 anni non ero vecchia, ma stavo cominciando a invecchiare, le piccole linee che spuntano accanto agli occhi, la pelle che cede alla forza di gravità. Ho cominciato ad avere paura di ciò che succederà alla mia faccia e al mio corpo, o, in altre parole, mi è piombata addosso la paura di morire.
Cercare sollievo dalla morte
La consapevolezza della mortalità che si accende a un certo momento della vita è uno stato irreversibile: quando ci pensi, non puoi più non pensarci. E ogni piccola variazione dell’epidermide facciale diventa una bandierina da piantare nel percorso inesorabile verso la fine. Non è un caso che l’industria della cosmesi, specialmente negli ultimi anni, sia cresciuta a dismisura, tra brand di celebrità, elisir di lunga vita e beauty bar sparsi tra i piani dei grandi magazzini. Ed è innegabile che si tratti di un fenomeno prettamente femminile, per quanto anche gli uomini ormai si avvicinano sempre più allo stato mentale di Meryl Streep in La morte ti fa bella.
Sull’uomo i capelli brizzolati fanno George Clooney, la vecchiaia è saggezza, sulla donna la ricrescita è sciatta, le rughe sono antiestetiche. A mente fredda siamo tutte brave a tirarci indietro da questi stereotipi, poi però sfondiamo i negozi de l’Estetista Cinica, manco ce lo avesse ordinato Wanna Marchi, perché la skincare è un atto di fede, nessuna sa se funziona davvero, intanto ci si prova. Niente agisce contro l’idea che si instaura nella testa di chi ha deciso di essere vecchia. Da qualche parte però un po’ di sollievo lo si deve pur cercare; io per esempio lo trovo guardando Ornella Vanoni.
Squarciare il velo di Maya
Siamo nell’èra della body acceptance e contemporaneamente anche in quella dell’acido ialuronico. Ornella Vanoni, che da diva della musica italiana si è calata perfettamente nella parte di diva della tv, squarcia il velo di Maya e lo dice senza ipocrisia: che brutta cosa invecchiare. Lo dice sospirando, adagiata sulla poltrona di Che tempo che fa, mentre discute con Fabio Fazio del più e del meno, in questo suo ruolo flaubertiano da nobildonna svampita e spietata.
Poi racconta di come ha pianificato il suo funerale, «Il vestito ce l’ho, è di Dior», la bara si brucia, le ceneri si spargono in mare. In televisione vale la regola del non detto, non si parla di morte, non si nomina la concorrenza, non si bestemmia, non si sfotte lo sponsor, per citare una memorabile reprimenda di Mike Bongiorno ad Antonella Elia. Cosa c’è allora di più catartico di una donna di novant’anni che va in televisione a dire quello che le pare, in barba al bon ton da salotto?
Ribelle intransigente
«Abbiamo fatto l’amore io e te?» diceva Virginia Raffaele nella sua imitazione vanoniana, sintetizzando la sua essenza in una frase, il ritratto di una spregiudicata libertina che ricorda sempre al pubblico «Io sono stata fidanzata con Strehler», con tutto ciò che ne consegue. Quello Strehler di cui Fedez ignorava l’esistenza, lo Strehler di cui Vanoni parla nella sua autobiografia, Una Bellissima Ragazza, descrivendolo come un erotomane cocainomane. Viene da pensare che la più spregiudicata rock star che abbiamo mai avuto in Italia è una donna nata nel 1934 che cantava bossa nova e jazz, bella come un’attrice degli anni Sessanta, simpatica come un personaggio di Monica Vitti, cinica come un ruolo scritto da Age e Scarpelli.
«Non si vede un cazzo», dice aguzzando la vista verso il gobbo, mentre omaggia De Andrè su Rai 1 cantando Bocca di rosa ma sbagliando tutto il testo. Ondeggia leggiadra come una a cui non gliene frega niente della figuraccia, dell’errore televisivo, dell’estratto che diventerà un pezzo di Blob o una rubrichetta su Striscia la notizia, lei che liquida la prima della Scala con un versetto di disappunto e noia.
E non gliene frega niente neanche di raccontare al mondo che ogni sera prima di andare a dormire si fa una canna, in un paese in cui parlare di droghe leggere (e no) è ancora un misterioso tabù (nonostante nel dietro le quinte della televisione sia un tema centrale, insieme a quello dei soldi e delle raccomandazioni, anche questi taciuti). Lei, Ornella, ribelle intransigente che nel 2009 dice «Se l’attesa è troppo lunga mi passa la voglia di entrare», rimproverando in diretta a Domenica In la conduttrice Lorena Bianchetti che abbozza una reazione imbarazzata alla scena di protesta della cantante.
«Ce l’aveva scritto in fronte che non ce l’avrebbe fatta», dice invece di Rosanna Fratello, mentre Fazio, nel solito ruolo di moderatore, prova a smorzare il peso della sua sentenza troppo onesta. Fresca di partecipazione al Grande Fratello, Rosanna risponde offesa «Sei come la regina cattiva di Biancaneve»; la domanda però sorge, chi è più interessante, o con chi è più spontaneo empatizzare, la povera ragazza che sviene perché morde una mela, quella che ha paura nel bosco di sera, o la donna matura che fa di tutto pur di non essere retrocessa a seconda bellezza del reame.
La vera lezione
«E dimmi ancora tutto quello che mi aspetto già, che il tempo insiste perché esiste il tempo che verrà», canta Ornella Vanoni in La voglia, la pazzia. Il tempo insiste, inutile far finta che non sia così, ma altrettanto inutile negare che non vogliamo succeda.
Le donne nello spettacolo camuffano il passare degli anni in tutti i modi possibili, Jennifer Lopez rimette il Jungle Dress di Versace che ha indossato vent’anni fa, Madonna a 65 anni regala ai suoi fan un tour in cui si sballotta tra un’acrobazia e un’altra come se ne avesse 25.
E poi, le luci degli studi televisivi che diventano una coltre di nebbia sui tratti somatici di presentatrici e giornaliste, donne sicure ed emancipate che non resistono al fascino dello smarmellamento in stile Biascica. Strepitose, inscalfibili, non si può che applaudire a tanta determinazione nel volere che la propria immagine rimanga immutata. Però, di tutte le battaglie contro il tempo che insiste, la più convincente mi sembra rimanga quella di Ornella Vanoni, che ci insegna una grande lezione: invecchiare fa schifo, certo, ma fare come ti pare è una grande conquista.
Cantare Toy Boy con Colapesce Dimartino, sparare a zero su chiunque in prima serata da Fazio, raccontare il proprio passato con nostalgia disincantata, prendersi la libertà di essere vecchia, malinconica e autoironica. La paura di morire non passa, ma l’idea di “un tempo che verrà” così la fa sembrare meno spaventosa. E per quanto ne so potrebbe funzionare più di un siero al retinolo.
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