Ci sono atleti che producono felicità per i loro paesi più degli altri. Non dipende dalla quantità d’oro che ti porti a casa. Pure se ti chiami Léon Marchand o Simone Biles, la copertina per paesi abituati ai quartieri alti del medagliere non potrà essere solo tua. Diverso è il caso di chi porta addosso un po’ tutte le speranze e le aspettative olimpiche della sua gente. Insomma, se scorrete il medagliere, e vi fermerete agli “uno” della prima riga, quella dell’oro, scoprirete dei successi che amplificano il loro valore proprio perché sono unici.

Poi certo ci sono anche delle vittorie simbolo che oltrepassano questo ragionamento, ori iconici che per i più svariati motivi diventano idoli e feste di piazza. Come quella celebrata in Algeria, che di primi posti a Parigi non ne ha raccolto soltanto uno, per l’oro di Imane Khelif, la pugile accusata di essere un uomo da un’aggressiva campagna internazionale nonostante il Cio avesse fissato da tempo delle regole note a tutti i paesi sulla presenza delle atlete con valori di testosterone superiori alla norma.

Pure la Serbia non ha vinto solo un oro, ha rischiato anche di ribaltare niente meno che gli Stati Uniti dei vari Lebron James e Stephen Curry in una semifinale del basket persa solo a un’incollatura dal traguardo. Ma quelle lacrime di Nole Djokovic, anche per la loro somiglianza con quelle versate a Rio de Janeiro, quando l’ex numero uno del tennis fu battuto dall’argentino Del Potro e scoppiò in un pianto dirotto, sono diventate una specie di biglietto da visita dell’orgoglio sportivo serbo.

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Le dediche

Algeri, Belgrado. Per continuare il viaggio e spostarci a est, bisogna affidarsi alle mamme. La mamma è la figura più citata nelle parole del “dopo”. È vero, abbondano le proposte di matrimonio, fra le citazioni non manca qualche papà e diversi nonni. Ma la mamma è sempre la mamma. Non sempre, evidentemente. Perché ha fatto scalpore la vera e propria insurrezione di Carlos Edriel Yulo, il filippino che si è preso l’oro del corpo libero e del volteggio, le uniche vittorie del suo paese a Parigi, ma subito dopo ha puntato l’indice contro sua madre, rea di osteggiare il suo fidanzamento a colpi di soldi e di ingaggi e guadagni sportivi spariti. Tutt’altre mamme, a giudicare almeno dalle loro parole, quelle che hanno sofferto nella finale del lancio del giavellotto, il nuovo palcoscenico delle sfide fra India e Pakistan (una volta c’erano solo il cricket e, olimpicamente parlando, l’hockey prato).

Arshad Nadeem ha dato al Pakistan la sua prima vittoria nell’atletica ai Giochi e ovviamente quel suo lancio d’oro ha portato in prima pagina la sua storia, quell’allenarsi con attrezzature vetuste, a casa, nel Punjab pakistano, zona di confine e storicamente di alta tensione con l’India. L’India che sperava in un bis di Neeraj Chopra e che invece si è dovuta accontentare dell’argento. Un argento che però non è dispiaciuto a sua madre: «Tutte e due si sono allenati tanto, siamo felici per la medaglia di Neeraj e per l’oro di Arshad», ha detto Saroj Devi. Parole che poi sono rimbalzate dall’altra parte della frontiera con Raziah Parveen, mamma di Nadeem, che ha ricambiato: «Non sono solo amici, sono fratelli».

Per trovare un’altra mamma citatissima nei commenti d’oro dell’Olimpiade parigina bisogna cambiare ancora continente. E portarci nel Botswana, a nord del Sudafrica, grande quasi due volte l’Italia ma con appena due milioni e mezzo di abitanti, che ha mosso significativamente il suo medagliere con la sua prima volta d’oro per merito di Letsile Tebogo, che peraltro vive e si allena a Brescia. Fuori dal podio sui 100, ha conquistato i 200. Poi ha raccontato di sua madre, venuta a mancare a maggio. Una perdita che ha fatto cadere lo sprinter nel burrone della disperazione: «Sono stato senza uscire di casa per un mese». Quindi, il tentativo di trasformare il dolore in un’impresa da dedicarle, anche scrivendo la sua data di nascita sulle scarpe che l’hanno portato all’oro.

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Guatemala

L’oro era pure il sogno di Adriana Ruano Oliva, la tiratrice (a volo) che ha dato la prima vittoria del Guatemala alle Olimpiadi. Un sogno che all’inizio s’era mascherato da incubo: un grave infortunio alla colonna vertebrale e il successivo esame medico le avevano detto che tornare a praticare la ginnastica artistica sarebbe stato una specie di roulette russa, il rischio di non poter più camminare. Lei si è data così allo skeet. Fino all’oro e alla felicità di tutto il Guatemala. Che non è troppo distante da Dominica e Santa Lucia, le due isolette anche loro al primo oro della storia con la triplista Thea Lafond e la regina dei 100 metri Julien Alfred, due simboli della grande storia olimpica dei Caraibi. Il mondo delle Olimpiadi è largo anche se, nonostante la “rimonta” provocata dai giorni dell’atletica, rispetto a Tokyo i paesi medagliati (tre anni fa fu stabilito il record di 93) saranno probabilmente di meno. C’è tanto mondo che non ha vinto e ha una grande voglia di farlo.

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