Com’è umano lui, il film-tv dedicato al grande comico, è strutturato come una favola. Racconta la sua gioventù, gli anni da impiegato e il coraggio di dedicarsi allo spettacolo
«Guardatevi, la vostra vita è triste; l’invito che posso fare a tutti noi è di non sprecare le nostre vite». È questo forse il passaggio più malinconico di Com’è umano lui, il film-tv dedicato alla vita di Paolo Villaggio trasmesso da Raiuno nella serata di giovedì 30 maggio e ora disponibile su RaiPlay; nel pieno di una festa natalizia aziendale, l’impiegato Paolo, assunto alla Cosider di Genova per volontà del padre, ma tremendamente a disagio in quel contesto, decide di congedarsi con un appello dietro cui è impossibile non scorgere quel coraggio che sappiamo invece essere mancato al suo alter-ego, il ragionier Ugo Fantozzi.
Personalità strabordante
La parabola di Paolo Villaggio è quella di un artista inquieto, caparbio nell’inseguire una strada che gli sembrava preclusa; lo scarso rendimento negli studi universitari di giurisprudenza (a differenza del gemello Piero, che diventerà poi insigne matematico), le scorribande notturne con gli amici Fabrizio De André e Piero “Polio” Repetto, l’incompatibilità quasi antropologica con i genitori, espressione di una borghesia genovese d’altri tempi (il padre ingegnere, la madre linguista e docente di tedesco) ne hanno acuito il senso di quella comicità scomposta e sprezzante che lo portarono al successo.
Il biopic ripercorre gioventù, maturità e affermazione di una figura unica nel panorama della comicità italiana; non c’è nessun intento documentaristico nel lavoro del regista Luca Manfredi, quanto piuttosto la volontà di assecondare l’emozione attraverso un impianto favolistico, talvolta impreciso nei dettagli e nella scrittura, ma capace di evocare il più classico viaggio dell’eroe, con le aspirazioni, il talento soffocato, gli ostacoli, il supporto degli affetti, su tutti quello della moglie Maura, interpretata da Camilla Semino Favro.
Nella Genova a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, mentre la spiaggia di Boccadasse fa da sfondo a Faber che compone Il fannullone in omaggio a quel ronzare da perdigiorno, Villaggio sperimenta quell’annichilimento della creatività che i dogmi della società alimentano fino all’alienazione e che troveranno nella saga di Fantozzi la più celebre e riuscita delle espressioni.
Il Villaggio del film prodotto da Rai Fiction e Ocean Production ha il volto di Enzo Paci, attore genovese uscito dalla fucina del Teatro Stabile, che si fa carico di una personalità complessa, spigolosa e strabordante, ben restituita attraverso un lavoro di profonda immedesimazione.
E poco importa se dal Villaggio studente all’attore ormai famoso non corrisponde mai un cambio attoriale, se è sempre Paci a interpretare i passaggi generazionali e professionali del comico, perché l’obiettivo non è solo quello della veridicità, ma anche e soprattutto quello di narrare una fiaba senza tempo.
Pezzi di esperienza
Le idiosincrasie di Villaggio, la sofferenza di un’incomprensione famigliare che per lungo tempo si è portato dietro vengono stemperate dall’innesto di toni melodrammatici, registro cui nessun prodotto Rai di prima serata può mai veramente sfuggire.
La storia d’amore con Maura Albites, da cui nacquero Elisabetta e Pierfrancesco, è uno dei fulcri del racconto; la storia di gioventù che approda alla paternità e diventa il pilastro in cui Villaggio trova la forza di “lasciare il certo per l’incerto”, spiccando il volo dalla compagnia Baistrocchi verso Roma e i primi ruoli in Rai, in radio come in televisione (fu Maurizio Costanzo a notarlo).
Il Professor Kranz, personaggio di Quelli della domenica a fine anni Sessanta, è l’emblema di un umorismo nuovo, con cui Villaggio riscrive la grammatica del varietà e impone una risata amara, obliqua, non in cerca di compatimento ma di tragica e pragmatica modernità.
Da lì usciranno poi il Giambattista Fracchia e l’Ugo Fantozzi, maschere della mediocrità italica intesa come rinuncia e rifugio allo stesso tempo, esempio della pavidità che scade nel conformismo al ribasso, nella timorosa assuefazione. Forse perché impiegato lo fu veramente, le figure, i rituali, le bassezze incontrati tra uffici e corridoi consentirono a Villaggio di affrescare l’universo fantozziano con macchiette in cui chiunque potesse riconoscere almeno un pezzo della propria esperienza.
Com’è umano lui ha tentato l’operazione non facile di raccontare un attore che, come pochi, ha segnato l’immaginario; guardandosi intorno circondato da tanti figuranti agghindati come Fantozzi, il Villaggio di Enzo Paci non può che compiacersi e riconoscere di non aver sprecato la propria vita; e chissà, forse di averci aiutato, almeno un poco, a non sprecare la nostra.
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