La narrazione sulle droghe in Italia continua a essere in un certo modo: è opinione diffusa che parlare di qualcosa significhi contribuire a diffonderla, quindi meglio parlarne poco o in modo circospetto, con la difficoltà di riconoscere e chiamare le cose con il proprio nome
- Secondo stime recenti nei paesi dell’Unione europea circa 83 milioni di persone adulte, di età compresa tra i 15 e i 64 anni, hanno assunto sostanze psicoattive illegali almeno una volta nella vita.
- Il volume Le droghe, in sostanza del Post apre con un vero e proprio glossario, dalla A di Alcol alla S di Spice, nel quale si descrivono proprietà ed effetti di ogni sostanza. Uscendo dai contesti specialistici, la rivista prova ad abbracciare la complessità del tema.
- Nel marzo del 2020, quando in molte carceri ci fu una rivolta per protestare contro le sospensioni delle visite decise per contrastare i contagi da coronavirus e contro la condizione carceraria che rendeva impossibile il distanziamento fisico, nel penitenziario di Modena morirono nove detenuti nel giro di sessanta ore, per overdose da metadone e psicofarmaci.
Luca Sofri, direttore del Post, racconta di come l’idea di questo terzo volume di approfondimento di Cose spiegate bene su Le droghe, in sostanza, gli sia venuta lo scorso febbraio guardando il Tg1. L’occasione: un servizio sulla sofferenza psichica post Covid per la quale si suggeriva, addirittura, la possibilità di usare alcune sostanze psichedeliche. Di fronte a questa “proposta” Sofri, scrive, «ha trasecolato». Il Tg1 che parlava di sostanze psichedeliche come di una «“nuova frontiera delle droghe”. Una rivoluzione. Senonché “nel servizio si è scandita la parola ‘psi- che-de-li-che’” con la circospezione stupefatta con cui si raccoglierebbe un’arma carica trovata su un marciapiede».
Parlare di droghe sì, ma con «circospezione stupefatta». Nessuna espressione potrebbe descrivere meglio quello che è sotto gli occhi di tutti: se in apparenza viviamo circondati da un ecosistema mediatico nel quale sembra possibile parlare di tutto, di droghe, comunque, si continua a farlo soltanto in un certo modo.
Con circospezione: perché non si sa mai chi potrebbe trovarsi di fronte a un servizio sugli stupefacenti ed è opinione, purtroppo, largamente diffusa, che parlare di qualcosa significhi contribuire a diffonderla, quindi meglio parlarne poco o in modo circospetto, appunto. Stupefatta perché, ancora oggi, nel 2022, per molti le droghe sono un oggetto misterioso, spaventoso, esotico. Caffè, alcool, tabacco, benzodiazepine, del resto, sono per la maggior parte delle persone tutto, fuorché droghe. E viene in mente, al riguardo, un bellissimo articolo pubblicato nel 1979 dalla rivista della Cisl Ombre bianche dove si raccontava di come, in Veneto, la campagna contro l’alcolismo avesse ottenuto un gran successo di pubblico al punto che il sindaco di non so quale paese aveva invitato i giovani a non bere l’alcool che fa male. Piuttosto la grappa locale, tanto più sana.
Perché, come ci suggerisce Sofri e con lui tutti gli autori del volume, il punto sembra proprio questo: esiste una difficoltà oggettiva di riconoscere e chiamare le cose con il loro nome. In fin dei conti di affrontarle per quello che sono. E, complice il fatto che in italiano fra farmaci e droghe esiste una distinzione lessicale che in inglese, per esempio, non c’è, è stato molto più semplice nel corso del Novecento separare sostanze “buone” da sostanze “cattive”, droghe da farmaci appunto.
Droghe e farmaci
Così, secondo questa distinzione, i farmaci curano e sono legali. Quando non sono legali si chiamano droghe fanno male, e il loro uso è voluttuario. Punto. Ma anche questa distinzione alla lunga non regge. Frequente l’uso di farmaci perfettamente legali a fini voluttuari. Altrettanto frequente, anche se illegale, l’uso di sostanze a fini terapeutici (penso allo scandalo del divieto di usare la cannabis per le persone sofferenti o malate). «L’uso del peyote è centrale per la Chiesa nativa americana. Una sostanza illegale per la stragrande maggioranza della società è quindi considerata e riconosciuta come elemento fondamentale di un rito rispettabile per una minoranza di persone».
Del resto, persino l’eroina, che per molti rappresenta la droga per eccellenza, quando è stata inventata dalla Bayer nel 1897 era nient’altro che un analgesico. La coca è stata per decenni la base di sciroppi contro la tosse. Così molti psicofarmaci sono stati tolti dal commercio dopo essere stati prescritti e usati per decenni. E così via. Ma allora come parlare di droghe?
Spiegare bene
Innanzitutto, abbracciandone la complessità e iniziando ad accettare il fatto che l’uomo ha sempre cercato, fin dall’antichità, sostanza per lenire il dolore, euforizzarsi, dimenticare, socializzare. Un discorso non semplice da fare. Anche per questo il volume del Post è così importante, perché uscendo dai contesti specialistici, ci prova. Vediamo come.
Innanzitutto, si parte dai numeri. Il numero di persone che in modo diverso fanno uso di sostanze è larghissimo: secondo stime recenti nei paesi dell’Unione europea circa 83 milioni di persone adulte, di età compresa tra i 15 e i 64 anni, hanno assunto sostanze psicoattive illegali almeno una volta nella vita. Rappresentano quasi un terzo di tutta la popolazione europea, un dato che negli ultimi anni ha avuto un andamento stabile.
«Hanno usato droghe almeno una volta nella vita più maschi, 50,6 milioni, che femmine, 32,8 milioni. Un altro indicatore interessante è il “consumo di droga nell’ultimo anno”, che misura il consumo recente, ed è prevalentemente concentrato tra le persone giovani: nell’ultimo anno 17,4 milioni di persone tra i 15 e i 34 anni hanno fatto uso di droghe, il 17 per cento della popolazione europea». Questo significa che viviamo circondati da tossicodipendenti? Ovviamente no.
Consumo occasionale, consumo abituale e tossicodipendenza non sono gradazioni diverse dello stesso fenomeno: lo dimostrano numerosi studi, nonché l’esperienza di gran parte di noi che nella vita ha provato una sostanza senza farla diventare oggetto di un’abitudine né tantomeno di una dipendenza. Per questo il volume del Post apre con un vero e proprio glossario, dalla A di Alcol alla S di Spice, nel quale si descrivono proprietà ed effetti di ogni sostanza.
Ad alcune sono dedicati degli approfondimenti: particolarmente interessante quello di Agnese Codignola sul cosiddetto rinascimento psichedelico, la ripresa di studi sugli effetti positivi sulla mente della psilobicina, o dell’Lsd, oggi al centro di un business mondiale che rischia di inficiare il paziente lavoro dei ricercatori venendo, come già era successo nei tardi anni Sessanta, pacchetti di “benessere immediato” a persone per niente consapevoli di quello che stanno assumendo.
Data la grande diffusione di cannabinoidi, particolarmente importanti sono le pagine dedicate a questa sostanza, pagine che cercano di rispondere alla domanda: cosa ci fa la cannabis. La risposta sfata una serie di luoghi comuni allarmistici e consente di fare chiarezza, su alcune questioni a prima vista banali come il fatto che fumando la cannabis non si muore. Anche la questione della dipendenza è affrontata anche se forse con non altrettanta chiarezza. Infatti bisognerebbe dirlo meglio che l’effetto sulla dipendenza sembra comunque essere moderato se confrontato con quello indotto da altre sostanze: le stime variano, ma «secondo alcuni studi il 16 per cento dei consumatori di alcolici diventa alcolista e il 32 per cento di chi prova a fumare tabacco diventa poi un fumatore abituale».
In Europa
Così come molto importante è l’attenzione che il volume dedica all’eroina e ai progetti di somministrazione controllata dell’eroina come quello messo in atto in Svizzera dal 1994. Un fenomeno che normalmente i nostri giornalisti derubricano con un certo schifo sotto la definizione di “droga di Stato”, e che invece il Post prende giustamente sul serio: in Svizzera ci sono 22 centri sanitari che offrono questa terapia che consente a persone dipendenti di vivere dignitosamente, in modo sicuro, e seguiti. «Grazie a questa e ad altre iniziative di prevenzione, cura e riduzione del danno, la Svizzera è passata da 376 morti per droghe (in maggioranza oppioidi) nel 1995 a 141 nel 2019, e da un tasso di positività all’Hiv del 50 per cento tra i consumatori di eroina a meno del 10 per cento».
Un altro caso interessante è quello del Portogallo dove, dal 2001, il consumo di ogni “droga” è stato depenalizzato: alla fine degli anni Novanta, tra gli allora 15 paesi dell’Unione europea, il Portogallo era quello con le stime più alte di consumo problematico di stupefacenti (perlopiù eroina), insieme all’Italia e al Regno Unito. Con la Spagna, era quello con la maggiore diffusione dell’Hiv.
Non si può dire che tutti i problemi siano stati risolti, ma da allora il numero di dipendenti problematici e malati si è nei fatti dimezzato. Così come si è ridotto in modo drastico il numero delle persone incarcerate per problemi correlati alla droga.
La “war on drugs”
Un dato che fa riflettere visto che in Italia, secondo il Libro bianco sulle droghe di Forum Droghe, il 35 per cento della popolazione carceraria sta “dentro” in conseguenza delle leggi punitive che vigono nel nostro paese a partire dagli anni Novanta. Furono allora queste leggi, una pallida, ma feroce imitazione della war on drugs, ovvero la guerra contro la droga, dichiarata da George Bush Senior. Una guerra persa su tutti i fronti, che è costata, oltreché ingenti risorse economiche, un contributo enorme in termini di vite umane di cittadini incarcerati e a volte uccisi per la detenzione di sostanze.
Fa bene dunque il Post ricordare come «nel marzo del 2020, quando in molte carceri ci fu una rivolta per protestare contro le sospensioni delle visite decise per contrastare i contagi da coronavirus e contro la condizione carceraria che rendeva impossibile il distanziamento fisico, nel penitenziario di Modena morirono nove detenuti nel giro di sessanta ore.
Secondo quanto emerso dalla successiva inchiesta della magistratura, morirono tutti per overdose da metadone e psicofarmaci, presi nella farmacia dell’istituto, assaltata durante la rivolta. Gli avvocati delle famiglie delle vittime hanno però contestato in parte questa ricostruzione, sostenendo che i detenuti in overdose non siano stati assistiti come avrebbero dovuto, tra mancanze, ritardi e anche violenze. Anche in altri istituti avvennero simili assalti alle farmacie, anche se con conseguenze meno tragiche: nel corso di quelle rivolte, le infermerie e soprattutto gli armadi contenenti gli psicofarmaci furono, per molti detenuti, l’obiettivo primario da raggiungere».
Su questo episodio vale la pena riportare quanto scritto da Hassan Bassi nel XVI rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione: «È difficile immaginare che persone “esperte” abbiano talmente perso il controllo da suicidarsi ingerendo quantitativi letali di sostanze che conoscevano bene. È invece possibile che fra di loro ci fossero persone che non avevano esperienze assidue di consumo e che siano morte per overdose perché avevano una bassa tolleranza. I risultati delle autopsie renderanno chiare le cause di morte e insieme alla ricostruzione della successione degli eventi potranno forse spiegare perché nessuno si sia accorto per tempo del loro stato di grave malessere, attivando i soccorsi, come invece è successo in altri casi. Il naloxone, farmaco salvavita per overdose da oppiacei è infatti presente in quasi tutti gli istituti».
Per prevenire
Si sente che Le droghe in sostanza è stato sottoposto alla lettura di Paolo Nencini, farmacologo e storico della medicina, autore di fondamentali saggi sull’argomento. La capacità di approfondire e divulgare è merce rara, soprattutto quando in gioco ci sono argomenti in grado di scatenare “panico morale” come le droghe. Questo volume riesce a farlo.
Leggetelo, regalato, distribuitelo nelle scuole, fra gli adolescenti nei bar, all’ora dell’happy hour (magari insieme al “Libro bianco sulle droghe” che comunque è scaricabile online gratuitamente). Sarebbe una cosa buona e giusta per ridurre i danni che produce un uso inconsapevole di sostanze. Per prevenire. Per ragionare, finalmente, con serietà e non con «circospezione stupefatta» di un tema che, alla fine, riguarda tutti noi.
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