- «Ma erano rumeni, quelli? Macedoni?» Al bar Portici il giorno dopo era più che altro la clientela dei manovali locali dell’est a sospettare che la rapina al gioielliere Mario Roggero l’avessero fatta dei loro conterranei.
- Non sta più lavorando, ma lo faceva da quarant’anni e più Mario Roggero, il gioielliere del Gallo conosciuto giusto nel perimetro della gente del posto fino al 28 di aprile 2021, quando si è guadagnato una fama nazionale facendo fuoco contro tre rapinatori improvvidi.
- Chi volesse pensare alle convivenze difficili tra comunità, alle tensioni o barriere culturali che si vivono in altri ambienti di paesi e città italiani, stavolta, sarebbe in errore.
«Ma erano rumeni, quelli? Macedoni?» Al bar Portici, che Giorgio Icardi apre al mattino da una vita e ci vende pure i giornali – nel 2021 non è notizia così scontata – il giorno dopo era più che altro la clientela dei manovali locali dell’est a sospettare che la rapina al gioielliere Mario Roggero l’avessero fatta dei loro conterranei. Invece no: in un ribaltamento luogocomunista di ruoli erano stati un albese, un braidese e un torinese a tentare il colpo, mentre a stigmatizzare quel gesto violento era la più folta comunità di abitanti «non dei nostri», come si direbbe qui, una frazione di duemila anime scarse. Più sfumata l’opinione del piemontesissimo gestore, che solidarizza col collega e auspica un ampliamento delle maglie della legge per chi si difende «e ha il permesso di tenere un’arma per tutela ma, purtroppo, se si va troppo in là poi si deve affrontare una responsabilità».
La vita a Gallo
Au Gàl, nella frazione Gallo del comune di Grinzane Cavour, si vive in basso. Guardando in su, il poderoso castello che pure è solo qualche tornante più in alto ed è già finito in qualche milione di macchine fotografiche e profili social con la sua austera geometria, ritagliata nel paesaggio delle Langhe, rimane nascosto. Latita l’aura del conte Camillo Benso, l’ex sindaco e statista cui i cittadini resero omaggio con un’onorificenza di stampo sovietico, dando il suo cognome al nome del paese. Ritenendo l’originalità un orpello, la pizzeria l’hanno chiamata Bargiglio Rosso; l’insegna della torroneria storica all’ingresso del paese è un bel pennuto con la coda verde. Al fondo del rettilineo che segna la fine del territorio comunale, uno dei tanti miracoli del basso Piemonte: un’azienda che è partita del niente e, ormai, vende palloni e piste d’atletica pure ai cinesi. Si chiama Mondo ma non per celebrazione di sé che, da queste parti, anta nen, non si deve, con la negazione a fondo frase come fanno i vicini francesi. Ostentare aspirazioni è un peccato. Il fondatore di nome faceva Mundu, Edmondo, a conquistare il globo proprio non ci pensava ma ci riuscì, lasciando pensare a chi non vive qui che sia stato un megalomane di successo.
Del resto poco più in là, ad Alba, c’è la più grande cioccolateria del pianeta e nessuno, salvo i dipendenti, conosceva con precisione le fattezze di Michele Ferrero, l’uomo più ricco d’Italia. In una società che esalta i volti del primo pasticcere pasticcione e ne fa una stella su Instagram, è difficile da capire. Ma è molto cuneese. Per contro, quando morì, tutti i negozianti di Alba esposero una sua rarissima fotografia con una scritta timida e sottile, «Siamo fieri di te, grazie». Dopo sei anni e passa, c’è chi non l’ha ancora scollata dalla vetrina.
Se non si fa caso alle insegne, Gallo potrebbe essere un qualunque agglomerato urbano dell’hinterland milanese. Uno stradone in mezzo, casette basse di qua e di là, orgogliosamente curate e dimesse, nulla da dichiarare se non la voglia di lavorare: per il bello, rivolgersi a Grinzane e ai patrimoni vitivinicoli protetti dall’Unesco. Difatti, abbondano le banche. Quattro sportelli in quattrocento metri, la prova provata che il denaro circola perché si lavora. Tutti: il piemontese, il meridionale che ormai è immigrato di plurima generazione e nessuno fa più caso al cognome esotico, lo straniero dell’est che il rispetto se lo è guadagnato con l’etica del darsi da fare.
Processo già celebrato
Non sta più lavorando, ma lo faceva da quarant’anni e più Mario Roggero, il gioielliere del Gallo conosciuto giusto nel perimetro della gente del posto fino al 28 di aprile 2021, quando si è guadagnato una fama nazionale della quale avrebbe fatto a meno, facendo fuoco contro tre rapinatori improvvidi. Due sono morti, un terzo si è salvato. Prima di mettersi nelle mani del miglior penalista su piazza, l’avvocato Campanello, e chiudere saggiamente la serranda delle dichiarazioni alla stampa, Roggero ha fatto sapere di «non provare niente» per quei criminali che hanno assalito il suo negozio, con dentro moglie e figlia, se non «dispiacere». Su Facebook si era avvalso, a poche ore dai fatti, di una citazione fuori contesto di Einstein, secondo cui il mondo «non è minacciato dalle persone che fanno il male, ma da quelle che lo tollerano». Un uomo mite e perbene, è il coro unanime dei paesani.
Roggero è indagato, per forza di cose. Alla conclusione delle indagini si capirà se per la procura ha sparato legittimamente, o abusato della difesa, o commesso un reato più grave. È probabile che quell’altra rapina subìta sei anni fa, dalla quale la famiglia si era ripresa – chissà – con fatica e lunghe terapie per lenire i dolori del corpo e il terrore, abbia giocato un ruolo negli eventi. Sarà materia risolta dalle telecamere di sorveglianza e dalle perizie ma, per chi sta al Gallo, non importa. Il processo è già stato celebrato sull’asfalto su cui sono rimasti i corpi di due rapinatori. Una scena, peraltro, assolutamente inconsueta in questi territori, dove solo i vecchi rammentano la storia di quel fatto di sangue del 1970, quando un anziano di Borgata Fornace, forse stordito dai farmaci e dall’età avanzata, scese in paese per far presente al farmacista di ritenerlo responsabile del suo stato di confusione, e gli sparò in faccia facendogli perdere un occhio. Una scena da racconto fenogliano.
Qui nessuno è avvezzo alla vista della morte violenta e il rispetto delle regole è un tratto pressoché ereditario. Ma la serranda del negozio è già tappezzata di sentenze. Niente manifestazioni, qui non si urla, «dov’è lo stato quando serve?» qualcuno l’avrà anche pensato ma non sono arrivate camionette dei programmi televisivi del pomeriggio a raccogliere bave di livore o strascichi di esasperazione, perché avrebbero trovato poca polpa da addentare. Ci sono biglietti, appiccicati alla vetrina e accanto alla serranda. Molti dei quali firmati, da colleghi commercianti e vicini di casa: con l’invito a «non mollare», perché «la gente perbene è con voi». Sui social network la vicinanza si è fatta più tifoseria, con le frange più estreme che hanno inneggiato alla giustizia sommaria, al «tre disgraziati di meno», alla pistola libera in libero stato. Ma non sono questi i posti delle esternazioni plateali.
Rigare dritto e ruscare
Victor fa il muratore e percorre lo stradone dritto del Gallo quasi tutti i giorni. «Ha fatto bene», dice di Roggero. La legge italiana, nonostante la riforma del 2019 che introduce il concetto dello “stato grave di turbamento” per ampliare il campo di ciò che è legittimo fare quando si è vittima di una rapina, non lascia campo libero alla vittima. Inseguire e sparare per recuperare il bottino, non si può. Sparare per vendetta a chi è in fuga, non si può. «Quei tre avevano solo da stare a casa o cercarsi un modo onesto per vivere. Se io lavoro per anni per mantenere la famiglia e arriva uno a portarmi via tutto, perché non posso reagire?».
Chi volesse pensare alle convivenze difficili tra comunità, alle tensioni o barriere culturali che si vivono in altri ambienti di paesi e città italiani, stavolta, sarebbe in errore. In queste terre circondate dai vitigni e con redditi pro capite e risparmi ben sopra le medie nazionali, gli estremi non attecchiscono. Alle politiche del 2008 e 2013 quelli di Forza Nuova, La destra, la Sinistra critica e il partito dei lavoratori non presero manco i voti dei parenti. Piaciucchiava la Lega degli anni Novanta, più che altro perché prometteva di far restare i soldi delle tasse sul territorio. Non c’è allarme sociale. Il sindaco, Gianfranco Garau, è responsabile commerciale della divisione giocattoli della Mondo e presiedeva il consiglio comunale, quando è sceso in strada per capire cosa fosse capitato. Non ha inneggiato alla legge del taglione, né ai pieni poteri di polizia per il primo cittadino. Ha solo parlato, quasi sussurrando, di «sgomento», di una famiglia perbene e sotto choc, che sta vivendo «qualcosa che non riesco neanche a immaginare».
Da queste parti funziona così: negli anni Ottanta si guardavano di sottecchi i meridionali – e tutto ciò che è a sud di Firenze veniva legittimamente ritenuto tale – ma chi si dava da fare diventava ingranaggio della macchina produttiva. Senza cittadinanze diminuite. Di fronte alla gioielleria, oggi, c’è un minimarket che vende il pane di Langa e la salsa per il gulash. Un tempo sarebbe stato improbabile; dopo «quelli della bassa» (Italia) sono arrivati gli stranieri, a solleticare un moderato ma latente sospetto nei confronti del diverso. Ma chi è arrivato ed è rimasto, è del Gallo. Talora anche più di un gallese, con i valori locali ben chiari in testa: rigare dritto e ruscare, lavorare sodo, come racconta Icardi dietro il bancone. «Qui c’è gente a posto, gli immigrati lavorano nei cantieri o in campagna. Un bilocale costa 400-500 euro, teniamo uno standard alto perché non c’è bisogno di affittare a tutti i costi. E se sei una lingéra (un poco di buono) duri poco».
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