I consigli ai giovani scrittori si avvalgono di una letteratura sterminata. Ma in una notte d’agosto le regole possono cambiare, la realtà può rovesciarsi, e può toccare a un giovane scrittore tentare di ridare entusiasmo a un vecchio scrittore, separati unicamente da una siepe delle case del mare.
Oltre le cancellate a cui glicine e gelsomino fanno da cornice, le case del mare sono delimitate da siepi che consentono di origliare le chiacchiere dei vicini. In fondo l’estate è un po’ così, un’oscena privazione del privato, un sistematico danneggiamento della privacy.
Così di quella donna benestante che durante l’anno incede sicura in città con un paio di occhialoni neri calati sul naso, nei giorni sudaticci della villeggiatura possiamo carpire ogni pettegolezzo vile, ogni risata sguaiata, ogni osservazione scomposta. Allo stesso modo del tintinnio delle stoviglie all’ora di cena, le bocche ciarlano senza sosta quando le sere s’aggravano nelle notti infinite dell’estate.
Un vicino inatteso
Era dunque uno di questi momenti notturni volgari e misteriosi al contempo, poco dopo il capodanno in mutande che è il ferragosto, quando il vecchio scrittore, capito che le ciarle del vicinato stavano attenuandosi, uscì nel patio della sua villetta per andare a distendersi sul divano sotto al cedro. Fu allora che una voce oltre la siepe lo chiamò.
- Insonnia anche lei? - gli domandò la voce di un giovane.
- Con questa umidità come si fa a dormire?
- Io sono nuovo di qui, non conosco questa località. Ma devo terminare un romanzo e a Roma proprio non si respira.
Il vecchio scrittore ebbe un fremito. - Un romanzo? Scrive?
- Sì, ho esordito l’anno scorso. Adesso sono alle prese con il secondo romanzo. Dicono sia il più difficile: se il primo è andato bene devi confermarti, se il primo è andato male sei all’ultima spiaggia.
Il vecchio scrittore pensò al suo esordio, Il cimitero dei vivi, e gli parve una cosa ingenuamente malfatta e ne provò insieme nostalgia e tenerezza, un’avventura incredibile che ora aveva appena la forza di abbozzare nella sua testa.
- Queste cose le dicono quelli che non scrivono, - disse. - Uno scrittore non ci bada, uno scrittore scrive e basta.
La siepe magica
Continuarono a fare conoscenza attraverso la siepe di pitosforo e alloro, questa specie di telefono senza fili o chat vegetale. Era un botta e risposta rapido, un sussurrio esclusivamente letterario. Il giovane scrittore conosceva il lavoro del vecchio scrittore e lo ammirava da tempo, così cominciò a chiedere dei consigli.
- Non ne ho, - ammise candidamente il vecchio scrittore. - Anzi sai che ti dico? Finire è più complicato che iniziare. Ho una bibliografia cospicua eppure non mi pare di essere ancora arrivato da nessuna parte.
- Quest’impressione è senz’altro benefica, vuol dire che non hai perso il senso critico nei confronti di te stesso. Potresti adagiarti sugli allori, magari certe volte vorresti, ma qualcosa in te si ribella, recalcitra all’idea di essere giunto in fondo.
Il vecchio scrittore adesso aveva socchiuso gli occhi, le parole del giovane gli arrivavano come in un sogno, da un altrove che seppure fosse vicino, restava schermato da un muro di foglie immobili, pietrificate dal caldo colloso di agosto.
- Dici giustamente che sono arrivato in fondo. Ma io spesso mi chiedo: in fondo a che cosa?
Consigli a un vecchio scrittore
Con spirito speculativo, giunsero a rovesciare la posizione di partenza e il cliché: avrebbe dovuto essere il giovane a dare dei consigli al vecchio scrittore. Erroneamente si pensa che un vecchio scrittore non abbia bisogno di consigli, solo per il fatto che un’opera - importante o trascurabile che sia - l’abbia comunque già lasciata dietro di sé.
- Esiste una letteratura sterminata di consigli ai giovani scrittori, lettere, diari, vademecum, manualetti. Per i vecchi scrittori invece non c’è niente! - protestò il vecchio scrittore.
Il giovane - com’è tipico della sua età - prese molto seriamente quella richiesta.
- Un vecchio non deve imparare a scrivere, - osservò. - Semmai non deve disimparare.
Il vecchio scrittore trasse un respiro doloroso. - Scrivere è faticoso, se sei un vero scrittore lo sai. La fatica non sta nell’immaginazione, ma nella logica e nella precisione per rendere quell’immaginazione intelligibile.
- Ti senti stanco?
- Ho vissuto in mezzo alle parole. Centinaia di migliaia di parole. Se mi volto indietro la strada fatta è molta di più di quella che ho ancora d’innanzi a me.
Più diritti che doveri
La notte sembrava immobile, e dette modo al giovane scrittore di giungere a una sintesi conclusiva per cui un vecchio scrittore aveva più diritti che doveri.
- Più diritti che doveri? - scherzò il vecchio scrittore. - Sentiamo, allora.
Il giovane glieli elencò: il diritto di smettere; il diritto di proseguire; il diritto di scrivere un romanzo fregandosene della propria poetica; il diritto di scrivere un romanzo tale e quale agli altri che ha scritto; il diritto di guardare con sospetto alle nuove generazioni; il diritto di guardare con entusiasmo alle nuove generazioni. Alla fine della tirata restarono in silenzio, e si resero conto che a parlare erano rimasti soltanto loro due, tutte le altre case del circondario, delimitate dalle rispettive siepi, erano sprofondate in una quiete assoluta.
- Vorrei darle il mio libro, - disse il giovane scrittore, spezzando quel riposo.
- Ormai faccio fatica anche a leggere, i caratteri sono così piccoli e si mettono a danzarmi davanti agli occhi.
- Per me sarebbe un onore, insisto.
- Domattina puoi suonarmi, la domestica verrò al cancello a ritirarlo.
- Macché, voglio dartelo subito, te lo sto passando dalla siepe, l’intrico di queste foglie e di questi rami non è così fitto…
Il vecchio scrittore si sentì improvvisamente stanchissimo ma non ebbe cuore di negarsi a quella voce così carica di speranza e forza. Si tirò su e provò ad allungare la mano dentro la siepe. Il pitosforo era più penetrabile rispetto alla superficie dura e spessa delle foglie d’alloro. Il vecchio scrittore cominciò ad ansimare, poi gli parve di ricevere tra le dita un volume.
- Ce l’ho, - disse, in un rantolo. - L’ho preso.
Dall’altra parte nessuno rispose, allora con uno sforzo immane cercò di trarlo a sé. Lo sbirciava tra il fogliame, voleva sapere il titolo, il primo gesto autoriale di un romanzo, quell’esca che deve essere esatta e seducente al tempo stesso. Gli sembrò di leggere Il cimitero dei vivi e si mise a ridere. Ma ridere gli fece cadere dalle mani il volume, che s’acquattò nel bel mezzo della siepe.
- Mi è caduto! - urlò brevemente il vecchio scrittore. - Ma come s’intitola?
Da dietro la siepe odorosa nessuno rispose. Il vecchio scrittore tornò a poggiarsi sul divano, la maglietta impregnata del sudore colloso di agosto. Era stremato. Non appena fosse sorto il sole sarebbe andato lui a conoscere il nuovo vicino, e avrebbero recuperato il libro insieme. Si addormentò lì, con il proposito di andare a letto ma senza la volontà di alzarsi: succedeva così anche per la scrittura dei velleitari, oltre a quella dei vecchi.
Il mattino
Il sole ridette un senso di realtà al golfo di mare. Le palme in lontananza ondeggiavano mentre la luce schiariva le siepi e le faceva tornare dei semplici muri ornamentali che delimitavano le case. Le pompe automatiche dell’acqua scattarono per innaffiarle, insieme ai signorili prati all’inglese. Il vecchio scrittore aprì gli occhi e si ricordò subito, benché confusamente, del giovane scrittore e del libro sparito dentro il folto della siepe. Si alzò sorreggendosi in modo mal certo sulle gambe. Raggiunse il cancello, lo aprì, percorse il vialetto che lo separava dall’abitazione del giovane scrittore. E solo allora si accorse che non c’era nessuna casa, sulle transenne dello spazio vacante un cartello recitava: “In costruzione”.
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