Sono cresciuto, come tutti i millennial italiani, guardando film e serie tv d’America che immaginavano l’amicizia autentica, divertente, vincente tra maschi come un marchingegno semplice, alimentato da un carburante universale capace di fluidificare impacci, rigidità emotive e fisiche, brusche diffidenze e imperativi a non esprimere l’entusiasmo. Un carburante che, nelle scene in cui scorreva gloriosamente a fiumi o centellinato nell’intimità di franche conversazioni, fungeva dunque anche da lubrificante – come se festeggiare o volersi bene, per i maschi, fosse un fatto leggermente innaturale, da facilitare chimicamente per via di quell’oliante combustibile.

Parlo, ovviamente, della birra. Delle birrette in spiaggia con la chitarra, nelle loro bottiglie ambrate o smeraldine che tintinnano sullo schricchiolìo dei falò; dei barili metallici da cui tracannare birra a buon mercato alla partita di football; dei bicchieri rossi per la birra, soprattutto. I bicchieroni rossi spumeggianti. Chiunque abbia un televisore, o una connessione a internet, sa di cosa parlo: coppe di plastica vermiglia, che in Europa non si trovano facilmente e che invece, nell’America restituita dalla narrazione della giovinezza, non mancano mai ai festini suburbani quando i genitori lasciano casa vuota, a quelli in dormitorio quando finisce la stagione degli esami universitari, alle feste delle confraternite di soli maschi nelle frat-house sul ciglio del campus, nei ruoli vari che si affidano loro per giocare agli iconici drinking-games disegnati per raggiungere un tasso alcolemico che giustifichi l’euforia, la fratellanza, l’intimo compagnonaggio dello stare insieme.

Immaginario birresco

Ai mondiali di calcio, penso per la prima volta nella Storia, non si potrà consumare questa bevanda essenziale del tifo: lo vieta, per legge, il costume islamico, e dunque pare che Budweiser regalerà alla nazione vincitrice gli ettolitri di birra che prevedeva di vendere alle partite.

Mi sento un po’ moralista a pensare che, se ti serve la birra per godertelo, forse il calcio ti piace meno di quanto non pensi. D’altro canto è così che si traduce l’immaginario birraio che ho introdotto: neanche la birra, in sé, deve particolarmente piacerti; è il suo effetto sul contegno, soprattutto sul modo di interagire con gli altri, che conta. L’immaginario americano, in questo ambito, è difficile da emulare per noialtri europei che non consumiamo l’adolescenza nell’ansia puritana di un’illegalità anagrafica dell’alcol.

Io mi sono ubriacato la prima volta a tredici anni, in campeggio, e non mi è parso un particolare traguardo dell’adultità. Anzi, dopo il liceo mi è sempre parso più fico (più virile anche) mostrare che sono capace di bere senza ubriacarmi affatto. I miei studenti americani, fino ai primi anni dell’università, potrebbero invece essere addirittura arrestati se trovati in possesso di alcolici non accompagnati da un documento che attesti la maggiore età (che ammonta a 21, non a 18 anni, quaggiù). E quando bevono, come le rappresentazioni che di loro propongono cinema e tv, bevono specificamente per ubriacarsi: per socializzare in uno stato di ebbrezza che semplifichi, giustifichi, amplifichi. Carburante e lubrificante, come dicevo.

C’è insomma un aspetto di effettiva trasgressione e forte intenzionalità nell’imprinting alcolico performato dalla propaganda hollywoodiana: di comprensibile eppure sostanziale resistenza alla norma. La disponibilità, in Italia, scolla al contrario i drink dalla febbrile solennità di un rito di passaggio, e li fa meno mistici. Ciononostante, per chi come noi mediterranei ha visto i propri modelli di maschilità quotidiana socializzare intorno al fiasco – una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino – è sufficiente l’esotismo occidentale della birra da bicchierone rosso a suscitare una mimesi aspirazionale.

Quel che tendiamo a imitare è più profondo, strutturale e al contempo estetico: è un paradigma relazionale di genere. Per capire se uno ha davvero una chance a candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti, i sondaggisti verificano se gli elettori maschi gradirebbero o meno bere una birra con lui. Anche le donne ricorrono alla birra per manifestare una loro affinità gregaria col maschile: Lady Gaga, per dismettere le piume di struzzo da regina aliena e dichiararsi raggiungibile e pur sexy maschiaccia, ha fatto un tour sui banconi di veri pub di quartiere, con le spine della birra allineate; Madonna, col mignolo alzato come una sciantosa, ha fatto famosamente sbellicare dalle risate una serie di maschi di diverse etnie mostrando le proprie abilità orali sul collo di una bottiglia di birra. La birra conferisce a chi la beve una vicinanza, una prossimità amichevole, una sbottonata, verace autenticità.

Bibite di genere

Chi beve solo acqua ha qualcosa da nascondere. Lo diceva Baudelaire, tradotto da Morgan nel singolo di lancio dei primi vincitori di XFactor suoi protetti – un quartetto di pugliesi, tutti maschi, presto scomparsi dalle cronache. L’uomo da vino tuttavia, come Baudelaire medesimo, ha oggi un’aura diversa da quello da birra: non beve, necessariamente, per fare amicizia.

Devo ammettere che le mie esperienze di bevitore di gruppo ragazzino erano spesso, anche per questioni geografiche, predicate sul vino: la romanella in fraschetta ai Castelli, l’atroce vino “biodinamico” (ma che vuol dire?) della mensa della Scuola Normale Superiore, oste portace n’antro litro, e via dicendo. Il risultato però non cambia, e dunque forse precede il colonialismo americano d’immaginario che associa il maschile alla birra, e del vino fa un allegro pozzo per affogare malanimi invece femminili – le casalinghe disperate, coi loro ricolmi calici, Hillary Clinton che si dice amante dello chardonnay, tutto l’armamentario socio-erotico della “wine mom”, già in nuce nella milf primigenia di American Pie che iniziava sessualmente lo sfigato con la bottiglia di pinot da stappare, in spregio alla «bevanda dei cretini» consumata al piano di sopra dai suoi più disinvolti compagni di classe.

Qualunque sia la sostanza (alcolica o stupefacente) rimane il fatto che, tra maschi, una sostanza serva: la birra (la canna, il bicchiere, ecc.) è un medium, un intermediario necessario per interagire liberamente. Lo stordimento che comporta elimina la vergogna dell’affetto, agevola l’espressione di sé, consente un’estroversione altrimenti punita dalla buona creanza della condotta maschile. Il problema di chi beve solo acqua è che è un testimone credibile e vigile, una potenziale lucida spia, uno che ha la responsabilità di fare quel che fa.

Triangolo del diavolo

Non sono astemio, né starò certo qui a fare predicozzi da catechismo. La birra però, devo dire, non mi è mai piaciuta granché: la bevo (a differenza dei ben più gustosi cocktail – che però fanno troppo “sofisticato”, troppo poco maschio alla mano) quando la bevono gli altri, per non interrompere il patto di simpatia. Mi impensierisce però il fatto che sia necessario questo diaframma, questo collante, per connettersi profondamente rimanendo maschi.

Il più mostruoso giudice della corte suprema voluto da Trump, Brett Kavanaugh, ha spiegato le violenze di cui era accusato in gioventù tuonando in mondovisione «lo ammetto, mi piace la birra!». A chi sosteneva che il “Devil’s Triangle” menzionato nel suo compromettente annuario scolastico si riferisse a una pratica sessuale ha risposto che era invece un gioco tra ragazzini, di quelli in cui chi perde beve. L’Urban Dictionary tuttavia lo definiva già nel 2008 come una forma di sesso a tre: due uomini che, insieme ma senza toccarsi l’un l’altro o incrociare gli sguardi, concupiscono la stessa donna. Evidentemente, come si capisce leggendo quello sterminato capolavoro italiano sulla maschilità che è il romanzo La scuola cattolica di Edoardo Albinati, in quel tipo di triangolo il corpo femminile serve ad autorizzare l’incontro dei maschi, desiderosi ma incapaci di entrare altrimenti in contatto.

In proporzione minima la birra, con cui il giudice ultraconservatore significativamente sostituisce una sua presumibile vittima per discolparsi, funziona analogamente: un talismano etilico che connette menti e corpi altrimenti confinati in una distanza paranoica.

Lucida presenza

Ecco, sembra che stia qui a stigmatizzare le devianze giovanili e i fantomatici rave che tanto preoccupano il governo. Invece voglio dire che sperimentare con l’ebbrezza, con l’alterazione, è assai bello se fatto al sicuro, con l’intenzione appunto di sperimentare. Per essere vicini invece, intimi senza disturbare più di tanto i confini di una serena amicizia maschile, vale credo la pena emanciparsi dall’apparente sicurezza dell’alterazione. Guardarsi negli occhi, con lucida presenza, lasciando al folklore americano quei bicchieroni rossi in cui annegare l’imperativo all’inaffettività fuori dai confini del branco.


Il testo fa parte del nuovo numero della newsletter Cose da maschi. Per iscriverti clicca qui

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