Un’opera straordinaria di soccorso messa in atto dagli istituti religiosi femminili si svolse nella Capitale durante i mesi dell’occupazione tedesca dal settembre del ’43 al giugno del ’44. Suor Grazia Loparco, docente alla Pontificia facoltà dell’Auxilium, ha ricostruito la storia partendo dagli archivi delle case religiose
Un’opera immensa di soccorso compiuta a rischio della vita, certamente, ma anche superando pregiudizi e consuetudini radicate; in questa prospettiva è possibile leggere oggi l’impegno profuso dagli istituti religiosi romani in favore degli ebrei ricercati dai nazisti e dai fascisti repubblichini nei mesi dell’occupazione di Roma, dal settembre 1943 al giugno del 1944, quando infine la città venne liberata dagli Alleati.
Saranno mesi durissimi segnati da episodi drammatici: la deportazione degli ebrei, la strage delle Fosse Ardeatine, il rastrellamento del Quadraro. Le case religiose si aprirono in tutta la città: conventi, monasteri di clausura, curie generalizie e case dedicate a diverse attività, ospitarono migliaia di ebrei, ma anche partigiani, renitenti alla leva, politici, militari, gente in fuga dalla spietatezza degli occupanti.
Dagli inizi degli anni 2000, una religiosa, suor Grazia Loparco, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, docente all’Auxilium (Pontificia facoltà di scienze dell’educazione), l’unica facoltà pontificia affidata a una congregazione femminile, ha guidato una ricerca sugli istituti religiosi femminli e maschili, romani, per ricostruire nel dettaglio questa vicenda unica.
Certo, inevitabilmente, la questione s’intreccia con quella relativa al comportamento di Pio XII durante la guerra di fronte alla tragedia della Shoah; «tuttavia, quando abbiamo iniziato questo lavoro non c’era alcun intento specifico rispetto all’operato di Pacelli», ci chiarisce suor Grazia. Non c’è dubbio, però, che alla luce dei fatti, anche l’azione della Santa Sede rispetto alle persecuzioni degli ebrei, perlomeno nella Capitale, assume una luce nuova.
I salvati
Dalle prime fonti era emerso il numero di 3.657 ebrei nascosti in 100 istituti femminili, 45 maschili e in dieci parrocchie gestite dal clero diocesano; altri 680 rimasero nascosti per pochi giorni, per un totale di 4.447 persone. Dalle indagini condotte ormai attraverso un quarto di secolo raccogliendo testimonianze dirette, sia fra le religiose che fra gli ebrei che trovarono ospitalità negli istituti, studiando gli archivi delle diverse congregazioni femminili e maschili, quelli del Vaticano, e un’infinità di altra documentazione, risultano ulteriori dati.
In totale 191 istituti religiosi (127 femminili, 64 maschili) presenti in 248 edifici, vale a dire singole sedi, aprirono le porte ad ebrei e perseguitati; bisogna tener conto del fatto che molti istituti possedevano più edifici sparsi fra il centro e la periferia di Roma. Quella degli ebrei accolti negli istituti religiosi femminili della Capitale, è dunque, spiega suor Grazia, “una realtà complessa. Quindi a me sembra poco realistico generalizzare”.
La Santa Sede era informata di quanto avveniva a Roma? La risposta non può che essere affermativa, anche se ci furono diverse modalità di agire da parte delle stesse religiose.
«Ci sono infatti delle testimonianze che ci dicono come, il 16 ottobre, al mattino, i poveri ebrei che si sentono ormai accerchiati, fuggono e bussano alle porte, anche dei conventi, a volte senza conoscere nessuno e senza essere conosciuti. Certo, in quel frangente drammatico, alcuni istituti religiosi non hanno avuto il tempo di chiedere come comportarsi all’autorità ecclesiastica. Devo o non devo aprire, posso o non posso. Allora alcuni istituti hanno subito risposto positivamente e aperto i portoni di loro iniziativa a chi cercava rifugio. Altri istituti sono stati più prudenti. Hanno voluto chiedere: cosa ne dice il Vicariato, il Vaticano? Perché il Vicariato chiaramente era in diretta connessione col Vaticano. E quindi dopo qualche giorno o settimana hanno aperto».
La svolta del 16 ottobre
Il 16 ottobre del 1943 è il giorno della razzia degli ebrei romani rastrellati dai tedeschi e deportati nei lager. «Quello è il momento in cui inizia questa tragedia – spiega suor Grazia Loparco - che però non finisce il 16 ottobre perché fino a maggio ancora ci sono stati arresti, ancora nazisti e fascisti cercano gli ebrei nascosti, ci saranno anche delle irruzioni, per esempio al Fatebenefratelli».
In ogni caso, osserva suor Grazia, «il fatto che molti conventi di clausura, molti monasteri femminili, abbiano aperto le porte è un chiarissimo segno che c'era un’indicazione in tal senso da parte dei superiori. Quindi sono vere le due cose: da una parte c'è chi ha aperto e non ha atteso alcun permesso, c'è poi chi ha chiesto un orientamento ed ha ricevuto questa indicazione. Inoltre, dall'Archivio Apostolico Vaticano che ho potuto consultare, emerge in modo chiarissimo che molti si sono anche rivolti a Montini, alla Segreteria di Stato, al Papa. Chi si occupava della cosa era infatti direttamente Montini, che era il sostituto della Segreteria di Stato il quale quasi ogni giorno e, in alcuni mesi quotidianamente, soprattutto da gennaio-febbraio a marzo del ‘44 in cui si fece molto cruda la lotta in città, seguiva queste vicende. E Montini vedeva il Papa e quindi riportava senz’altro queste richieste».
Tuttavia, «direi che la maggioranza degli ebrei non si è rivolta alla Santa Sede, si è rivolta alle comunità religiose sparse sul territorio, in qualche caso attraverso delle conoscenze».
Oltre i pregiudizi
Ci sono poi dei casi particolari, che raccontano dell’intreccio complesso dei rapporti ebraico-cristiani. È la vicenda delle suore di Nostra Signora di Sion, fondate a Parigi a metà ‘800 da padre Alphonse-Marie Ratisbonne, un ebreo convertito. Inizialmente l’istituto ha come scopo quello della conversione degli ebrei ma, appunto durante le persecuzioni della Seconda guerra mondiale, avviene un rovesciamento completo della storia della congregazione.
Le sorelle di Nostra signora di Sion, contribuiscono a salvare 186 ebrei nella loro sede in via Garibaldi (oltre a partigiani, antifascisti ex prigionieri), che resta il numero più alto di ebrei messi in salvo da un istituto religioso femminile della Capitale durante la guerra; 6 religiose e un padre di Sion, sono stati riconosciuti come «giusti fra le nazioni» dallo Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto in Israele. Non solo. La stessa congregazione, alcun anni dopo dopo la liberazione, è diventata un centro propulsore del dialogo ebraico-cristiano.
Quindi l’opera di soccorso ha cambiato anche la percezione dell’altro, gli ha restituito la sua umanità oltre il pregiudizio. «Secondo me – osserva suor Grazia – ha cambiato un po’ la percezione reciproca di cattolici ed ebrei. Senza generalizzare anche qui, però abbiamo delle storie, delle lettere, delle amicizie che sono continuate per tanto tempo tra religiose ed ebrei ospitati nelle case religiose».
Un equilibrio precario
Se i romani sapevano di quest’opera ininterrotta di salvataggio, del ruolo svolto dagli istituti religiosi femminili, è facilmente immaginabile che anche i tedeschi ne fossero a conoscenza, anche perché collaboravano con i fascisti italiani.
«Che i nazisti sapessero è convinzione diffusa, d’altro canto quando decidevano di entrare in un istituto erano ben informati; o perché stavano cercando una persona in particolare o a causa delle spiate di qualcuno dato che, va ricordato, in tal modo quelli che rivelavano i nascondigli degli ebrei, che li denunciavano, guadagnavano delle somme di denaro. In realtà i nazisti sapevano che c'era chi si nascondeva nelle case religiose, tant'è vero che, di fronte alla minaccia, moltissimi istituti si erano muniti di un cartello bilingue, in italiano e tedesco, controfirmato da due autorità, il Governatorato della Città del Vaticano e dal comando tedesco che era nelle mani del generale Reiner Sthael, con su scritto: “proprietà della Santa Sede”, pur non essendo sedi extraterritoriali; e in effetti quando volevano fare un’irruzione, i tedeschi la facevano. Diciamo che c’era un tacito compromesso, una situazione di equilibrio precario, anche pericoloso e sfuggente».
Insomma a Roma, “città aperta”, la Chiesa agisce in prima persona, si muove per salvare ebrei e ricercati, mentre tutt’introno infuria la guerra e la città resiste ai nazisti. «Io posso dirle questo – spiega suor Grazia Loparco – cioè che oggi come oggi anche negli studi seri fatti da ricercatori laici, non cattolici o ebrei, trovo che non si mette più in discussione l’aiuto dato dalle istituzioni ecclesiastiche, perché è impossibile dire non vi sia stato, questo è assodato.
Riguardo a Pio XII, sono tanti gli aspetti implicati che la questione può essere osservata da diversi punti di vista. Io non mi sento di giudicare perché non ho gli elementi complessivi della trama, però posso dire che sotto questo aspetto è chiaro che la Santa Sede non solo era informata, ma appoggiava quest’opera e ha dato un sostegno diretto e indiretto a molti ebrei, partendo da quelli battezzati, certo, e però poi allargando anche ai non battezzati; questo è un dato incontestabile ormai. Quest’opera articolata, pressante, cresciuta di giorno in giorno sul tavolo di Montini, sta dentro un quadro più ampio per cui si possono fare delle altre riflessioni e altri approfondimenti».
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