Per i videogiochi, finire nel mirino dell’estrema destra online è prassi fin troppo comune. Gli ultimi casi sono stati Assassin’s Creed Shadows e Ghost of Yotei, titoli sviluppati rispettivamente da Ubisoft e Sucker Punch Productions – in uscita nel corso del 2025 – nelle scorse settimane al centro delle solite polemiche che ormai da una decina di anni infiammano il dibattito nel settore.

Le accuse? I due titoli avrebbero “abbracciato” la “propaganda woke”, lo spauracchio sempre urlato dall’alt-right (ovvero l’ultra – e non plus ultra – destra) per screditare qualunque lettura progressista nei videogiochi. Una parola che sembra aver contagiato un po’ tutto lo spettro politico, coinvolgendo anche il centro moderato e la sinistra. Le motivazioni? Uno dei due protagonisti del nuovo capitolo di Assassin’s Creed (franchise che ha sempre rappresentato protagonisti di etnie e provenienze differenti) è un samurai nero, mentre in Ghost of Yotei – ambientato sempre nel Giappone feudale – la protagonista è una guerriera.

Gli argomenti contro

Nella retorica fascistoide online tra X e YouTube, il rifugio prediletto è l’accuratezza storica. È l’argomento brandito per denunciare come questi due videogiochi sarebbero inaccurati per il genere e l’etnia dei protagonisti. Un “rifugio” sempre molto scivoloso e in questo caso inesistente. Se pure esistesse, non basterebbe a giustificare le campagne di odio online che ormai dai tempi del Gamer Gate sono incessanti e ripetitive.

Un segnale che l’industria dei videogiochi, internet, e il dibattito politico, da quel 2014 non si sono mai veramente ripresi; il Gamer Gate, cioè quello scandalo di molestie e bullismo online contro sviluppatrici e giornaliste del settore – definito anche come “l’inizio del peggio di internet” secondo Il Post, rappresenta una ferita ancora aperta. Da quel momento, i videogiochi sono diventati un terreno di scontro valoriale abbastanza sanguinoso. Basti vedere i casi di Black Myth Wukong e The Last of Us.

Assassin’s Creed Shadows

Uno dei protagonisti di Shadows, Yasuke, è in verità un personaggio storico di cui si hanno diverse testimonianze durante quel periodo che – per comodità – in occidente è stato chiamato “Giappone feudale”. Ed è stato anche protagonista di una serie fantasy pubblicata da Netflix nel 2021 e prodotta da Studio Mappa (Chainsaw Man, Tokyo Ghoul). «Di Yasuke si hanno poche informazioni prima del 1581, è arrivato in Giappone dal Mozambico nel 1579. Era uno fra vari uomini di provenienza africana arrivati a bordo di navi portoghesi come servitori o schiavi di mercanti e missionari», spiega a Domani Sonia Favi, ricercatrice e docente di storia del Giappone all’Università di Torino.

«Yasuke giunse in Giappone accompagnando il gesuita Alessandro Valignano, come scorta, o servitore. La popolazione dell’arcipelago non era mai venuta a contatto con persone nere in precedenza, stando alle fonti che abbiamo, anche perché il Giappone non aveva mai partecipato alla tratta degli schiavi africani».

Favi spiega che i giapponesi mostrarono molta curiosità nei confronti di Yasuke, tanto da attirare le attenzioni del signore locale di Kyoto, il daimyō Oda Nobunaga «che stava portando avanti una campagna di riunificazione militare del Giappone, all’epoca suddiviso in vari stati indipendenti». «Nobunaga rimase colpito da Yasuke – continua Favi - Fra i due si stabilì uno stretto rapporto di lealtà e amicizia, e, in accordo con Valignano, Yasuke entrò infine come samurai al servizio del daimyō, rimanendovi fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta l’anno successivo. Per quanto ne sappiamo, fu l’unica persona nera ad assumere una carica simile, anche se non l’unico straniero».

Ghost of Yotei

Il personaggio di Atsu, così come Naoe Fujibayashi – figlia fittizia dello shinobi Fujibayashi Nagato, altra protagonista del videogioco Ubisoft – è una guerriera errante al centro – questa volta – della narrazione di Ghost of Yotei, il sequel di Ghost of Tsushima, videogioco a mondo aperto del luglio 2020 sviluppato dalla casa di produzione Usa Sucker Punch. A finire nel mirino sono state sia la protagonista del gioco sia l’interprete, Erika Ishii, persona non binaria. Quest’ultima ha ricevuto un’ondata di messaggi d’odio su X, il social di Musk.

Secondo i reazionari del web, una donna – in quell’epoca - non sarebbe mai potuta diventare una guerriera. Ma, anche in questo caso, la docente Sonia Favi smonta questa retorica, spiegando: «Il 1603, l’anno in cui è ambientato Ghost of Yotei, è un importante anno di transizione. L’arcipelago giapponese usciva da un’epoca turbolenta, un secolo e mezzo di guerre quasi continue in cui, di fatto, non esisteva un unico “Giappone” ma tanti stati indipendenti».

E continua: «Il 1603 venne nominato shōgun Tokugawa Ieyasu. Da quel momento in poi il Giappone, come stato parzialmente centralizzato, attraversò una fase di relativa pace e cominciò a svilupparsi nella direzione di una proto-modernità. Allo stesso tempo, i samurai divennero (progressivamente) una classe chiusa e strettamente regolamentata. L’uso delle armi venne sottoposto a rigide norme anche per gli uomini, che potevano imbracciarle solo in rare circostanze, e diventò essenzialmente impossibile per le donne».

«Atsu, la protagonista del gioco, è però figlia dell’epoca precedente. Nel periodo turbolento che precedette la presa di potere dei Tokugawa, vi sono varie attestazioni riguardo alla presenza di donne sul campo di battaglia. Se le donne ai vertici dell’élite militare erano principalmente relegate al ruolo di “merce di scambio” (con eccezioni), in alleanze politiche suggellate da matrimoni, ai livelli più bassi della classe militare era consueto che le donne fossero chiamate a un ruolo attivo come spie e combattenti».

Un’altra prospettiva

Secondo Favi, è sempre importante analizzare qualunque periodo storico da «prospettive diverse rispetto alla storia istituzionale». «Ciò include anche la storia delle donne, o di altri gruppi sociali non al vertice del potere. Spesso, in passato, la ricostruzione storica si è basata esclusivamente sull’uso di documenti ufficiali, ma questi offrono una prospettiva parziale». E continua: «Approcci storici come la storia sociale hanno ampliato di molto il nostro orizzonte».

Giochi come Ghost of Tsushima sono stati però criticati anche dalla parte opposta dello spettro politico, poiché richiamano e alimentano un’idea del Giappone nazionalista e autoritaria, nonché il classico sguardo europeo/occidentale sul paese del Sol Levante. «Soprattutto dagli anni Ottanta del Novecento, vi è stato un riemergere di ideologie nazionaliste, che si sono manifestate in vari fenomeni. Il più famoso è quello del Nihonron, o Nihonjinron, cioè le “teorie sui giapponesi”, che promuovevano l’idea di uniformità e unicità del popolo giapponese», spiega Favi.

Nazionalismo e tradizione, rielaborate o “inventate” a fini ideologici, vanno a braccetto, continua la docente e ricercatrice. «Il passato può certamente essere ricostruito strategicamente. Questo avviene spesso nelle strategie di soft-power. E due videogiochi ad ampia diffusione potrebbero certamente contribuire a questo genere di obiettivo».

© Riproduzione riservata