- Per secoli il “delitto d’onore”, come il “matrimonio riparatore”, sono state pratiche legalmente riconosciute nell’ambito penale come dispositivi che sancivano una ben evidente differenza nel concetto di onore tra i due sessi.
- Questa differenza era l’evidente traccia di una discriminazione: l’onore è qualcosa che l’uomo “conquista” mentre la donna lo “difende”. Il concetto è eticamente ambiguo e, forse, da superare.
- Dovremmo imparare finalmente che nei rapporti umani qualsiasi valore o ideale che serva a fare a meno di un’etica paritaria e condivisa dovrebbe essere messo in discussione. Le questioni d’onore andrebbero una volta per tutte messe in questione. Il testo fa parte del nuovo numero della newsletter Cose da maschi. Clicca qui per iscriverti.
Dice il vocabolario che “onore” significa “sentimento per cui uno ha cura della propria fama, della propria reputazione”. Che sia un sentimento mi pare una cosa molto interessante, ma che dipenda da un valore sociale e storico, diverso da cultura a cultura, come la “fama” e la “reputazione”, invece mi preoccupa molto. Vuol dire che una cosa che mi sta molto a cuore, che mi suscita un sentimento, dipende molto poco da me: dipende da quello che la società in quel momento ritiene giusto per il mio genere, la mia posizione sociale, il mio mestiere, la mia provenienza.
Che l’onore dipenda molto poco dai soggetti che provano ad averne un po’ lo dimostra quanto sia tradizionalmente diverso a seconda del sesso: per gli uomini è considerato qualcosa da conquistare e mantenere con le opere, le azioni, i “fatti” la cui notizia e la cui certezza conferiscono appunto onore (o lo tolgono); per le donne, l’onore è storicamente considerato qualcosa di legato al loro corpo, e a chi ne ha accesso e come – la verginità insomma, e, più in generale, la sessualità.
La traccia di una discriminazione
Per secoli il “delitto d’onore”, come il “matrimonio riparatore”, sono state pratiche legalmente riconosciute nell’ambito penale come dispositivi che sancivano una ben evidente differenza nel concetto di onore tra i due sessi.
Questa differenza era l’evidente traccia di una discriminazione: l’onore è qualcosa che l’uomo “conquista” mentre la donna lo “difende”; in più, per l’uomo l’onore è un concetto attivamente sociale – riguarda il rapporto con la sua comunità di appartenenza e con la sua famiglia come parte di quella comunità – mentre per la donna è del tutto passivo, visto che può solo mantenerlo, o perderlo una volta per tutte.
A questi aspetti discriminatori molto evidenti nelle società occidentali sedicenti democratiche, aggiungiamo il fatto che in qualsiasi comunità o gruppo fondatǝ sull’onore invece che sulla legge – i Beduini, i cowboys, gli aristocratici di ogni tempo, i mafiosi (uomini d’onore per loro stessa definizione), per i quali la legge e i suoi rappresentanti erano assenti, lontani o avversari – il vantaggio dell’onore rispetto alla legge sta nell’ispirare timore, nel suggerire vendetta, con soluzioni rapide a questioni che non si risolverebbero altrimenti in tempi e modi considerati giusti.
Proprio però quando la legge, le istituzioni o la tradizione culturale mostrano il loro lato peggiore, si è chiamato onore anche la spinta morale per azioni rivoluzionarie, per rivendicazioni sensate: Franca Viola, non accettando il matrimonio riparatore, si è battuta per il suo onore contro l’idea di onore maschilista che l’avrebbe voluta sposata al suo stupratore; si parla di rispettare l’onore dei migranti per sostenerne il salvataggio e l’accoglienza.
Di solito quando una pratica molesta, offensiva o crudele viene riconosciuta come “disumana” allora l’onore più forte è quello di chi subisce, e diventa il motore di un’azione collettiva che mostra come disonorevole ciò che fino a quel momento era prassi, abitudine o persino legge.
Un concetto ambiguo
Forse sarebbe ora di fare del tutto a meno di un concetto così ambiguo. La sua ambiguità, e il suo senso usabile in contesti e direzioni tanto diversi, è dovuto al suo situarsi al confine tra due concetti che molto spesso si usano come sinonimi, ma non lo sono affatto: quello di morale e quello di etica. Il senso morale è quello che guida persone e gruppi ad agire secondo valori e norme condivisi; L’etica è lo studio della morale, la sua valutazione alla luce di valori più importanti o morali contrastanti di altre persone o gruppi.
Una morale possiamo darcela da soli, e possiamo decidere che l’onore è uno dei valori principali da rispettare; sul piano etico però, sarà difficile che lo stesso significato di onore possa resistere quando lo si vuole far rientrare in un’etica, perché per sua natura si sottrae alla parità, alla condivisione, alla comparazione equilibrata con altri “onori”. Con una parola abusatissima ma per una volta sensata: l’onore è un sentimento divisivo.
Questo suo potere polarizzante, che permette solo di essere “pro” o “contro” di esso, porta a trasformare l’onore in timore per la propria reputazione; l’onore è sia quello che impedisce ancora oggi a molte donne di condurre una vita relazionale e sessuale secondo i propri desideri, sia quello che impedisce a molti uomini di curare e sviluppare un sano rapporto con i propri sentimenti e con la loro espressione, specialmente verso i congeneri.
L’onore come taciuto ma solido legame tradizionale è anche quello che trasforma un rapporto di appartenenza, pur solo formale, in un bieco cameratismo complice, attraverso la paura di mostrarsi “diverso” dal gruppo, o non in accordo con il comportamento collettivo – la paura di disonorarsi agli occhi degli amici, dei commilitoni, dei colleghi, dei compagni.
Questioniamo l’onore
Sempre l’onore può diventare l’insindacabile motivo personale per cui qualcunǝ può decidere un gesto di rottura o di cambiamento; giustificando così l’assenza di spiegazioni, la mancanza di comunicazioni nei confronti delle persone intorno a sé, che da quella decisione possono avere conseguenze spiacevoli; l’onore, come sentimento esclusivamente personale, rende spesso giustificabile una vendetta.
In una società che finalmente comincia a riconoscere soggettività molto diverse dalla solita tradizionale coppia morale eteronormata, e che ha cominciato a capire che in quelle diversità ci sono occasioni per costruire un’etica comune molto più paritaria, giusta e sensata, probabilmente è il caso di fare a meno del concetto di onore, così facilmente strumentalizzabile e pericolosamente frustrante.
Dovremmo aver imparato dall’infinita serie di guerre con la quale l’umanità si è straziata e continua a darsi sofferenze che l’onore torna utile, stranamente e ambiguamente, sia a chi attacca sia a chi si difende – forse perché serve solo alla guerra in sé, a un continuo conflitto polarizzante e irrisolvibile.
Dovremmo imparare finalmente che nei rapporti umani qualsiasi valore o ideale che serva a fare a meno di un’etica paritaria e condivisa dovrebbe essere messo in discussione. Le questioni d’onore andrebbero una volta per tutte messe in questione, e abbandonate.
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