Si svesta, si tolga il cappello e appoggi tutto sulla cassapanca che vede ai piedi del mio letto. Si levi anche il cardigan: la stanza è abbastanza riscaldata da consentirle di rimanere in maniche di camicia. Mi dispiacerebbe dover contare su un lettore accaldato. La casa, fin quando non arriverà il prossimo ospite, le appartiene completamente. Mi permetto di suggerirle la sedia che troverà nel salone: quella con i braccioli e lo schienale in velluto. Vada a prenderla, e si sieda qui davanti a me.

Noi due, mi pare chiaro, ci assomigliamo molto. Come faccio a esserne tanto sicuro? Ci rifletta: crede siano molti quelli disposti a perdere una giornata di lavoro per la ragione per cui la sta perdendo lei? In quanti, tra tutti quelli che lei conosce, avrebbero suonato il campanello di uno sconosciuto, e per la ragione per cui l’ha appena fatto lei? Senza tener conto che lei, una volta che nessuno è venuto ad accoglierla, ha spinto la porta socchiusa e ha timidamente infilato la testa in tutte le stanze e solo dopo molti stipiti varcati senza trovare anima viva, si è accorto di questa camera da letto. Una curiosità pervicace, la sua, non crede? Gliel’ho detto che io e lei ci assomigliamo molto.

L’annuncio

L’annuncio che ho dato da pubblicare sull’Observer è stato un piccolo capolavoro. Un amo a cui non avrebbe potuto rimanere indifferente. Ho impiegato un pomeriggio intero per scriverlo, ma n’è valsa la pena. Una dopo l’altra ho scelto le parole, gli a capo, l’ouverture e la chiusura. Un haiku commerciale, lo chiamerei così. Sono più che sicuro che avrà strabuzzato gli occhi nel trovarselo davanti. Se porta gli occhiali, se li sarà levati. Se non li porta avrà pensato di averne bisogno. «Vaso raro/porcellana blu, soprasmalto rosso e oro/ Dinastia Qing». Non credo le capiterà più di leggere tre righe così sensuali.

Ora mi ascolti: nel mio studio, dentro la vetrinetta a fianco al bovindo, troverà i liquori. Mi capirà se ho gettato quelli poco inclini a invecchiare bene. Vada, si scelga anche il bicchiere più adatto e ritorni qui da me.

Tennessee Whisky. Sette anni in fusti di rovere preventivamente bruciati al loro interno; l’unico a essere filtrato con la carbonella di acero bianco. E si tolga quella faccia stupita, altrimenti che espressione assumerà ora che le dirò anche il bicchiere in cui se l’è versato. Tozzo e un po’ imbrunito: dia un’occhiata sul fondo. Monday Glass, 1919. Prima della guerra sembravano fossero solo loro a sapere in quale bicchiere andasse servito il whisky. Vorrei che le fosse chiaro che il mio non è un gioco di prestigio, non l’ho fatto né per sorprenderla né per ostentare la mia perspicacia. È assai più semplice di quanto non sembri: anch’io avrei fatto le sue stesse scelte. Dunque, alla sua, e grazie per essere venuto qui.

A meno che non sia l’uomo di Leicester, di cui ricevetti la telefonata il giorno stesso che il primo annuncio fu pubblicato sull’Observer, lei non è il primo a sedere, con questi fogli in mano, a due passi dal mio letto. Lo sto dicendo per tranquillizzarla.

E se si atterrà alle mie disposizioni non sarà neanche l’ultimo, e dopo di lei ce ne saranno altri. Al contrario, se riterrà di agire diversamente da come le supplicherò di comportarsi con queste righe, dopo di lei tutto sarà finito. Toccherà a lei decidere se questa storia merita o no di proseguire. Una volta arrivato alla fine della lettera, provveda a versarsi un secondo bicchiere.

Mi guardi. Distolga lo sguardo da questi fogli e mi guardi. Sbaglio di molto se dico che non difetta di nulla, questa mia immagine, per essere scambiata per quella di un uomo che riposa nel suo letto? Ho la testa sul cuscino, indosso il pigiama e gli occhiali sono in una bustina di pelle sul comodino. C’è perfino un libro riverso sul pavimento, come mi fossi addormentato mentre lo stavo leggendo. Eppure lei, che ha gusto per gli alcolici e sensibilità per le porcellane giapponesi, avrà intuito che io non sono nel bel mezzo di una pennichella postprandiale né di un sonno notturno che abbia superato la sveglia.

Quanti giorni

Ugualmente facile da capirsi, oltre al fatto che sono morto, è che non so quanto tempo sia trascorso dal giorno del mio trapasso. Magari una settimana, o meno; forse più di un mese; chi può dirlo: quasi un anno.

Spero di non deluderla più di quanto non abbia già fatto fin qui la mia prosa un po’ lambiccata, un po’ antiquata. Mi presento a suo beneficio. Sono stato un collezionista. Gioielli, libri, specchi, tappeti, tabacchiere, armi, abiti, ventagli, giocattoli: ho collezionato ogni cosa. Ho parassitato il mondo e l’ho cristallizzato, in miniatura, tra le mie mura di casa. È stata tutta così, la mia vita: in una mano l’esca e nell’altra una teca di vetro.

E dato che lei è qui, non farà uno sforzo eccessivo per comprendermi. È un demone, quello della collezione. Sarò presuntuoso, ma credo che lei stia annuendo. Ho sempre desiderato poter possedere un esemplare di ogni cosa. Ecco perché io e lei siamo qui.

Ora è il momento giusto per versarsi il secondo bicchiere di whisky.

Voglio collezionarmi, e voglio che lei mi assista in questa mia opera. Senza di lei, non potrei farlo. Senza di ognuno di voi che siete venuti nella mia casa attratti da quel vaso di porcellana Qing, io non potrei collezionare me stesso. Un’impresa cui nessuno prima di me si è mai avvicinato.

Ecco quel che c’è da fare, nulla a dispetto di quanto lei si immagini. Appena qualche servizio domestico che le richiederà poco tempo e poca fatica. A me è toccata la parte più difficile, se vuole concedermelo.

Omettendo il suicidio su questo letto, la cosa più complessa è stata l’accordo preso con l’Observer, che s’è visto arrivare in redazione una busta sigillata contenente: l’annuncio da pubblicare; una lettera che disponeva che quelle tre righe andassero in stampa una volta a settimana; i contanti per pagare questa strana richiesta per i successivi vent’anni da allora.

Regali

Ed ecco qui ciò che le chiedo. Tolga la polvere che si è depositata in giro per la casa. La tolga dai divani, dagli scaffali della libreria, dalle mensole: badi a farlo con minuzia. Non dovrebbe essercene granché: non è che ci sia stato un grande andirivieni ultimamente da queste parti. Lavi poi il bicchiere in cui ha bevuto e lo rimetta nella cristalliera, e riporti la sedia in salotto.

Mi raccomando di sollevarla, altrimenti dovrà pulire di nuovo il pavimento. Dia aria alle stanze. In ognuna di queste troverà una finestra, la apra, alzi le serrande per qualche minuto e poi richiuda tutto. Non si soffermi sulla mia camera da letto: in previsione di questa mia opera avevo provveduto a far installare un impianto che si occupasse dell’aerazione senza bisogno dell’ausilio umano.

Si rivesta, il cappello e il resto dovrebbero essere sulla cassapanca, ma non si faccia ancora prendere dalla nostalgia. Posi questa lettera sul comodino, lì dove l’ha raccolta.

È arrivato il momento che le dia la ricompensa che ho pensato si meriti in cambio della sua pazienza. È un’inezia, lo so, ma spero la gradirà ugualmente. Faccia un giro per la casa e si prenda il tempo che desidera e scelga l’oggetto che predilige.

Purtroppo il vaso giapponese non è parte della mia collezione, l’ho usato solo per attirarla. Prenda quello che più di tutti gli altri le ha fatto brillare l’occhio da quando è entrato in casa mia.

A parte la sedia con lo schienale in velluto e il bicchiere della Monday Glass da cui ha bevuto, può portarsi via tutto. Quelli no, sono i miei oggetti scenici.

Mi prometta però che sceglierà con comodo e con cura: è l’unico modo con cui rendere omaggio a questa mia arca di Noè, in cui un esemplare di tutto è custodito per sempre.

Dopo potrà andarsene. E porti pazienza ora se le do un ultimo suggerimento. Si tiri dietro il portone con delicatezza, la porta deve rimanere socchiusa. Prometta infine a sé stesso di non parlarne con nessuno.

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