- Era una mattina di fine agosto e i coniugi Gron stavano ordinando due cocktail paloma nel loro classico stabilimento per noiosi benestanti
- La signora Gron già pregustava l’aragosta che avrebbe ordinato per pranzo quando all’improvviso la luce sul mare cambiò
- Dal monte che sovrastava il golfo si alzarono nubi nere e si sentì un boato, ma i signori Gron rimasero fermi nella loro pagoda
Era il classico stabilimento per noiosi benestanti: quando arrivavi i bagnini ti aprivano l’ombrellone e le docce erano dotate di acqua calda.
«Vuoi un gin tonic o un paloma?», chiese la signora Gron a suo marito.
«Un paloma? Ma non è quel cocktail che adorano i messicani?», rispose indispettito il signor Gron.
«Io lo adoro», ribatté la signora Gron. «È dissetante, è perfetto per le undici del mattino».
Il cameriere in livrea bianca aspettava l’ordine dritto impalato sotto il sole, non azzardandosi a invadere la proprietà privata della pagoda familiare.
«Chi tace acconsente», stabilì la signora Gron. «Due cocktail paloma. Tequila, succo di lime e soda al pompelmo. Solitamente si aggiunge anche un pizzico di sale».
Il cameriere annotò l’ordine e diligente si allontanò.
«E per Giorgina?», chiese la signora Gron, mentre si toglieva il cappello di paglia.
Il signor Gron si abbassò i Ray-Ban a goccia sul naso, e prese un tono canzonatorio: «Giorgina ha il mare tutto per lei. Siamo noi che dobbiamo ristorarci».
La signora Gron scosse la testa in segno di disapprovazione ma in realtà stava sogghignando: «Giorgina sarà già all’ombrellone del dottor Martora».
«Simpatico il dottore», sottolineò il signor Gron, guardando le file di ombrelloni dietro di loro. «In quale fila l’hanno messo quest’anno?».
«La terza o la quarta, è ancora giovane, credo uno specializzando».
«Vuoi dire che tra qualche anno ce lo vedremo sotto una pagoda in prima fila?».
«Lo spero, caro», confermò la signora Gron, stendendo un telo su uno dei lettini, che erano di un bianco così candido da battere perfino i loro vestiti di lino.
«Giorgina con le sue borse è stata quotata in borsa», riprese il signor Gron. «Non voglio che s’intrattenga con uno specializzando di terza o quarta fila».
«Oh, caro, quanto sei inflessibile. È estate, in fondo. Te lo ricordi?».
Il signor Gron s’imbronciò per una frazione di secondo: «Ferragosto è già passato, settembre è dietro l’angolo».
«Per pranzo ho voglia di un’aragosta», disse la signora Gron, ignorando quei discorsi.
La tenebra sullo stabilimento
In quel momento la luce sul mare cambiò, come se il sole fosse stato una lampadina bruciata all’improvviso, e sullo stabilimento calò una tenebra parziale.
«Che succede?», domandò il signor Gron, più indispettito che preoccupato.
«Niente, l’hai appena detto tu. È la fine di agosto, il tempo è pazzerello».
«Perché quei bagnanti se ne vanno dal bagnasciuga?».
«Un po’ di vento, caro».
Il signor Gron si lisciò la barba incanutita, che gli donava un aspetto imponente. «Bene, così finalmente ci godremo la spiaggia senza tutta questa gentaglia che fa baccano in riva al mare».
Intanto un nero definitivo era spuntato dall’orizzonte, e adesso nuvole compatte stazionavano sopra l’acqua, rendendone la superficie oscura e senza riflessi, come uno specchio impenetrabile. Alla pagoda dei Gron arrivarono il vecchio colonello Bissat e sua moglie.
«Tempo da lupi, oggi», esordì il colonello Bissat, sedendosi.
«È in arrivo un fortunale estivo?», domandò il signor Gron.
«Non ho guardato le previsioni meteo», ammise con candore il colonnello Bissat. «Ma mi ha stupito che lo stabilimento avesse chiuso i cancelli».
«Chiusi i cancelli?», si stupì la signora Gron. «Ma che corbelleria è mai questa?».
«Stanno issando la bandiera rossa», fece notare la moglie del colonnello.
«Be’, vengo in questo stabilimento da quando ero bambina, e di bandiere rosse ne ho viste a bizzeffe, ma per quale motivo chiudono i cancelli?».
«Forse si sono chiusi da soli, è solo ferro battuto che gira su dei cardini arrugginiti», provò a ragionare il colonello Bissat. «Sarà stata una raffica di vento».
«Spero solo che nella rimessa delle barche sia tutto sotto controllo», osservò la signora Gron. «Non voglio che succeda niente al nostro motoscafo, ci tengo così tanto, era di mio padre».
Proprio in quel momento si unirono al gruppo Giorgina e il dottor Martora.
«Ciao mamma, ciao papà, buongiorno a tutti», esordì Giorgina. «Conoscete già il dottore, vero?».
Il gruppo annuì senza entusiasmo.
«Altro che dottore, specializzando…», sussurrò il signor Gron verso la signora Gron.
«A quanto pare c’è il rischio di una tromba d’aria», disse il dottor Martora.
«Cosa?», disse la moglie del colonello.
«Sì, gli stabilimenti del golfo stanno decidendo se fare sgomberare la spiaggia, e c’è un comunicato di allerta meteo diramato dalla guardia costiera».
Quasi a sottolineare le parole del dottor Martora dal monte che sovrastava il golfo giunsero altre nubi nere, e si udì come un boato prodotto dal vento forte.
«Ma viene dal mare o dal monte?», chiese il signor Gron.
«A quanto pare siamo accerchiati», rispose il dottor Martora.
Fare finta di niente
Per un po’ fecero come se nulla fosse, cercando di riprendere le conversazioni di sempre, un mix di attualità e politica, in cui si divertivano a interpretare sempre la stessa parte: i signori Gron insieme al colonello Bisett e la moglie erano i conservatori, mentre Giorgina e il dottor Martora i progressisti. Poi in lontananza videro volare i primi ombrelloni.
«Forse è pericoloso!», gridò la moglie del colonello.
«Ma cosa dici, cara, non vedi che volano gli ombrelloni dell’ultima fila? Lo sanno tutti che vicino alla docce c’è poca sabbia e vengono piantati solo per fare qualche soldo in più», disse con molta calma la signora Gron.
«Voi dite?», fece il colonello Bisset, che pareva impaurito come e più della moglie.
«Sarà già tutto finito, i bagnini si staranno occupando della situazione», osservò il signor Gron, al solo scopo di spalleggiare la sua consorte.
Il mare intanto stava ingrossando e alti cavalloni stavano spazzando l’arenile, fin quasi alla pagoda dei Gron.
«È meglio andarcene, finché siamo in tempo», ruppe gli indugi il dottor Martora. «Potrebbe mettersi molto male».
A quelle parole il signor Gron si rizzò dal suo lettino: «Ragazzo hai un po’ troppa immaginazione per intraprendere la carriera medica o sbaglio? È solo un temporale estivo, bisogna aspettare che passi».
La signora Gron aveva preso a passeggiare inquieta dentro la pagoda: «Ma dove sono finiti i drink che avevamo chiesto? Sarà già passata una buona mezz’ora e non si vede un cameriere che sia uno! Viste le cifre assurde che paghiamo mi sembra oltraggioso che il servizio lasci così tanto a desiderare. Quando sarà il momento di saldare il conto in direzione mi sentono…».
Volarono altri ombrelloni, sembravano razzi sparati in cielo per una festa di paese. Saltarono tutti quelli della sesta e quinta fila, e anche qualcuno della quarta e della terza.
«Attacco di mare e attacco di terra!», disse beffardo il colonello Bisset. «Meglio di uno sbarco amaricano».
«L’unica soluzione è spostarsi dietro quegli scogli laggiù, se non altro saremo più riparati», propose il dottor Martora.
La signora Gron iniziò a sghignazzare: «Quella laggiù è la spiaggia libera. Ma dico siete diventati matti? Io non ci vado laggiù, io non mi sposto dalla mia pagoda».
Il dottor Martora la guardò esterrefatto: «Signora, la tempesta non distingue tra ricchi e poveri».
«Oh, piano con queste discussioni!», disse il signor Gron, «I tuoi discorsi da artista arrabbiato non sono accettabili».
«Stanno volando altri ombrelloni, la gente scappa!», disse il colonello Bisset.
«E il mare si sta divorando la costa, presto sarà qui», gli fece ecco sua moglie.
Un fulmine si schiantò a due passi dalla pagoda, avviando una tempesta elettrica che innervò il cielo già annerito di saette gialle.
«Non è possibile», ripeteva tra sé la signora Gron. «Dove sono i nostri paloma? Ne avrei voluto uno ogni mezz’ora fino al pranzo, e poi avrei voluto un’aragosta. Io non voglio rinunciare a tutto questo, non voglio!».
Giorgina che s’era chiusa in un silenzio meditabondo fino a quel momento sbottò: «Io vado a farmi un bel bagno! Questa tempesta è così eccitante!».
La videro correre verso il mare e sparire in quell’abisso marino.
«Giorgina no! Non andare!», gridò il dottor Martora, che però venne trattenuto sotto la pagoda sia dal signor Gron che dal colonello Bisset.
«Moriremo tutti, non è così?», disse la moglie del colonello.
Se si fossero voltati verso lo stabilimento, se si fossero presi la briga di guardare per davvero, avrebbero visto una landa desolata, senza più nessuno. Né bagnanti né bagnini né camerieri: erano tutti scappati.
«Nessuno porta un cavolo di menù in questo stabilimento? Ma chi ha fame cosa mangia a pranzo? C’è qualcuno che può dirmi il pescato del giorno? O prepararmi un sauté di cozze e vongole? Ci saranno almeno due spaghetti di mare o un fritto?», ripeteva come in trance la signora Gron.
Il dottor Martora con un balzo riuscì a scappare dalla pagoda e raggiungere gli scogli della spiaggia libera. Poi non ci fu più tempo per nient’altro, il mare e la montagna fecero calare la loro sentenza.
© Riproduzione riservata