- Di uno scrittore, del fatto che uno sia uno scrittore, bisognerebbe sempre parlare in sua assenza e col pudore che si riserva alle sventure gravi. Perché scrivere è una malattia.
- «Quando in una famiglia nasce uno scrittore quella famiglia è finita», dice Philip Roth, lasciando intendere primo, che sia una malattia contagiosa e secondo, che la malattia sia congenita e/o ereditaria; è una contraddizione dite?
-
Questo articolo si trova sull’ultimo numero di FINZIONI – il mensile culturale di Domani. Per leggerlo abbonati a questo link o compra una copia in edicola
Di uno scrittore, del fatto che uno sia uno scrittore, bisognerebbe sempre parlare in sua assenza e col pudore che si riserva alle sventure gravi. Perché scrivere è una malattia. Di una conoscenza comune, infatti, si potrebbe dire: ti ricordi coso? Sì sì, mi ricordo cosa è successo? Eh, niente, adesso è uno scrittore. Lasciando poi che un lieve imbarazzo ci distolga dall’argomento, per passare a questioni meno dolorose, meno scabrose.
Che scrivere sia una malattia ce lo confermano le parole di un paziente illustre: «Quando in una famiglia nasce uno scrittore quella famiglia è finita», dice Philip Roth, lasciando intendere primo, che sia una malattia contagiosa e secondo, che la malattia sia congenita e/o ereditaria; è una contraddizione dite? Bene, vedo che cominciate a comprendere la gravità della cosa. La malattia è contagiosa soprattutto all’interno dei clan familiari, lo confermano molti casi di scrittori che sono a loro volta figli di scrittori, famosissimo il caso di Alessandro Dumas ma anche ai nostri giorni e qui in Italia, gli esempi non mancano. Scrivo queste cose perché qualche giorno fa, camminando coi miei genitori per le vie del centro, ho incontrato un amico e questo amico mi ha presentato alla compagna dicendo, conosci Alessandro? È uno scrittore. La cosa ha risvegliato nei miei genitori, che evidentemente non conoscono Philip Roth, un qualcosa di simile all’orgoglio ma a me ha lasciato perplesso.
Dunque, Alessandro Della Santunione, che sarei poi io, mi sono chiesto, è uno scrittore? La domanda non è banale ed è un’annosa questione: che cos’è uno scrittore? Posso dirmi tale ora, solo perché ho scritto un libro, questo Poco mossi gli altri mari appena uscito per la Marcos Y Marcos? (fate sempre attenzione alla pubblicità occulta). A me non pare sufficiente. Ho molti amici che, volenti o nolenti, sono degli scrittori e uno di loro ama ripetere che se mai un giorno dovessimo sentirlo dire di sé stesso che è uno scrittore allora gli dovremo sparare subito, come si fa coi cavalli zoppi. Questo fa di lui indubbiamente uno scrittore, agli scrittori non fa piacere sentirsi chiamare tali, fanno sempre delle smorfie di diniego, sono riluttanti ad ammetterlo, d’altronde è faticoso ammettere la propria malattia, anche se ammetterla sarebbe il primo passo verso la guarigione.
A maggior ragione converrete tutti che lo scrivere, pur non sapendo ancora bene di cosa si tratti, non possa essere considerato una professione. Conoscete qualcuno che viva di quello che scrive, che venga pagato mille e passa euro al mese per scrivere delle cose? Figuriamoci, è incredibile la quantità di mestieri che tocca fare agli scrittori per tirare a campare. Ci sono scrittori, molto giovani, che fino a che il fisico li regge, giocano a calcio in serie A per dire, altri devono buttarsi in politica, fanno i ministri o i sindaci se non i governatori. Ci sono scrittori che per mettere insieme il pranzo con la cena devono fare i guitti, gli attori, le rockstar o addirittura inventarsi un ruolo da eredi secondogeniti al trono di una qualche monarchia europea, è notizia di qualche settimana fa, non saremmo voluti arrivare a tanto ma è successo.
Scusi, posso interromperla?
Non ora per favore, mi faccia finire il ragionamento
Volevo arrivare a dire che non si può più far finta di niente, che un ministro della Cultura come si deve dovrebbe avere un po’ di coraggio e dirlo, che i tempi sono maturi per un reddito di scrittura, per tutti quelli che vivano in queste condizioni. Anzi se vogliamo seguire il ragionamento di Roth, ci vorrebbe una 104bis per le famiglie che, ahimè, si ritrovano in casa una di queste creature nevrotiche sempre alle prese con l’urgenza di scrivere, di articolare il vuoto che li circonda in una qualche forma intellegibile e
Scusi se mi intrometto di nuovo, però il romanzo è bello
Quale romanzo?
Quello che ha scritto lei, quello di cui parlava prima, i cosi mossi del mare
Grazie, Poco mossi gli altri mari, ma lei chi è scusi?
Sono la voce narrante, quella dentro al romanzo, sì insomma il protagonista, anche se non ho un nome perché mi sembra che lei non me lo abbia dato, non lo dico per recriminare…
Accidenti, che sorpresa. Per il nome ha ragione è vero, le pesa molto?
Ma no si figuri, però avevo una curiosità, noi siamo parenti?
Ma ci mancherebbe! Vi voglio troppo bene per mettervi uno scrittore in famiglia. Ma mi dica come state, come vi trovate dentro al romanzo, tutti attufati in questa casa di provincia, alle prese con l’immortalità?
Mah, non ci lamentiamo, cioè non è vero due o tre si lamentano molto, lei so sa meglio di me ma per il resto tiriamo avanti bene, ci capitano un sacco di cose, alcune veramente da rimanere a bocca aperta, da commuoversi, altre proprio da ridere. Scusi per prima, l’ho interrotta perché alla fine non stava parlando del libro.
Ha ragione, ha fatto bene anche se temo siano finite le battute che avevamo a disposizione
Oh, che peccato. È dunque questa la morte?
© Riproduzione riservata