- Il corpo è il centro dell’universo semantico del lessico carraresco che è bassocorporale, divertito, diretto. Un corpo danzante di ragazza perenne che, come un fulmine d’energia, cambia la composizione dell’atmosfera e della cultura popolare di un paese.
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Insieme alla conduttrice, Benigni ha messo in scena gli 8 minuti cult della televisione italiana, i più irriverenti, con uno sketch sugli organi sessuali che è diventato indimenticabile grazie proprio alla complicità della Carrà.
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La Carrà le ha superate tutte. Era intelligente, libera, di sinistra. La Carrà era diventata «la sacerdotessa di una nuova fede, la missionaria di una religione morbida, sentimentale, confortevole».
Ombelico. Caschetto. Tuca Tuca (il progenitore del Bunga Bunga, secondo Giuliano Ferrara). Fagioli. Carrambata. (Carramba era «un traffico sudamericano di emigrati», secondo Aldo Grasso). A far l’amore comincia tu. Da Trieste in giù.
Il corpo è il centro dell’universo semantico del lessico carraresco che è bassocorporale, divertito, diretto. Un corpo danzante di ragazza perenne che, come un fulmine d’energia, cambia la composizione dell’atmosfera e della cultura popolare di un paese. Un corpo sciolto, avrebbe detto, se non Bacthin, Benigni. Ci avverte il dizionario Treccani che l’esclamazione spagnola caramba è una variante eufemistica di carajo: cazzo. Tutti ricordiamo l’irruzione di Roberto Benigni con un irresistibile monologo sulla vagina e sul pene, in prima serata, su RaiUno. Era il 1991, Roberto sul palco di Fantastico incontrava Raffaella e le chiedeva: «Fammi vedere...Cosa c’avete voi donne che attira così l’omo! Cosa c’avete in quella zona là? Me lo devi dire! Giusto per saperlo! Dice... c’hai un trattore, un treno...Un’autostrada Firenze-mare... una galleria del Monte Bianco... Fammi vedere, un secondo!»
C: «Cosa vuoi vedere?»
B: «Fam... Fammela vedere un secondo!»
C: «Ma, dài, è tutto abbottonato, non posso, è abbottonato, non posso!»
B: «Voglio dire...sembra una cosa violenta... è una cosa poetica... giusto per vederla un attimo! Non vorrei morire senza aver visto... quell’affare là!».
Il comico toscano si avvinghiò alla conduttrice facendole più di un complimento. Per poi puntare tutto il suo monologo sull’organo genitale femminile. E poi anche quello maschile. Elencando, tra l’ilarità e gli applausi del pubblico, tutti i modi in cui in Italia sono appellati gli organi genitali.
«Ma è giusto per vedere un secondo, così, come mai attira tanto l’omo quell’azienda là! Cosa c’avete voi donne... Piero Angela dov’è? Dov’è Angela? Angela, ma lei che ha fatto Il viaggio dentro al corpo, me lo vuole dire cosa c’è in questa zona...? Ognuno pe’ non sbagliarsi mai l’hanno messa in centro del corpo, che non ci si sbaglia mai. C’è tutti i nomi... Come si chiama: la piccimida, la gattina, la chitarrina, la passerottina, la fisarmonica... Ognuno, no? Volevo dire...Ognuno gli ha messo il nome suo: la passerotta, la mona, la picchia, la crepaccia, la pucchiacca... pensa ai napoletani... la pucchiacca! È bellissimo, è focoso! Eh? La tacchina, la topa, la sorca, la patonza! È bbeeelllisssimooo! Aspetta... la patonza, la bernarda, la gnocca, la gnacchera, l’anonima sequestri! Quelli medici: la vagina, la vulva! Oh, la vulva fa paura, eh? Guarda che vulva! 7 e 40 turbo diesel. È una cosa spaventosa! Oh: anche per quello maschile, per il pisello... Pisello, pisellino, pistolino, pipino... Poi quando si cresce: il randello, la banana, l’asta, la verga, la mazza, il cetriolo, eh.. O’ pesce, l’uccello... lo sventrapapere.»
Alla faccia del #metoo
Insieme alla conduttrice, Benigni ha messo in scena gli 8 minuti cult della televisione italiana, i più irriverenti, con uno sketch sugli organi sessuali che è diventato indimenticabile grazie proprio alla complicità della Carrà. Insieme e con grande ironia i due hanno diviso il palco e fatto ridere milioni di italiani. Alla faccia del #metoo.
Tra le forze produttrici di mitologie collettive, quella di Raffaella Carrà è la più energica nel segnare il cambiamento sociale e antropologico, in un paese sospeso tra la radicalità degli anni Sessanta e l’edonismo degli anni Ottanta, e funziona come una potente macchina di produzione culturale e identitaria. Diceva Umberto Eco, il padre della semiotica autore del famoso romanzo Il nome della rosa e che aveva una moglie tedesca, che l’uomo che ha reso sexy la Germania è stato l’ispettore Derrick.
Seguendo la sua logica, la donna con più sex appeal in Italia è stata Raffaella Carrà, l’amatissima icona con il caschetto biondo che, a partire dagli anni Settanta, ha rivoluzionato la tv e il modo di ballare, regalando agli italiani canzoni che tutti conoscono a memoria. Non per niente la Nazionale si allena e riscalda ascoltando la “Raffaella nazionale”. Di recente c’è arrivato persino l’autorevole quotidiano inglese Guardian che la elogia come «la popstar italiana che ha insegnato all’Europa la gioia del sesso.» E non esagera. In Spagna, dove Raffaella è stata un mito vivente, la commedia musicale Explota prende spunto dai suoi strepitosi successi. Una delle sue canzoni più fortunate, A far l’amore comincia tu, rimase per mesi in testa alla hit parade inglese e con quel motivo, ispirato proprio alla gioia del sesso, Paolo Sorrentino centra la scena cult del suo famoso film La grande bellezza. Mentre la festa scorre attorno a Jep Gambardella.
Anche in Germania tutti impazzirono, nel 1977, a vederla ballare stretta in una tutina trasparentissima, sulle note di Liebelei. Molti suoi brani, ad esempio Luca, in cui canta l’amore per un gay, sono diventati colonne sonore dei festival Lgbt. Tanto che, nel 2017, il gay pride di Madrid l’ha eletta “icona mondiale del mondo omosessuale”. La Carrà non avrebbe smesso di essere una stella danzante. Indossava tute proto-glam con tagli, mantelli, strass, piume e vita stretta con un carré biondo che fa sembrare quello di Anna Wintour scialbo, ma ciò che la distingueva era la combinazione non banale di sex appeal e accessibilità. Ha insegnato alle donne che avere potere in camera da letto non è scandaloso, che va bene innamorarsi di un gay e che non tutte le relazioni sono esattamente sane. «Penso che Raffaella Carrà abbia fatto più per liberare le donne di molte femministe», ha detto l’artista Francesco Vezzoli, il curatore di TV 70, una mostra sulla televisione italiana degli anni Settanta per la Fondazione Prada nel 2017. Nel 1976 ha cantato la sua grande hit internazionale A far l’amore comincia tu (be the one initiating sex), una vera chiamata all’azione per le donne per far capire ai loro amanti cosa vogliono a letto.
Vedere Hair per un mese
Quando, nel 1968, la cultura giovanile divenne più politicizzata e i suoi coetanei si riunirono per protestare, la Carrà si recò in America e vide il musical Hair ogni sera per un mese. Tornò a casa con la convinzione che lo spettacolo italiano avesse bisogno di una scossa di energia. E gliela diede. Il suo primo successo risale all’edizione del 1970 del varietà Canzonissima, di cui era co-conduttrice: lo spettacolo inseriva le sue canzoni originali direttamente nei suoi numeri di danza e musica. Ha cantato e ballato i titoli di testa, la fanfara Ma che musica maestro, indossando un completo a due pezzi con tanto di crop top, con un outfit che lasciava scoperto l’ombelico. Ancora più scalpore fece il suo audacissimo Tuca Tuca: un ballo che fece urlare allo scandalo L’Osservatore romano, il quotidiano del Vaticano, e che la Rai dovette censurare. Con il ballerino Enzo Paolo Turchi, eseguì il brano jazzistico Tuca Tuca: un interprete tocca l’altro su diverse parti del corpo mentre la canzone procede, accarezzandosi e palpeggiandosi a vicenda. La canzone è degna di nota per la sua attenzione al potere femminile. «Ti voglio», canta – ti voglio – e poi «l’ho inventato io. Questo ballo l’ho inventato io». Il pubblico era felice di avere una coreografia che non richiedeva molta competenza, ma la censura mise fuori gioco la danza dopo la terza volta che la eseguirono. Ci volle una star del cinema italiano, Alberto Sordi, per salvare la situazione, chiedendo che, alla sua apparizione su Canzonissima, reintegrassero il ballo, cementando il suo successo mainstream.
La tv a colori, battendo il bigottismo di La Malfa e Berlinguer, era finalmente entrata nelle case italiane e le affidò la conduzione del varietà Ma che sera. La sigla di apertura Tanti auguri divenne un inno al sesso e alla sessualità. Cantava «ma girando questa terra io mi sono convinta che non c’è odio non c’è guerra quando a letto l’amore c’è», che si traduce come girando il mondo, mi sono convinta che tutto va bene quando le cose sono calde in camera da letto.
Un’altra battuta sosteneva che era bello fare sesso ovunque a sud di Trieste. La linea hot dell’amore della geografia di Raffaella.
«Vi immaginate una donna bionda che canta questa canzone ad alta voce alle 20.30 sulla televisione italiana con 30 milioni di persone che la guardano?», ha detto ancora Francesco Vezzoli. «È un atto così innovativo e liberatorio! Immaginatevi tutte quelle donne della periferia di Roma o della provincia di Brescia che pensavano che fare l’amore fosse un atto che potevano compiere solo con i loro mariti in modo molto infelice».
L’autoesilio
Un’altra delle sue provocazioni consisteva nell’indossare un vestito da suora sexy mentre era appollaiata in cima a una mela durante un mashup di alcuni dei più grandi successi dei Beatles, mentre ballerini maschi nudi cavalcavano sotto di lei: l’intera sequenza è un capolavoro trippy dei primi effetti speciali. Parlare di omosessualità in modo così concreto e leggero era inaudito nell’Italia cattolica, repressa e perbenista, e non sorprende vedere come la Carrà sia diventata un’icona gay internazionale.
Dodici giorni dopo la messa in onda di Ma cha sera, però, il 16 marzo 1978, i terroristi di sinistra rapirono il primo ministro italiano Aldo Moro, e alla fine lo uccisero. La Carrà cercò di far sospendere il programma, ma dato che 30 milioni di persone si sintonizzavano ogni sabato, la sua richiesta non fu accolta. Alla fine lasciò l’Italia nel 1979. «Mi vergognavo così tanto che non sono tornata per molto tempo», ha detto nel 1999.
Nata a Bologna, ha trascorso l’infanzia in Romagna nella gelateria della nonna: «Mia mamma voleva che andassi a scuola e che sposassi un architetto o un medico». Invece Raffa non si è mai sposata. Si è diplomata al Centro di cinematografia di Roma per iniziare, dopo non poche apparizioni al cinema, una brillantissima carriera da showgirl e presentatrice in televisione. Indimenticabili le sue danze scatenate nelle sigle di Canzonissima. Non cantava bene come Mina, mezzosoprano virtuoso, non era una intellettuale brechtiana e strehleriana come Milva, né un’androgina dea della pop art come Patty Pravo.
La Carrà le ha superate tutte. Era intelligente, libera, di sinistra. Poi fu la stagione dei fagioli per sfruttare la diretta tv che Berlusconi non aveva. E infine dal sesso alla pornografia dei sentimenti della neo-televisione.
La Carrà era diventata «la sacerdotessa di una nuova fede, la missionaria di una religione morbida, sentimentale, confortevole» (sempre Grasso). Nasce “sentimental tv”, si apre la stagione dell’emozione televisiva («sono molto emozionata», ne è il claim, l’insopportabile mantra) rilanciata poi da reality e talent, una tv sempre più “emotional” e sempre meno scritta. E poi furono Maria De Filippi e Barbara D’Urso, Balzac e Flaubert, dell’atlante dei sentimenti televisivi. E allora furono Gemma Galgani e Mark Caltagirone. Personaggi romanzeschi indimenticabili. Ma questa è un’altra storia. La nostra.
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