Capita spesso di imbattersi in articoli contro l’astrologia, scritti con piglio ultrarazionalista. Ma si perdono il fatto che gli oroscopi sono una forma di intrattenimento ultrapop. E che in questa epoca di rinascimento astrologico vale la pena valorizzare questa arte simbolica
Di tanto in tanto capita di imbattersi nell’ennesimo articolo contro l’astrologia. Spesso l’autore è un uomo, intellettuale, fiero del proprio piglio razionalista, esaltato nel bastonare la mollezza superstiziosa (e femminea) del popolino, colpevole di bersi le sciocchezze più assurde e antiscientifiche in cambio di un po’ di speranza o controllo sul tempo a venire.
L’autore in questione è così logico e razionale che, nella maggior parte dei casi, dedica migliaia di battute a una materia di cui non conosce assolutamente nulla. Quando i critici dell’astrologia imbastiscono le loro tirate punitive contro segni e zodiaco, infatti, non parlano mai dell’astrologia, ma solo del suo sottoprodotto più superficiale, impersonale e immediato, ovvero l’oroscopo di magazine, riviste (e oggi anche app).
Valeva già per il filosofo Adorno, che negli anni Cinquanta scrisse un saggio anti-astrologico basandosi sulla rubrica a tema del Los Angeles Times: agli hater dell’astrologia piace vincere davvero facile, dato che le previsioni divise per i dodici segni solari sono solo uno dei modi con cui gli astrologi – che possono essere competenti o del tutto improvvisati, ovvero non astrologi – battono cassa, assicurandosi l’unica forma di collaborazione per cui i giornali sono disposti a pagare. Ed è un peccato, perché così facendo assecondano anche loro l’ossessione per la divinazione didascalica – due stelle l’amore, tre la salute –, che è la parte meno affascinante e feconda di questa disciplina.
Gli oroscopi del giorno, del mese o dell’anno, sono effettivamente un giochino, una forma di intrattenimento ultrapop, un modo per fare conversazione tra amici: gli intellettuali che pretendono di demolire l’astrologia parlando di oroscopi mi fanno lo stesso effetto di chi recensisce libri dalle sinossi, o discetta di virus e vaccini informandosi su Facebook.
Il rinascimento
Va detto che lo scenario contemporaneo è più complesso: da alcuni anni è in atto una specie di rinascimento astrologico. Soprattutto da millennial e gen Z l’astrologia viene oggi presa anche molto sul serio: sui social si trovano giovani studiosi e studiose che si dedicano a una divulgazione originale, a volte ironica, ma anche consapevole, quasi mai improvvisata. Io studio astrologia da diversi anni, e più avanzo nella comprensione delle sue tecniche più mi rendo conto della sua profondità.
L’astrologia è una pratica alternativa di comprensione della realtà: può essere definita un sapere queer (non ha caso molti giovani divulgatori appartengono alla comunità lgbtqi+), ovvero obliquo, diverso dal canone epistemico predominante.
Non è una scienza, ma una disciplina prettamente simbolica: i simboli non ci inchiodano né a sentenze né a divinazioni nette, univoche, ma tracciano un campo molto ampio di costruzione progressiva del senso. Se l’astrologia viene presa sul serio – e la sua serietà per quanto mi riguarda ha più a che fare con l’arte, la poesia e la psicanalisi, che con le scienze esatte – dischiude un regno di immagini e connessioni vivido ed entusiasmante.
Studiare astrologia significa avere a che fare con la storia delle civiltà, il mito, la cultura visuale, la letteratura, le forme e le strutture della natura, significa restare aperti a margini di significato nuovi e ulteriori, in cui i diversi aspetti della realtà comunicano in forme aperte e cangianti.
Sincronicità
Più che un’influenza dei pianeti sulle nostre vite, mi convince l’idea di una correlazione, o, per usare un termine junghiano, sincronicità, sintetizzabile nell’olistico “come in alto così in basso”. Viene da citare Ennio Flaiano che, nel suo Diario degli errori, scrisse: «L’uomo è apparso sulla Terra 60.000 anni fa circa. La Terra ha invece cinque miliardi d’anni circa. E la Terra, che sappiamo derivata dal Sole o dalla frantumazione di altra stella, è dunque rispetto all'Universo quello che è l’uomo rispetto a lei. L’uomo, quindi, è un derivato di un derivato. Perché escludere che egli sia guidato dalle stesse forze che hanno guidato, misteriosamente (o meglio inspiegabilmente), l’Universo? Forze biologiche, che lo plasmano a seconda di una geometria assoluta, che non conosciamo? Da qui parte l’astrologia».
Per come la vedo io lo zodiaco poggia su una serie di correlazioni – temporali, stagionali – che l’uomo ha osservato e catalogato nel corso dei millenni. Proprio Jung, che fu un grande appassionato di astrologia, utilizzandola anche coi suoi pazienti, scrisse: «Il fatto che proiettiamo qualcosa sulle stelle significa che possediamo qualcosa che appartiene anche alle stelle. Facciamo veramente parte dell’universo».
E sempre Jung aggiunse: «Sembra che ciò che possediamo, come conoscenza più intima e segreta di noi stessi, sia scritto nei cieli. Per conoscere il mio carattere più individuale e più vero devo frugare nei cieli, non riesco a vederlo direttamente in me stesso; esistono almeno alcuni fatti ben attestati e confermati da esaurienti statistiche, che fanno apparire la problematica astrologica degna di essere sottoposta a indagine filosofica».
E ancora: «Ci sono molti esempi di sorprendenti analogie tra costellazioni astrologiche e fatti psichici, o tra oroscopo e predisposizione caratteriale. Fino ad un certo grado sussiste perfino la possibilità di una previsione, per esempio riguardo l’effetto psichico di un transito».
Un’arte narrativa
L’astrologia, specie quella moderna, risistematizzata da Lisa Morpurgo, ha natura dialettica e narrativa. L’interazione tra i suoi simboli genera un corredo di qualità che, avvicinandosi ed allontanandosi tra loro, mischiandosi e distinguendosi, producono le cose che amo di più: la caratterizzazione di persone/personaggi e quindi lo sviluppo di storie.
L’impianto simbolico zodiacale è un grande dispositivo simile a uno strumento musicale: la combinazione specifica di ogni individuo, data dalla singola mappa celeste, forma come degli accordi, una sinergia – armonica o dissonante – che non si finisce mai di comprendere, interpretare, assemblare e scomporre.
Una specie di ars combinatoria che taglia trasversalmente i regni dell’essere, e mette in comunicazione l’umano e il non umano, le piccole narrazioni personali e le grandi vicende sovraindividuali, la persona e il cosmo. Un ottimo modo, citando il poeta William Carlos Williams, per riconciliare le pietre e gli esseri umani.
L’astrologia è un serbatoio eccezionale, non solo per pensare, ma anche per immaginare, coniugare visibile e invisibile, espandendo i confini di ciò che abbiamo sotto gli occhi, del nostro mondo. A dispetto di chi dice che l’astrologia crei pregiudizi, incasellando le persone nel loro segno zodiacale, io devo riconoscere che, da quando la studio, ho imparato a essere più paziente nei rapporti interpersonali, spostando l’attenzione dalle mie reazioni estemporanee al quadro generale in cui vengono messi in gioco elementi oggettivi.
Al cospetto di segni, case e pianeti facilmente sospendo la reattività dell’utilità e dell’orgoglio, il facile asserragliarmi, attaccare o andare sulla difensiva, e cerco di capire, provando a sintonizzarmi sulle frequenze simboliche dell’altro e della nostra interazione, spesso virando verso un vissuto interiore di maggior leggerezza e curiosità.
Fili nell’invisibile
L’astrologia continua a modulare la mia prospettiva sulla vita e sugli esseri umani, e ci tengo a difenderla dai periodici attacchi che la tacciano di suggestione e manipolazione, avendo piuttosto a che fare, per quanto mi riguarda, con quell’atteggiamento che uno dei miei filosofi preferiti, Max Scheler, esponente della scuola fenomenologica, associava alla definizione di “riverenza”: la disponibilità nel seguire i fili che prolungano ogni cosa nell’invisibile.
Che questi fili abbiano una loro logica, degna di essere osservata e messa in parola, è una delle scoperte che chi studia seriamente astrologia rischia di fare, tra le tante altre possibili, nel flusso costante di nuove, sorprendenti intuizioni sulla nostra natura di esseri sospesi in qualcosa di immensamente più grande, ma non per questo del tutto oscuro, non per questo del tutto ineffabile.
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