- Avevano 24 di differenza. Si amarono alla follia e si uccisero a nemmeno due anni di distanza l’una dall’altro, nel 1979 e nel 1980
- Sono lo scrittore Romain Gary e l’attrice Jean Seberg: nel suo ultimo libro Anna Folli racconta la celebre coppia e le ombre che si celano dietro gli abbagli del successo e del desiderio di piacere a tutti i costi
- Divorziarono nel 1970, ma non si lasciarono mai veramente. E dopo la sua morte, Jean Seberg diventerà un fantasma che non abbandonerà più il tormentato Gary
Lui è stato l’unico autore francese a vincere due volte il Premio Goncourt, di cui la seconda sotto falso nome. Lei è stata la musa della nouvelle vague, l’abbagliante Patricia di Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard. Lui era lituano. Lei era americana. Lui scrisse sotto diversi pseudonimi e divenne famoso come Romain Gary. Lei divenne una diva con il suo vero nome, Jean Seberg. Avevano 24 anni di differenza. Si amarono alla follia e si uccisero a nemmeno due anni di distanza l’una dall’altro, nel 1979 e nel 1980: lei aveva quarant’anni, lui 66. A quel tempo, erano già tanti anni che si erano lasciati. Ma cosa significa davvero lasciarsi? Ci si lascia poi davvero? A volte no.
In Ardore, che esce ora per Neri Pozza, Anna Folli – già autrice di una biografia amorosa di grande successo, MoranteMoravia – torna a raccontare una coppia celebre e le ombre che si celano dietro gli abbagli del successo, della fama, della ricchezza, del desiderio di non essere come i comuni mortali. Il desiderio sfrenato di piacere.
Il figlio del commerciante lituano
Non potevano essere nati più distanti, in mondi più inconciliabili, Romain e Jean. E nello stesso tempo, con sorprendenti risonanze. Lui era venuto al mondo in Lituania da una ex-attrice, Mina, e da un commerciante di pellicce ebreo che il figlio cercherà tutta la vita di cancellare dalla sua biografia (inventa pure la sua morte).
La menzogna, l’invenzione, la vita come romanzo, sono già iscritte in Gary (che in realtà si chiamava Kacew). La madre lo cresce da sola, tra Russia, Polonia e Nizza, dove approdano quando Romain è un adolescente. Lo scrittore ha raccontato in uno dei suoi libri migliori, La promessa dell’alba, questa vicenda, modificandola a suo piacimento.
Folli la ripercorre mettendo le cose al loro posto. La madre ha una forza da leonessa: comincia vendendo argenteria fingendosi una nobile russa decaduta e finisce come proprietaria di un hotel a pochi passi dal mare. Gary va in guerra come aviatore, prima rifiutato perché francese di seconda classe (naturalizzato), poi si dimostra eroe di guerra, tanto che Charles de Gaulle gli conferisce l’Ordre de la Libération, la più alta onorificenza militare.
Ancora in guerra, di stanza in Inghilterra, Gary scrive il suo primo libro, Educazione europea e si sposa con Lesley Blanch, futura scrittrice e viaggiatrice di grande successo, e che morirà a 103 anni. Sua madre sognava per lui la carriera diplomatica e quella letteraria: il figlio le conquisterà entrambe.
Da Giovanna D’Arco a musa di Godard
Infatti, ben dopo la fine della guerra, è a Los Angeles che una sera, in casa propria, il console Gary conosce la ventenne Jean Seberg, nata in una cittadina minuscola del Midwest da una famiglia luterana. È un’attrice ancora poco nota, bellissima, che ha debuttato come Giovanna D’Arco sotto la regia del dittatoriale Otto Preminger.
Il suo fascino è il mix di candore, ambizione e fragilità. È a Los Angeles con il suo giovane marito, l’avvocato francese con velleità da regista, François Moreuil. Quest’ultimo, e la moglie inglese di Gary, assistono impotenti al colpo di fulmine che da quel momento unisce lo scrittore e l’attrice. Nella vita di Gary cambia tutto: dopo qualche tempo lascerà pure la carriera diplomatica. D’altra parte, nel 1956 aveva già vinto il primo Goncourt con Le radici del cielo (portato sullo schermo da John Huston).
Per Jean il vero successo avviene, per caso, senza che nulla lo facesse presagire, nel 1960 in Fino all’ultimo respiro di Godard. La Seberg e Jean-Paul Belmondo in bianco e nero diventano il simbolo di un’epoca in cui il grande cinema si fa con una cinepresa a mano, per strada, in una stanza e in un letto sfatto.
Lei, di colpo, è un’icona: il caschetto biondo, il volto pallido e di una bellezza quasi irreale. Ma dietro quella perfezione c’è un’inquietudine che nessuno è in grado di contenere. Scrive Folli: «“Non so se sono infelice perché sono libera, oppure se non sono libera perché sono infelice”. Questa frase, pronunciata dal personaggio di Patricia nel film di Godard, Jean la sente assolutamente sua».
Divisa tra due mondi, la Francia e l’America profonda, ma anche la troppa libertà che lo star system le chiede e i valori tradizionali di un’educazione che non riesce a estirpare da se stessa, quella di Jean Seberg è la storia di una colossale solitudine.
L’amore con Gary, con il quale si sposa dopo il burrascoso divorzio di lui nel 1963 (perché l’anno prima, in gran segreto, era nato il loro figlio Diego), è per lei la prima di una lunga serie di clamorose infatuazioni. Gary, per altro, è più inquieto di lei, soprattutto sul versante della scrittura: raggiunto l’obiettivo di impalmarla, torna alle sue carte, ai suoi romanzi. Compra una casa enorme a Parigi in rue de Bac e si chiude a scrivere. L’idillio dura poco. Lei torna negli Stati Uniti a lavorare.
Dopo un flirt con Clint Eastwood, nel 1967 Jean comincia una relazione con l’attivista nero Hakim Abdullah Jamal, erede anche se controverso delle battaglie di Malcom X. Seberg si vota alla causa delle Pantere Nere. L’Fbi la mette sotto la lente d’ingrandimento, la spia, la perseguita. I giornali si riempiono di gossip. A un certo punto è di nuovo incinta: non si sa di chi, forse di Gary, forse dell’attivista. Nina, la figlia desideratissima, muore prematura. Comincia la discesa all’inferno di quel volto d’angelo che non ha ancora trent’anni.
La grande truffa
Gary ha scritto: «Quando un uomo e una donna non si conoscono possono amarsi. Può essere anche molto bello. Ma quando si conoscono veramente, non è più possibile». Sì, si sono lasciati, ma l’amore non è finito. Lui l’accudisce come una figlia, passando nel mentre da un’amante all’altra. Nel 1970 hanno divorziato. Lei ormai preda della depressione mette in fila una serie di film mediocri: è un mito che sa già di passato.
Lui è uno scrittore in crisi. Il racconto della Folli è anche la ricognizione nella stanza dello scrittore: da quale ossessione nasce la scrittura, perché in certi momenti della vita la creatività esplode, perché in altri invece si inabissa e sparisce. Gli ultimi cinque anni di vita di Gary sono animati da un delirio di produzione. «È inseguito dai suoi personaggi, che a volte sono così presenti da prendere il sopravvento su ogni altra cosa e impedirgli di vivere: è come se non riuscisse a imbrigliare la sua smisurata immaginazione. Una sete inarrestabile lo spinge a scrivere e a scrivere».
La vita, vissuta come una notte infinita e di bagordi, lo ha deluso, così si chiude nella scrittura. Gary diceva: «Un romanzo crea, ricrea, possiede, imbarazza, assorbe, riforma, modella, costruisce, fortifica, conquista, racchiude imperi e reami che sono il mio modo per conquistare il mondo».
Gary deve rinascere sempre, ad ogni libro. Finché capisce che deve risorgere anche come autore. Inventa uno pseudonimo, l’ultimo: Émile Ajar. Nel 1975 ha incontrato nelle strade di Parigi il figlio di una sua cugina, il poco più che trentenne Paul Pavlowitch, al quale chiede di assumere in carne ed ossa l’identità del suo nom de plume, del quale ha forgiato, con l’unica complicità del suo editore Robert Gallimard (neanche il cugino Claude Gallimard ne è al corrente) una biografia fittizia: «giovane autore sbandato che vive in Brasile e, a causa di problemi con la giustizia, non può rientrare in Francia». Sotto le false vesti di Ajar pubblica dapprima Mio caro pitone, che riscuote un buon successo di critica, e poi il libro con cui vince il secondo Goncourt, il celebre La vita davanti a sé.
Ma a quel punto Gary ha messo in piedi «la più riuscita truffa letteraria che la Francia ricordi». Abbiamo dunque un capolavoro vero, la storia del ragazzino arabo Momo e della prostituta Madame Rosa – dove Gary riesce a ritrovare la magia e il dolore della sua infanzia errante – e un grande autore falso. Jean, da parte sua, ormai è un fantasma in vita che lui non abbandona. In qualche modo anche nella letteratura lui si è fatto fantasma.
Il finale tragico di questa vera storia lo conosciamo. Ma il libro di Anna Folli, che a tratti qui si fa noir come un film di Chabrol, finirà con un flash-back che dopo tanto nero sceglie l’abbaglio del sole, forse per dirci che amare, e pure tanto, vale sempre la pena.
Ardore. Romain Gary e Jean Seberg, una storia d’amore (Neri Pozza 2022, pp. 400, euro 20) è l’ultimo libro di Anna Folli
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