Dopo l’attesissimo esordio di martedì, questa sera Chiara Ferragni tornerà sul palco dell’Ariston per la chiusura della 73esima edizione del Festival di Sanremo. Sarà l’occasione per testare quanto l’imprenditrice digitale e influencer più seguita d’Italia abbia assorbito le logiche televisive della kermesse e quanto, invece, permanga del suo ambito comunicativo d’elezione, ovvero il linguaggio dei social. Su questo crinale, si è giocata la partecipazione di Chiara Ferragni a Sanremo e su questo metro è stata giudicata la sua performance, in particolare il monologo della prima serata.

La narrazione transmediale

Ferragni è stata tra le prime influencer in Italia a concepire la propria vita interamente come narrazione transmediale, un’esibizione a ciclo continuo di successi ed eccessi; la famiglia come piano editoriale permanente, il “cerchio magico” di pochi eletti come unica e concepibile struttura di marketing, essa stessa come contenuto, anzi come medium.

Questo background si è inevitabilmente inceppato alla prova dell’evento mediale per eccellenza, il teatro nazional-popolare immaginato da sempre come spazio di ricomposizione e tessitura di ogni spigolatura della società e sublimato da Amadeus in una chirurgica operazione di ecumenismo che tutto ingloba. Sanremo non è Instagram, l’Ariston non è una story, il flusso televisivo non è un feed. In crisi di engagement, incalzata da influencer molto più giovani, per certi versi espunta dall’orizzonte valoriale delle nuove generazioni, Chiara Ferragni ha tentato la carta del grande evento, ha giocato il carico varcando la soglia che – salvo rarissimi casi – aveva sempre evitato.

Il monologo

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Se negli spicchi di co-conduzione, dalle gag alla presentazione dei concorrenti in gara foglietto alla mano, la metamorfosi televisiva è sembrata andare verso una direzione corretta o comunque accettabile, il monologo ha rivelato i limiti di un consenso costruito unicamente per altre vie.

La lettera alla sé stessa bambina, con l’album fotografico dell’infanzia che scorre alle sue spalle, ha tutte le caratteristiche di un post social, l’orizzonte egoriferito di una vita che si mette in mostra, di un privato che per quanto condiviso in ogni sua sfumatura non sembra mai lasciare spazio a una reale dimensione “pubblica”; non è possibile scorgere, nella narrazione costruita negli anni, un’apertura verso tematiche più complesse, se non di nuovo attraverso il filtro della rete, come l’ammissione della stessa Ferragni di essere venuta a conoscenza della violenza psicologica contro le donne grazie a un post letto su Instagram, o la questione degli haters online, ancora una volta trattata secondo la propria personale esperienza.

Partecipazione

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Eppure, la televisione è anche e soprattutto partecipazione e condivisione, sebbene possa apparire paradossale; Sanremo, in particolare, è specchio che riflette da mille angolature le complessità del quotidiano e dell’attualità. Ferragni vi è approdata in cerca di hype da rilanciare, consapevole del proprio ruolo di punta nel mercato degli immaginari digitali e pronta a tutto per riconquistare posizioni perdute; il contesto e la platea avrebbero forse meritato una maggiore considerazione, anche attraverso il ricorso a professionisti della scrittura televisiva, di un racconto intimo giocato sul diritto all’imperfezione da parte di chi sul culto del suo opposto ha (legittimamente) costruito un modello e un impero.

Forse l’occasione persa del monologo della prima serata è stata proprio quella di non immaginare fino in fondo la ribalta sanremese come chiave di un riposizionamento, l’imprenditrice e innovatrice che non si limita a essere regina del proprio perimetro, ma che sa indicare altre strade, ambasciatrice di problemi più alti, condivisi e collettivi. Ha scelto di portare Instagram a Sanremo, ma i linguaggi – per quanto contaminati dallo stesso successo social dell’evento – sono differenti. La televisione vive di regole proprie; nella serata conclusiva, vedremo se saprà stupirci interiorizzandole ulteriormente.

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