- “Voglio amarti e non solo con amore/ Voglio amarti perchè ho fame anch’io di te”. Il fantasma del sesso-senza-amore anima le canzoni di Iva Zanicchi fin dalla preistoria del nostro boom economico.
- Tra il 1970 e il 1974 la carriera di Iva Zanicchi ha un’accelerazione notevole. Anche politica. Canta L’Arca di Noè con Sergio Endrigo. Conosce il vecchissimo Giuseppe Ungaretti che appare in un suo protovideoclip. Traduce Mikis Teodorakis in pieno regime dei colonnelli.
- 82enne, miracolosamente eternata nel trucco televisivo, drag queen di se stessa, in queste serate sanremesi le sue apparizioni sono salutate dalle standing ovation della platea. Meno dalla classifica.
“Voglio amarti e non solo con amore/ Voglio amarti perchè ho fame anch’io di te”. Il fantasma del sesso-senza-amore anima le canzoni di Iva Zanicchi fin dalla preistoria del nostro boom economico. Tabù profondamente cattolico, tanto più scandaloso se in bocca a una donna (non più giovane) nel gioco del desiderio, scritto da autori maschi – quindi doppiamente labirintico e fantasmatico. Qui Emilio Di Stefano, specializzato in canzoni per bambini.
Tra i parolieri dei suoi maggiori successo Iva ha avuto Cristiano Malgioglio, Mogol, Alberto Testa. Tra i suoi estimatori Ungaretti e Fellini. 82enne, miracolosamente eternata nel trucco televisivo, drag queen di se stessa, in queste serate sanremesi le sue apparizioni sono salutate dalle standing ovation della platea. Meno dalla classifica.
Senza amore
Ci sono biografie che non si costruiscono in cinque e neppure in dieci anni. Hanno bisogno di un tempo che confina con la storia. Nel 1965, dopo aver bucato il suo primo Festival di Sanremo devastata da un’ansia che la fa salire sul palco in trance, Iva Zanicchi porta al Disco per l’Estate Accarezzami, amore. Il paroliere Vito Pallavicini, forse con la mano sinistra, introduce il primo tarlo erotico nella discografia della cantante emiliana allora venticinquenne: “Accarezzami, stringi forte le mie mani/ dimmi che mi ami sì, anche se non è la verità”.
Lei canta un po’ alla Etta James – il suo debito verso le voci afroamericane è noto – sulla musica swingante di Camillo Bargoni già autore di una megahit come Concerto d’autunno. Tanta sessualità grafica è troppo per l’epoca. La Rai censura. Tolta dalla programmazione la canzone è dimenticata.
Niente in confronto a quel che accade nel 2009, quando Iva Zanicchi porta al festival di Sanremo Ti voglio senza amore – dove il tema è esplicito fin dal titolo. “Ti voglio senza amore, perché mi fa più effetto/ Averti dentro un letto che pensarti con falso pudore”.
Da Playboy alla politica
Acqua sotto i ponti dal 1965 ne è passata parecchia: ci sono stati Gainsbourg-Birkin e un’intera rivoluzione sessuale nelle strade, per dire. Lei è comparsa su Playboy in guepiere, a 40 anni nel 1979. Nell’occasione Cristiano Malgioglio le ha scritto sopra un lp intero, Playboy appunto, da riscoprire.
Benché le consideri un errore di vanità e non ami affatto che gliele si ricordino, quelle foto posatissime di Angelo Frontoni sono un punto fermo nella costruzione del suo personaggio (come lo sono state per Ornella Vanoni o Rosanna Fratello).
Tornando al 2009 e al Ti voglio senza amore, Benigni le dedica un po’ del suo monologo, quell’anno: “Veramente ci so’ rimasto male... Era il mi’ mito. La mi’ diceva bella donna romagnola tanto allegra e tanto per bene”. Ma il bersaglio vero è un altro. Iva ha convintamente sostenuto la discesa in campo di Silvio Berlusconi, al quale portava in dote il pubblico (signore di una certa età) della sua televisione ultrapopolare (Ok il prezzo è giusto).
Il postribolo
La canzone viene eliminata. Lei si offende per la cattiva pubblicità. Tra le mille interviste e ospitate di quegli anni si conserva anche quella in cui ricorda che Berlusconi le sconsigliò di darsi alla politica perché così avrebbe perso il pubblico. Si conserva anche un Porta a porta in cui canta una canzone francese al presidente, vanitoso specialista in materia.
È stata europarlamentare per cinque anni. Le interviste a Iva Zanicchi su Berlusconi sono un genere encomiastico a sé, un po’ come quelle a Emilio Fede. Meraviglia d’archivio del futuro la puntata dell’Infedele in cui Berlusconi telefona inviperito a Gad Lerner dando del “postribolo televisivo” al programma e invitando la Zanicchi ospite ad alzarsi e andar via. Lei resiste, imbarazzata. Il tema è quello del declino: Ruby e le altre.
L’anticomunismo
Di certo se gli storici del costume futuri potranno accostare agli anni del liberismo berlusconiano i tabù infranti dalle canzoni di Iva Zanicchi – il sesso senza amore, l’erotismo senza età – e il fragoroso decadente finale delle cene eleganti, non renderanno giustizia alla complessità della biografia della cantante. Ovvio: 13 anni di Ok il prezzo è giusto non passano invano.
«Cento! L’indimenticato grido del pubblico, quello che ha segnato tutta una generazione postideologica, di chi non ha fatto in tempo a scegliere tra Boia chi molla o El pueblo unido», aveva scritto Tommaso Labranca. E il viaggio in pullman a Cologno, confuso tra gli anziani figuranti della Zanicchi, era un’esperienza consigliata al giovane scrittore sulle orme di Forster Wallace. Le scorie non si sono ancora smaltite. Vista la cantante nemmeno tanto tempo fa cantare “Bandiera Rossa, la trionferà/ nei cessi pubblici della città” nel folle hate show di Mario Giordano di Rete4.
In omaggio alla sua origine emiliana e appenninica, certo. La guerra vissuta nell’incubo delle retate naziste e delle formazioni partigiane “cattive” del pestifero comandante Lupo, che è fondamento del viscerale anticomunismo di Iva Zanicchi.
Il derby
Ci sarebbero anche le passeggiate con il direttore d’orchestra polacco Langosz al festival di Sanremo 1966 (vinto con La notte dell’addio), esule in Italia per la minaccia di finire sotto un tribunale militare in patria. Una biografia Nata sotto la luna buona uscita da Rizzoli due anni fa mette in fila queste e altre cose.
Ma ci vorrebbe Massimo Zamboni ex Cccp, cultore e narratore recente dell’epopea emiliana, per raccontare quel concorso di voci nuove Disco d’Oro al Dancing Tarantola di Reggio Emilia dove nel 1961 si affrontarono in gara Iva Zanicchi, Orietta Berti e Gianni Morandi – arrivati in ottima forma ai giorni nostri. La storia ricorda che in classifica lei arrivò seconda, sesta Orietta e nono Morandi sedicenne. La Berti cantava Il cielo in una stanza.
Gli anni Settanta
Tra il 1970 e il 1974 la carriera di Iva Zanicchi ha un’accelerazione notevole. Anche politica. Canta L’Arca di Noè con Sergio Endrigo. Conosce il vecchissimo Giuseppe Ungaretti che appare in un suo protovideoclip. Traduce Mikis Teodorakis in pieno regime dei colonnelli.
Alberto Testa scrive per lei La riva bianca, la riva nera, una nenia dal sapore popolare e dal testo pacifista che in Spagna diventa un anno antifranchista. Ci andrà in quegli anni in Spagna, ospite nei varietà tv, e gli occhi della guardia civil veglieranno sulle sue esibizioni. Nel 1976 è al Maggio musicale fiorentino per I sette peccati capitali, Brecht-Weil.
Cantante di una profondità melodrammatica, latina, tra fato portoghese e laiko greca, folgorata da Mahalia Jackson e dal rythm’n’blues: è tuttavia il sottotesto erotico più che quello politico a rendere il suo personaggio iconico per la nostra canzone.
Troppo ingombrante per Fellini
Nel 1972 Federico Fellini la vuole vedere per Amarcord. Cerca la Gradisca, l’ossessione e il segreto del femminile per la sua generazione di maschi cinquantenni che già allora è preistorica. Ha perso Sandra Milo, per la quale il ruolo è stato scritto e immaginato. Chiama Iva Zanicchi.
“Zanicchina” interrompe una tournee nel sud Italia e si presenta a Cinecittà. Una prova costume, un pranzo al ristorante, niente di più. «Lei è una ragazza con sogni semplici, senza grandi aspettative. – le dice a un certo punto il regista – Tu vuoi il mondo».
Dirà le stesse cose a Edwidge Fenech, prima di prendere per il ruolo Magali Noël doppiata da Adriana Asti. Cresciuta con i film su Santa Maria Goretti in parrocchia, La strada vista al cinema di Reggio Emilia, Iva Zanicchi è troppo ingombrante per stare dentro il mondo di Fellini. Troppo queer diremmo oggi.
La vita è breve
Sappiamo come va a finire. Nel 1974 Luchino Visconti, che di Festival di Sanremo non perdeva uno dal divano di casa con gli amici, fa suonare Testarda io durante la scena di sesso a tre velata dalla penombra di un vecchio appartamento, in Gruppo di famiglia in un interno. C’è Helmut Berger. C’è il vecchio Burt Lancaster svegliato dai rumori dei tre ragazzi nudi in casa sua che segue la traccia della canzone: “La mia solitudine sei tu/ la mia rabbia vera sei soltanto tu”.
Cristiano Malgioglio aveva tradotto Roberto Carlos, uno dei grandissimi brasiliani. Iva Zanicchi gli ruba la canzone. La scena di Visconti, una delle più indimenticabili del cinema di quegli anni, sovrappone alla musica i versi di W. H. Auden: “Se un’attraente forma vedrai dalle la caccia e abbracciala se puoi, sia essa una ragazza o un ragazzo (..) La vita è breve, cogli dunque qualsiasi contatto la tua carne al momento muova. Non c’è vita sessuale nella tomba”. E con la queerness anche per oggi siamo a posto.
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