Buonasera a tutti. Per motivi oscuri ma certamente legati a quel luogo inconscio che mi vorrebbe una persona peggiore di quella che sono, quest’anno guarderò attentamente il Festival di Sanremo; non solo. Ne scriverò. Non solo: ne scriverò in tempo reale, senza preparazione alcuna, in modo semplicemente reattivo, come una mosca che cambia frequenza del ronzio nel suo girare in tondo attorno a una lampadina. Intendiamoci subito: non sono competente, non conosco affatto la musica italiana e non ho memorie precise del Festival di Sanremo (a parte forse quella volta in cui io e un mio amico col quale condividevamo Adidas e Rap ci confessammo vergognandoci di avere molto apprezzato Perdere l’amore di Massimo Ranieri, a tutt’oggi tra le mie canzoni preferite).

Sanremo non conta niente

Ne scriverò, dicevo, senza alcuna competenza, perchè, se al contrario del calcio, che è la realtà ontologica prima della quale la vita non è che metafora, Sanremo non conta assolutamente niente, non esiste, ma così come per il calcio tutti sono autorizzati a parlarne; chi ne sa e chi non ne sa. Io, non ne so. Quindi scriverò anche cose vi faranno incazzare. Ma del resto sarete già incazzati, come me, per il fatto che il progetto della nave-bolla-quarantena sia stato accantonato. Quella sì sarebbe stata una figata. Finalmente una distopia a Sanremo; invece no. Il solito paese reale, quello. 

Ma accontentiamoci. Si parte. 

La cronaca

01:09 –  “Parlami” di Fasma

Mamma mia come strugge, questo giovanotto in gessato da gangster di Chicago:

Anche un granello di sabbia che si è perso nel mare può tornare roccia come puoi farlo te

Un’altra bella canzone d’amore, col crescendo, lo strazio, il tacet, il passaggio mezzo rappato con la voce distorta, un’altra, ma sì, datecene ancora, kilocalorie di views, disturbi intestinali, mancanza di stimoli, peristalsi bloccata, in definitiva un bad trip che dura da troppi anni. 

Però potrebbe fare la comparsa in Peaky Blinders - non è Chicago ma pure Birmingham ha il suo perchè.

01:00 - “Quando trovo te” di Francesco Renga

Ero proprio curioso di sentire il pezzo di zzzzzz.

PS: Pensate alla differenza tra Renga e Madame.

00:49 – “Dieci” di Annalisa

Il testo è praticamente un estratto da un gruppo whatsapp di soggetti under influence, oppure dei tweet di quelli enigmatici fatti da account con nomi maledetti e foto di labbra rosse. Quindi mi piace. Non si capisce niente e non ci si emoziona, ma almeno è contemporaneo, per diana! E questo mi emoziona. Nella sua autopresentazione sul sito di Sanremo, dice che è una storia di un’amore che non vuole finire. Poi ripete sei o sette volte «appunto» e «condividere». Sembrano un po’ gli accorati appelli dei concorrenti di XFactor. Poi diventa un calciatore quando parla di grinta e di «voglia di dimostrare» cose. Sanremo è un mix di mille gerghi diversi, un esperanto di frasi fatte che nemmeno Miss Italia quando intervistano le gnocche oche. Annalisa dice pure che è il suono è quella di una ballad moderna, in equilibrio tra elettronica «mitigata» con il mix con strumenti veri. Mitigata mi piace. Sentiamo, và. No, canzone non pervenuta. Però a un certo punto dice «baci francesi delivery» che dev’essere il nuovo modo per dire booty call.

00:42 – "Fiamme negli occhi" di Coma_Cose

LaPresse GRM FOTO/RASERO GUBERTI

Chitarre acustiche per una canzonetta da spiaggia (è un complimento), festa senza consumazione obbligatoria, tramonto gratuito, ombrelloni che si chiudono.

Daje, una canzone d’amore, passione bruciante, sentimenti forti e musichetta leggera.

Infiammiamoci tutti. Amore e morte: l’immagine del “tostapane che cade in una vasca piena di risentimento” è piuttosto, ecco, ma come gli è venuta in mente? E soprattutto il risentimento conduce elettricità o no? Cioè, si muore col tostapane dentro il risentimento? Non ho risposte, so che mi arrovellerò a lungo. Comunque è una canzone verità: parla del loro rapporto d’amore. Così, davanti a tutti, ci fanno vedere i loro tostapane nascosti. Ci vuole coraggio, questo va riconosciuto. 

00:13 – “Momento perfetto” di Ghemon

Allora Ghemon mi ha fatto molto ridere con la sua campagna per il televoto su Twitter, una specie di Ecce Bombo reloaded coi riccioloni e le magliette anni ‘70. Telefonava tipo alla zia d’Australia e al compagno di calcetto per raccattare voti. Si sdrammatizza eh, l’importante è partecipare, mai prendersi sul serio, anche se il pezzo ha una specie di urlo autoaffermativo, piuttosto composto per la verità. Infatti la canzone ha una sua eleganza, che non ci azzecca tanto col testo; una cosa da crooner loser, con i tavoli ormai deserti e i bicchieri da cocktail vuoit e rovesciati. Insomma, fa famiglia, ecco. Ci sta. E i fiati, classy.

00:03 – “Zitti e buoni” dei Maneskin

I Maneskin sono quelli che si sparano le pose da rockstars, però gliele ha insegnate Manuel Agnelli e quindi prima o poi gli riusciranno bene. Ci sono le chitarre, è una rockband, è il momento rockband a Sanremo, sempre amato molto quelli che vanno a fare l’eccezione che conferma la regola. Anche se poveracci gli autori li hanno descritti come “il rock per le nuovissime generazioni”. Praticamente un epitaffio. Epperò, scusate ma se parte una chitarra distorta a Sanremo io ancora esulto dentro. Quanto avrei voglia di vederli in jeans e maglietta nera, ne guadagnerebbero. Tenerissimo il coro “siamo fuori di testa”, altro che nuovissime generazioni, è roba da Jerry Lee Lewis. Lui però sta dietro al pezzo, se la cantano e se la suonano più che dignitosamente. Poi c’è una figura dello spirito: la bassista. La loro assoluta mancanza di originalità mi da un sollievo senza pari. Fanno una cosa già fatta, che sembra facile, ma alla fine, vi assicuro, non lo è. Bravi dai.

23:53 – “Voce” di Madame

LaPresse GRM FOTO/RASERO GUBERTI

Madame (ma che nome è?) ha diciotto anni, povera creatura. Ovviamente avendo diciotto anni è simpaticissima e immediatamente la più figa di tutti. Nella sua autopresentazione video è ovviamente la più cool. Era in pigiama, in pratica. Il testo della canzone è tutto rivolto a una “lei”, ed è amore. Che bellezza. Che sia dedicata a se stessa o a un’innamorata importa poco. Da qualche parte leggo che la “lei” è niente meno che la libertà - un po’ sono deluso. Verso preferito, soprattutto se dedicato alla libertà è questo:

Ho messo un altro rossetto sopra il labbro superiore

Ha i piedini nudi ed è strana e diversa e bella. L’arrangiamento del pezzo è un po’ seduto, si poteva fare di meglio, andare dietro alle sue asimmetrie, però dai, un’altra storia rispetto a quasi tutti gli altri. Me gusta, al punto che domani la riascolto, per davvero, giuro.

23:26 – “Glicine” di Noemi

La canzone d’ammore, impossibile, combattuto, mai consumato (sempre solo brividi, fiamme e altre metafore morte). Classicazzo sanremese che ci sta sempre, altrimenti saremmo delusi. Anche perché apprendo che Noemi ha già fatto sei Sanremo. Ma almeno di questo si capisce il testo… È molto contenta del modo in cui ha lavorato al pezzo e spera che ci piaccia. Annuncia scoperte musicali «sorprendenti, grazie a un mix tra analogico e digitale». Ora a parte che di analogico non c’è manco più il tamburo, sentiamo va, magari lo sentiamo sto analogico. 

Non si sente l’analogico (?!), si sente un filo di monotonia e poi c’è il crescendo, lento, lento, lento, lento, lento ma inesorabile. Inizio ad annoiarmi forte forte forte forte ma inesorabilmente

23:07 – “Il farmacista” di Max Gazzè

LaPresse GRM FOTO/RASERO GUBERTI

Gazzè: affidabile e divertente. Apre con il “si può fare” di Frankenstein junior e per me ha già vinto. L’alchimista buffo, la corte di paese, la fiera con la donna barbuta. Un Leonardo seconda punta (ha il numero 11) imbonitore e Almeno racconta, la musichetta ingaggia, come si dice. 

Ah, che divertente l’elenco dei rimedi per la fidanzata malmostosa - non del tutto naturali, va detto, la trifluoperazina si usa per la schizofrenia. Però halleluja un testo che funziona, ricamato, sì, ma diretto e semplice, mai gratuito. Gazzè dice delle cose, buffe e romantiche, che son due cose che non dovrebbe mai mancare, mai, e poi mai. Siamo tutti farmacisti, ha ragione lui, viene in mente Gozzano, così a tradimento; autoironia tragica (a un certo punto lui, il protagonista, ha una camicia di forza), dissacrante e liberatorio pezzo di musica leggera, ben fatto, un rockettino up-tempo.

Non abbiate pietà di me.

22:40 – “Chiamami per nome” di Francesca Michielin e Fedez

Francesca Michielin e Fedez (LaPresse)

Chi scrive ha una passione forsennata per la royal couple italiana ma non ha mai, ma proprio mai, ascoltato una canzone di Fedez. Quindi sono molto curioso. Il testo è ok, non si capisce niente come negli altri, una sequenza di immagini montate a caso e ambizioni un po’ sghembe di lirismo metropolitano tipo 

Come sassi contro le vetrine

Le mie scuse erano mille, mille

E nel cuore sento, spille spille

Sassi contro le vetrine, yes, rivoluzione, e invece no, arriva il momento di “scambiare l’oro col pane” che chissà che vuol dire, poverismo francescano vien da pensare. Comunque il pezzo entra di diritto nella categoria “canzoni cut-up” che poi sarà vero che si scrive così perchè si usa lo smartophono e tutto diventa una traduzione a parole di un emoticon? Fedez aveva detto che per prepararsi al palco di Sanremo farà meditazione trascendentale (ella madonna) e tante volte la pipì (già più praticabile come approccio). Il pezzo è in effetti orecchiabile - ehi ho scritto orecchiabile. Ha il ritornello che rimane più in mente fino a qui (forse se la gioca con Colapese e socio). Boh, devo riascoltarla, ma non male, abbastanza pro, direi. Scendo a pisciare il cane, anche se non deve cantare a Sanremo. Torno presto.

22:23 – "Ora" di Aiello

Mimica insopportabile, pezzo orrendissimo, al limite del codice penale. Urla e strepita il niente. Boh. Formidabile l'incipit del suo video di presentazione sul sito di Sanremo: «Ciao, sono Antonio Aniello, in arte Aiello». Nemmeno Totò e Peppino.

Di quello che canta, non si capisce niente. E non solo per la pronuncia. Il testo: chi gli ricordava di chi, lui, lei, la casa? Boh? “Sesso e Ibuprofene” poi è il classico verso che sembra intelligente e autoironico e invece è solo un flebile tentativo di mimica indie - ecco che accosto la mia debolezza (non solo ibuprofene, è una debolezza ripetuta: a letto era un drago epperò era terrorizzato, vabbè) al SESSO. Figo diciamo la parola sesso a Sanremo! Sesso sesso sesso. Sembra un cut-up venuto male, malattia della ricerca dell’originalità, quando poi come dice lui stesso la canzone parla di quando dopo una relazione finita male affrontiamo quella seguente in un modo che ci “fa sembrare stronzi, ma non lo siamo”. Beh, poteva cantarlo piuttosto che dirlo nella nota a piè pagina. Che è Leopardi? Naaaa. Meglio scrivere ti amo e tu non mi ami più (o viceversa, mi sono perso, ma è solo un esempio) piuttosto che girare intorno malamente cercando di essere originali. Ah, originali a Sanremo. help! E poi questa faccia incolpevole, anzi, innocente, che è peggio, e al tempo stesso finto cazzuta, doppio orecchino e barba rifilata. Naaaa. Non gliela fa a essere popstar. Ci prova e forse per Sanremo è abbastanza. 

Nello stesso video di cui sopra dice di amare la “contaminazione”; ora  a parte che non mi sembra proprio la parola da usare oggi, ma a prescindere dal contesto, davvero, solo a Sanremo si usa ancora questo lessico - aggiunge pure che gli piacciono i suoni “urban” e “streeet” e in generale “il pop contemporaneo”. Ok, comincia a farmi tenerezza. Poi ecco il momento pandemia: lui dice che sarà un “Sanremo di rinascita un po’ per tutti”. Certo, sì. Non grazie a te frate.

22:14 "Musica leggerissima" di Colapesce e Dimartino

Come sempre parto dal testo, straordinario manifestazione di impotenza, italianissima nel suo dire e non fare: 

Metti un po’ di musica leggera

Perché ho voglia di niente

Anzi leggerissima

Parole senza mistero

Allegre ma non troppo

Metti un po’ di musica leggera

Nel silenzio assordante

Per non cadere dentro al buco nero

Che sta ad un passo da noi, da noi

Più o meno

Dunque anziché scrivere una canzone leggerissima, hanno scritto una canzone che invoca canzoni leggerissime ma parla solo di drammi apocalittici e quotidiani. Boh. Non ci arrivo. Mi rivolgo dunque alla mia fonte diretta preferita, l’autopresentazione. Ecco, ora capisco. Colapesce dice che è una canzone “pop esistenzialista”. Rileggevo ieri “L’esistenzialismo è un umanismo” di Sartre. Si sarebbe molto incazzato - al tempo inveiva sulla volgarizzazione mistificante di quella parola, usata a sproposito addirittura da un columnist di un giornale di gossip, che così si firmava: “l’esistenzialista”. Elencare sfighe e tristezze non è esistenzialismo, tantomeno esistenzialismo pop. Una ragione di più di Ornella Vanoni è esistenzialismo pop, se vogliamo dirla tutta: la condanna della scelta!  Sartre sarebbe invece molto felice del richiamo all’ottimismo che segue la cazzata sull’esistenzialismo - addirittura si augurano che Sanremo sia il primo gradino verso la risalita dopo la pandemia (parola che nessuno pronuncia ma alla quale tutti si riferiscono). Sarà stato un’ordine? Non parlate della pandemia! Dobbiamo distrarre gli italiani. Ok, vabbè, ma fino a qua sono tutte canzoni che parlano di disperazione. Come direbbe Lodo Guenzi, ciao mamma scusa se non mi diverto. E ora ascoltiamo, col girocollo nero addosso. 

La canzone me ne ricorda almeno altre cento, datemi due minuti e vi dico quali. Concedo che i completi color confetto sono piuttosto fichi e che la chitarrina acustica e il suo giro innocente funzionano, uccisi ahimè dall’intervento cringe della chitarra elettrica sanremese, con tanto di primo piano per una mezza plettrata. Cantano sempre insieme, il coretto-duetto lungo tutto il pezzo. Direi grande classico sanremese. Molto poco esistenzialista, epr fortuna.

22.03 –  "Potevi fare di più" di Arisa

Arisa (LaPresse)

La canzone d’amore disperata, leopardiana, schopenhaueriana addirittura, è un must di Sanremo un po’ come il maglione color salmone al collo del play-boy in Costa Smeralda. Lo metti ma non lo indossi. Arisa è in balia dell’amor non corrisposto - la condizione umana, in poche parole. E va benone, c’è da empatizzare, vien facile. 

A che serve cercare se non vuoi più trovare

A che serve volare se puoi solo cadere

A che serve dormire se non hai da sognare

Nella notte il silenzio fa troppo rumore

Qui però si va oltre, siamo nei pressi della depressione (quella parolaccia che non si può dire, ma che riguarda tutti - però forse no, dai, esagero). E’ l’iperbole come codice basic del pop drammatico italiano che mi sta sulle palle, o meglio mi sta sulle palle quando non ci prende, mica come Perdere l’amore, che ci prende. (sì, sono ossessionato, e allora?).

C’è tuttavia un verso che come paralogia totale, da mal di testa, rivaleggia con il fantastico “Non fermarti proprio adesso perchè dopo non si può” di Tiziano Ferro. È questo:

A che serve morire se ogni giorno mi uccidi

Non è meraviglioso? Non vuol dire niente. Wittgenstein ne andrebbe pazzo. O forse ucciderebbe chi l’ha scritto. 

Comunque sono sopraffatto anche qui dalla tenerezza; nella sua presentazione Arisa esordisce dicendo “il titolo della mia canzone si chiama “Potevi fare di più”. Ma perchè nessuno gli ha detto di rifarla? Perchè sono sadici e ignoranti, ecco perchè. Ma noi siamo con Arisa, finisce sempre così, stai dalla loro parte, per forza. Sono l’elemento umano, le vittime degli anchor e del PAESE REALE. Dice che è una canzone che è anche di “grande gioia” (ma dove? Ecco, vedete: il dramma non si riesce mai a viverlo fino in fondo; E’ una canzone supertriste, dillo!, Dilloooooo!) e che è ha un suono classico, cioè anni ‘90. Il classico sono gli anni ‘90! Precisa poi che è tipo Whitney Houston. Lei è “un animale da palco”, così dice. Sentiamo. Provando a non immedesimarci troppo in quel “Potevi fare di più”, perchè non è vero. Abbiamo tutti fatto  quel che potevamo.

Molto Liza Minelli e pure un po’ Cindy Lauper. Eh, roba seria.  Il pezzo l’ha scritto GG DLSS (non riesco a scriverlo, scusate, ma avete capito). Non so che dire non mi tocca; prevedibile, lei canta bene, certo epperò dai anche basta con sta cosa che basta cantare bene. Bisogna cantare qualcosa, bene. Peccato, meritava una canzone migliore (o almeno una in cui non dice che quando torna a casa fa festa solo il suo cane - il patetismo ha dato, come genere). E soprattutto mi pare di ricordare fosse buffa, funny, in un modo bello. Ora è seria. Pure lei.

© Riproduzione riservata