Wake me up before you go-go, ha ballato Fiorello in apertura. E con la scusa dell'autoironia ecco che Sanremo manda subito il pizzino ai giornalisti e al pubblico sgomenti per la lunghezza delle scalette, tutte rigorosamente tirate oltre le due di notte. È da almeno un decennio che il festival finisce all'alba, ma è sempre rassicurante questa amnesia selettiva che ogni anno finalmente unisce l'Italia in un solo trasecolare. Questa penultima serata doveva chiudere alle 2 e 39 ma miracolosamente è finita alle due, e 39 minuti televisivi equivalgono all'eternità, e se Amadeus è riuscito comunque a farci stare dentro tutto forse abbiamo trovato l'uomo cui affidare la copertura vaccinale del paese.

LaPresse GRM FOTO/RASERO GUBERTI

È stata la serata woke del festival: naturalmente incombe l'otto marzo, quindi woke nel senso di diritti femminili, ma pure di gender, pure di specismo, pure di body shaming. È stata la serata woke, ma chissà se gli autori se ne sono accorti visto che Sanremo, come l'Italia, non è un paese avanzato: e verrebbe da aggiungere grazie a Dio, altrimenti si divertirebbero solo i paladini del cancelletto inclusivo e i giornali che ne riportano le perentorie opinioni senza mettersi a ridere, mentre noi non avremmo niente da scrivere.

Quindi, dicevamo la svolta woke: Fiorello e Amadeus hanno voluto celebrare le donne. E se nel Regno Unito o negli Stati Uniti avrebbero a tale scopo chiamato sul palco una poetessa non-bianca/queer/disabile a declamare un inedito, nel nostro rilassante terzo mondo culturale i presentatori conservano ancora il senso dello spettacolo pop, e le hanno celebrate all'antica italiana: mettendosi una parrucca, battezzandosi con nomi femminili buffi e cantando Siamo donne. E subito reazioni furiose degli anglo-americani immaginari sui social, gli stessi che poi si incatenano alle ambasciate per permettere a uomini biologici di partecipare alle gare di sport femminile.

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Per fortuna poi si è fatta l'inclusione davvero, con l'entrata di Beatrice Venezi co-conduttrice: ma nemmeno il tempo di far tirare un sospiro di sollievo alle professoresse democratiche, che ecco l' agguato retrogrado che non ti aspetti. La Venezi insiste per essere definita conduttore d'orchestra invece di conduttrice perché “il mio ruolo ha un nome preciso”. Praticamente una rivendicazione terrorista nell'epoca degli asterischi e dello schwa, la vocale neutra usata per non escludere nessuno: quindi forse è vero che le uniche donne che fanno carriera in campi tradizionalmente maschili ci riescono perché non perdono tempo a firmare gli appelli di Michela Murgia.

Va beh, con questa donna è andata male, proviamo con un'altra (ricordo che questa è l'edizione di Sanremo dell'Una vale Una, almeno sono stati chiari fin da subito): ecco Barbara Palombelli, perché urgeva anche una giornalista oltre alle modelle e attrici anche se l'unica giornalista in area Presta (l'agente di Amadeus) lavora purtroppo per la concorrenza. Ma sono calunnie: Barbara Palombelli è stata scelta perché conduce centinaia di ore di tv all'anno e quindi è perfetta per sopravvivere a quel campo minato di imprevisti che è il festival. Così perfetta che in cinque ore di diretta non ha beccato la telecamera giusta nemmeno una volta, introducendo i cantanti di profilo a testa bassa assorta nella lettura della scheda di presentazione.

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Ma Barbara Palombelli è una donna, quindi è stata straordinaria, e comunque se c'è una femmina sul palco dell'Ariston è per un motivo solo: il monologo “Voci. Voci di donne “ (cit.). Monologo nel quale Barbara con la sua deliziosa “e” spalancata da romana dei quartieri aspirazionali (sarà lo schwa?) ci ha narrato la sua pagina di LinkedIn o, come l'ha chiamata lei ,“la forza femminile”. La forza di tenere unito il paese, di accudire, di combattere. La forza - soprattutto - di ricevere praticamente ancora in fasce telefonate di importanti editori che vogliono offrirle un lavoro, se ho capito bene. La forza di essere bianca, ricca, attraente e ben sposata. La forza di avere l'agente giusto. Certo, poi in quel flusso di coscienza pariolina ha pure detto che lei “giocava con le pistole come Tenco e Gino Paoli”, e forse è stato il suo modo di rivelarci che una volta si è sparata sui piedi per sbaglio, probabilmente durante una battuta di caccia alla volpe ai Castelli.

Per fortuna non di sole donne vive il woke, e Fiorello ci ha tenuto a espiare la parrucca con un intervento contro il body shaming, tralaltro subito dopo l'esibizione di Noemi, recentemente crocifissa dalla brigata “Obesi per Vogue” per il grave reato di dieta e palestra.

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Intervento partito benissimo, con l'idea che gli animali non si fanno problemi di aspetto fisico e quindi sono più belli e felici di noi. Poi per fortuna si è ricordato che siamo in Italia e ha cominciato a parlare di cazzi. Ma almeno erano cazzi animali, quindi l'hashtag inclusivo e anti-specista ci stava.

Però c'è sempre Achille Lauro, quindi almeno la quota woke sezione gender fluid è stata coperta!, direte voi. Ha pure baciato il suo chitarrista con l'assertività di chi crede di aver inventato cose che esistono da cinquant'anni!, insisterete. Tutto giusto, tutto vero, tutto woke. Poi è arrivato Fiorello vestito e truccato da Achille Lauro e ha giocato a fare la statua portata via dai facchini. Perché è bellissimo essere woke in Italia e a Sanremo: si parte dall'inclusività e si finisce sempre a Totò e Peppino.

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