- Bernardine Evaristo scrive le storie che da ragazza avrebbe desiderato leggere e che però non erano ancora state scritte: le sue protagoniste, donne nere, riempiono un vuoto presente nelle librerie ma non nel Regno Unito che racconta
- Il padre era un consigliere comunale socialista, la madre una sindacalista: «Quando ho iniziato a scrivere perciò l’ho fatto con una forte connotazione politica»
- Sulle battaglie femministe e antirazziste dice: «Non dobbiamo convincerci che il futuro si prenda cura di sé stesso: dobbiamo adoperarci affinché le cose vadano nella direzione più giusta. Anni di progresso possono essere spazzati via in una notte»
Vincitrice del Booker Prize con Ragazza, donna, altro, Sur 2020 (un romanzo corale dalla lingua fluida e, al tempo stesso, spezzettata), Bernardine Evaristo scrive le storie che da ragazza avrebbe desiderato leggere e che però non erano ancora state scritte. Le donne nere di Evaristo – giovani o anziane, etero o gay, autrici o impiegate, che vivono in città o in campagna – raccontano la Storia del nostro tempo.
So che tuo padre è stato un politico. Credi che la cosa ti abbia influenzata, in qualche modo?
Sì, certo. Era un consigliere locale, un socialista, e ogni fine settimana aiutava la gente della comunità. Sono cresciuta sia con il suo esempio, e la sua politica socialista, sia pure con quello di mia madre, che era una sindacalista. Quando ho iniziato a scrivere perciò l’ho fatto con una forte connotazione politica.
A proposito dei tuoi genitori. In un’intervista, hai detto di essere nata in una famiglia tenace.
Mio padre è arrivato nel Regno Unito, dalla Nigeria, nel 1949 e ha conosciuto mia madre poco dopo. Si sono innamorati, sposati e hanno messo su famiglia, e per farlo hanno dovuto lottare con le molte difficoltà sia dell’epoca sia della famiglia di mia madre.
Si oppose?
Era soprattutto mia nonna a essere contraria. Lei voleva che sua figlia andasse in sposa a un uomo bianco, un professionista che guadagnasse bene, e voleva che facesse pochi figli, così che potesse dedicarsi alla carriera.
Quanti figli hanno avuto, poi?
Otto. Fu un atto di resistenza. Per questo li ho descritti come tenaci.
Sempre sulla tua famiglia: nella stessa intervista hai detto che c’era gente che spaccava le finestre di casa su base regolare. È così che hai scoperto il razzismo?
Non penso che all’epoca capissi davvero cosa fosse il razzismo.
Quanti anni avevi all’epoca?
Otto anni. Non ricordo come sia cominciata, la faccenda delle finestre – e non ricordo quando sia finita; ricordo la paura, questo sì. Quando sei tanto piccolo, un vocabolario per mettere a parole cose del genere non ce l’hai e verbalizzare cosa stia accadendo è difficile; persino nella tua testa. Ho capito cosa fosse il razzismo da adolescente, poi, partecipando ai cortei.
Com’è stato crescere con sette fratelli?
Molto impegnativo. Casa era sempre affollata, pareva di abitare in una grande stazione. Ognuno divideva la camera con un altro e le coppie non cambiavano mai: divisi dai genitori in base all’età, con i rispettivi doppi facevamo tutto.
Eravate uniti?
Da piccoli sì, ma crescendo, poi, com’è naturale, non è stato più così.
Quando hai deciso di diventare un’attivista?
La mia politicizzazione vera e propria si è formata alla scuola di recitazione che ho frequentato: ho scoperto la mia identità di donna nera, la mia sessualità e il femminismo.
Hai scoperto pure la tua sessualità, in quel periodo?
Sì. È stato allora che ho iniziato ad andare a letto anche con le donne.
Volevi fare l’attrice, quindi.
Ho fatto l’attrice per molto tempo.
Ti piaceva?
Tantissimo!
E la scrittura?
È arrivata in quegli stessi anni.
Come?
Ho frequentato la scuola di recitazione Rose Bruford, di cui, tra l’altro, oggi sono la preside, cosa che mi riempie di orgoglio! E il corso comprendeva sia lezioni di recitazione, sia di scrittura.
Perché volevi fare l’attrice?
Mi viene in mente un episodio risalente a quando avevo tredici anni. La scuola organizzò una recita e io interpretavo un vecchio gallese capitano di una nave. Quando recitai le mie battute il silenzio del pubblico era totale, e la sensazione fu stupenda: quella gente era zitta e ascoltava me. Dava tutta la sua attenzione a me: a me, che ero una ragazza nera nella Londra degli anni Settanta; non era qualcosa a cui fossi abituata, le occhiate che ricevevo erano soprattutto cattive o malevole. Ecco, fu meraviglioso.
Passando alla letteratura. Toni Morrison ha detto che se c’è un libro che vorresti leggere ma che non è ancora stato scritto, devi scriverlo tu.
Ciò che ho fatto. I romanzi che avrei voluto leggere da ragazza non erano stati editi così li ho scritti io. I ruoli per le donne nere quando ho finito il corso alla Rose Bruford non esistevano così ho creato una compagnia teatrale. Rendere visibile gli invisibili, era questo quel che volevo fare.
Scrivi per questo?
Anche. Scrivo per l’oggi, per raccontare quel che succede adesso affinché una ragazza nera possa leggere qualcosa in cui si sente rappresentata. Come andrà il futuro non so, forse i ragazzi saranno troppo presi dai social, a me interessa l’oggi.
Hai poche speranze per il futuro? Come vedi gli anni avvenire?
Credo dovremmo far attenzione. Non dobbiamo convincerci, come mi sembra stia accadendo, che il futuro si prenda cura di sé stesso: dobbiamo adoperarci affinché le cose vadano nella direzione più giusta. Anni di progresso possono essere spazzati via in una notte: non dobbiamo mai, mai abbassare la guardia, specie sui diritti. Pensa a quel che è successo negli Stati Uniti con l’aborto.
In effetti dopo anni di progresso sembra che l’orologio vada al contrario. E l’impressione è che stia tornando anche la diffidenza verso l’altro.
Quella c’è sempre stata solo che se in certe epoche è dormiente in altre è forte. Nel Regno Unito, fino a qualche anno fa, l’altro erano i neri. Oggi la comunità Lgbtq soffre in molti paesi. Le donne, invece, lo sono sempre.
Specifichiamo: cosa intendi per l’altro?
Parlo di chi è marginalizzato, discriminato.
Non credi, però, che qualcosa stia andando storto, in questo periodo? Mi riferisco, appunto, alla legge sull’aborto negli Stati Uniti e in Polonia o al modo in cui viene trattata la comunità Lgbtq in molti paesi, compresa l’Italia stessa.
È ciclico. C’è sempre qualcuno che cerca di far tornare indietro le società.
Non ti sento preoccupata.
Tu lo sei?
Sì.
Io ne ho preso coscienza, questo sì. E credo che queste modificazioni, per così definirle, dipendano dal fatto che tanti si stanno tramutando in zombie, specie i giovani, perché non prestano attenzione a quel che succede attorno a loro.
La causa?
I social. Tempo fa, un mio studente mi ha detto di aver passato cinque ore su TikTok. Cinque ore: ma ci pensi? Quando gli ho domandato cosa gli avessero lasciato, mi ha risposto niente. Nonostante tutto però non riusciva a chiuderlo.
Sul femminismo: c’è una tendenza a segmentare il movimento, mi pare.
È così da anni.
Che ne pensi?
L’importante è lottare.
Circa le donne che vorrebbero escludere dal movimento le donne trans – le cosiddette terf –, invece, cosa mi dici?
Preferisco non rispondere.
Perché?
È un argomento complesso.
Certo, ma immagino tu abbia un’opinione.
Sì, ce l’ho, e in futuro darò il mio contributo alla faccenda in modo articolato.
Quindi a riguardo non hai niente da dire, adesso?
Che la situazione è difficile. Sono convinta che si debba sempre, in qualunque frangente, prendere una posizione ma sono pure convinta che si possano avere idee divergenti, che si possa essere d’accordo su una questione e in disaccordo su un’altra facendo, ad ogni modo, fronte comune. Oggi però sembra che non sia più concesso, e credo sia tossico.
Be’, una risposta me l’hai data.
Sì, mi sa di sì.
Parliamo del romanzo. Come hai scelto le tue personagge?
Si scelgono da sole. Ho iniziato il libro scrivendo Carole perché m’interessava raccontare una giovane donna in cerca di successo lavorativo. Scrivendola ho inventato la madre, Bummi, e mi sono detta che anche lei meritava un capitolo per sé. Amma l’ho scritta per raccontare la comunità di donne nere di cui ero parte negli anni Ottanta e attraverso Amma ho scoperto Yazz, sua figlia. Ecco, alcune le ho scelte perché ben rappresentavano qualcosa di cui volevo parlare, altre perché chiamate da un’altra personaggia.
Ce n’è una a cui sei affezionata?
Amo tutte le mie figlie allo stesso modo.
Io mi sono un po’ più affezionato a Dominique, invece.
Perché?
Mi ha ricordato una relazione tossica che ho avuto anni fa. E a proposito: so che a 25 anni hai avuto una relazione malsana anche tu.
Sì, con una donna. È durata cinque anni e se ci ripenso… Dio mio, ancora mi domando come sia successo.
Cosa?
Che sia durata tanto. Ero una donna forte, scrivevo per il teatro, manifestavo, avevo amiche, leggevo, m’informavo. Eppure, sono caduta nella sua trappola.
Com’è andata?
Ha preso il controllo della mia vita, allontanando i miei affetti e isolandomi.
Dominique viene salvata da Amma. La tua storia, invece, com’è finita?
Sono stata salvata anch’io. Una mia amica, che aveva capito in che situazione mi trovassi, che era una delle poche a cui fosse permesso dalla mia ex di avere dei contatti con me, un giorno mi telefonò, mi disse che si stava trasferendo e che, se lo volevo, potevo andarci a vivere io, nel suo appartamento. Era la mia via di fuga: ho accettato subito.
Pensi che tutti abbiamo bisogno di un salvatore o una salvatrice?
Per te, poi, com’è andata? Com’è finita la tua relazione tossica?
Ho avuto un salvatore, in effetti. Un mio amico.
Non credo sia l’unico modo per uscire da situazioni del genere, ma penso che aiuti. La mia relazione con questa donna è stata diversa da quella che racconto con Dominique ma volevo scriverne anche perché tanti lettori, lettrici credono che certe dinamiche possano innescarsi solo in coppie etero, ma non è così, e ne ho fatto esperienza io stessa.
Ultima domanda: la faccio sempre, questa. Bernardine, hai ottant’anni, è domenica mattina. Con chi sei, dove sei, che fai?
Spero di trovarmi in un paese caldo e soprattutto sicuro, vorrei avere una bella casa con una veranda sulla spiaggia e vorrei essere con mio marito. Quel che è certo è che starò scrivendo, starò ancora scrivendo.
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