Alla fine, come in Shakespeare, è il tradimento che genera la trama anche nel calcio. Senza i traditori le partite sarebbero una noia. Va bene Pep Guardiola e il suo farsi Onu calcistico, va bene Gigi Riva che come Gesù nel deserto resiste alla tentazione, ma poi servono i Romelu Lukaku per animare le domeniche. Il belga ha uno stadio pieno di fischi prenotato a suo nome a Milano, sponda Inter.

Dall’estate la tifoseria nerazzurra aspetta il momento della vendetta. Ma prima dei tradimenti vanno elogiati i nomadismi di Romelu Lukaku. Il suo essere gipsy saltando da una squadra all’altra come se fossero mani di quadriglia, avanti e indrè, per ogni salto, un tradimento; per ogni tradimento una delusione; tanto poi ci sono i gol che fanno da spugna, cancellando tutto. Avanza, indietreggia, fugge, torna, salta, dribbla e segna.

Un videogioco, la carriera di Lukaku. Sarà che si sente ancora marcato dalla povertà, in genere ci si smarca dopo un paio di generazioni di autentica ricchezza, e Romelu sente ancora il latte diviso con i topi e fugge, poi c’è chi capisce e chi no, intanto lui vuole cambiare, ambire, guadagnare, strafare. Sarà così anche con la Roma, che oggi è la sua casacca. Basta saperlo.

Il carattere del personaggio è quello. Jago, Bruto, Claudio. Oppure per saltare al cinema e a Sergio Leone: il Max di C’era una volta in America è l’incarnazione del tradimento, senza di lui nessuno amerebbe Noodles. E la storia del calcio è piena di Max Bercovicz, basta solo aspettare il prossimo calciomercato, è già prenotato Mbappé che sta recitando a soggetto già da due stagioni, alla terza sarà Oscar, e prima Ballon d’or.

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Che poi i traditori rendono il mondo bambino, perché i bambini pensano che tutto abbia un seguito, ma come insegna il calcio: la partita deve finire, e la stagione vuole il colpo di scena, soprattutto oggi al tempo delle serie tv. Sembra già appartenere all’era di Diocleziano il tradimento di Lionel Messi che dal Barcellona salta al Paris Saint-Germain, «Au revoir Catalogne». Che serie era? Chi la trasmetteva?

E prima c’era stato Luis Figo a dire in catalano: «Adéu Catalunya» passando dal Barcellona al Real Madrid, e trovandosi la testa di un maiale al Camp Nou. Se Rino Gaetano pensava che Chinaglia non potesse passare al Frosinone perché suo fratello era figlio unico, ci sta che i tifosi del Barça non ammettano ancora oggi che il portoghese divenisse un calciatore della collezione galácticos di Florentino Pérez.

E pare una Desdemona il Donnarumma Gigio in balìa del demone jaghesco che fu Mino Raiola quando dal Milan se ne andò al Paris Saint-Germain: che abbiamo scoperto essere solo il trailer della casa dei tradimenti che è l’Arabia Saudita.

Molto più abile è apparso in questi anni – una sorta di Houdini del tradimento – Zlatan Ibrahimović che riuscirebbe a passare attraverso un temporale di gocce di Chanel senza sentirsi Marilyn, avendo come missione calcistica la trasmigrazione in nome della vittoria, anche perché Ibra mette le cose in chiaro fin dall’inizio: non è la squadra che prende lui è lui che prende la squadra.

Tra Shakespeare e Borges

Il punto di vista conta nel tradimento più del tradimento stesso. Ibra denuncia la sua natura, non si presenta come immacolato, e passa. Anche a vuoto. Come quando dall’Inter saltò al Barcellona e Mourinho da Nostradamus gli disse proprio mentre saltava per andare a vincere la Champions League che sarebbe stata l’Inter a vincerla.

E andò così. Ma ci sono anche i tradimenti senza movimento come il «no» di Pablito Rossi al Napoli nel 1979. Il San Paolo mise insieme novantamila fischiatori per ricordargli quella che era una paura inammissibile per i napoletani.

In confronto i fischi riservati anni dopo a Gonzalo Higuain – che in una notte se ne andò alla Juventus – erano una canzone di Julio Iglesias. Il tradimento trasforma il calcio in corrida e il calciatore in toro. E spesso è il traditore che ha la meglio, i fischi dopo lo smarrimento diventano rivalsa che porta al gol.

Lukaku in questo avvio di stagione ne ha già segnati otto, e chissà se il nono lo segna a Milano che succede. Sarebbe l’equazione perfetta, se sulla sequenza della vendetta fischiata arrivasse il gol che giustifica il sentimento, sceneggiatura perfetta.

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Se Lukaku avesse anche uno Shakespeare ci sarebbero le dichiarazioni in conseguenza, con striscioni alla domenica successiva e nuovo appuntamento all’Olimpico ed ecco la saga, e il filo sul quale danzare. Jorge Luis Borges, uno specialista in tema di tradimento, in Finzioni affronta l’argomento in due racconti: Tema del traditore e dell’eroe dove si sofferma su come il traditore agisca per propria mano, quasi in un istinto di consacrazione; e nelle Tre versioni di Giuda dove in quella più interessante senza Giuda non c’è Gesù e quindi niente trama e protagonista e ossessioni seguenti.

Borges legge il tradimento come un gioco di scatole cinesi o specchi dove il traditore accende la trama e consacra l’eroe. Gioca il traditore, tradisce il giocatore. Ma forse troviamo la sublimazione massima del tradimento e del traditore in alcuni versi di William Butler Yeats da The Tower, dove un mulinello avvolge e muove gli esseri umani e le cose, e agitandole le scompone e scomponendole crea la storia: ecco il tradimento.

«So the Platonic Year / Whirls out new right and wrong. / Whirls in the old instead; / All men are dancers and their tread / Goes to the barbarous clangour of a gong». Non resta che guardare Lukaku danzare sui barbari fischi del Meazza.

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