- Le cose migliori da Islanda, Lituania e Ucraina. Quasi tutti i brani sono una specie di pop a zero calorie mentre la metà dei concorrenti sono giovani donne scosciata.
- A Rotterdam invece vincono i Måneskin grazie al voto popolare – l’Europa invecchia, il rock’n’roll è roba da cinquantenni: c’è pure un tweet di Simon Le Bon che dice che sono i migliori, per dire.
- Stavano per vincere gli insipidissimi francesi e/o svizzeri. E invece, siamo campioni d’Europa. L’anno prossimo lo organizziamo noi l’Eurofestival. Che risate.
Per tutta una serie di motivi che non sto qui a spiegare e che sono estremamente poco europei – cavi, antenne, discussioni condominiali – io non ho il digitale terrestre. La mia ricerca del canale Rai 4 sul satellite risulta perdente, anche al quarto giro completo dei canali. Ma la mia fidanzata nota il canale di San Marino e dice di provare quello. Magia! C’è! Ecco che inizia le kermesse! Viva l’Europa! Che palle.
L’artista cipriota è «brava e bella», come direbbe Carlo Conti. Una specie di Kylie Minogue, il minisvestitino di strass è proprio il suo poi. Dietro i 44 metri quadri di carne esposta c’è il pezzo più riuscito nella categoria “giovani donne con svestitino di strass che si dimenano”. Si chiama El Diablo ed è un plagio di Bad Romance di Lady Gaga, per quello funziona. Dopo El Diablo, sempre nella categoria minisvestitino di strass, la cantante albanese. L’unica differenza è che ha qualche taglia in più della cipriota. E qua inizio a polemizzare con i miei stessi pensieri: questa settimana ho letto che le donne con la taglia media rivendicano attenzione! Si parla tanto delle taglie curvy ma nessuno parla mai delle taglie medie! Vergogna! «Le persone con la taglia media rivendicano la loro normalità e vogliono essere accettate» diceva l’articolo. Urca. Ho già mal di testa. Tocca a Israele e non ho davvero niente da dire, sono troppo deluso che non sia rappresentato da Kive di Shtisel. Poi gli Hooverphonic, bolliti, mettono insieme un pezzo identico a mille loro altri, fatto bene, miorilassante, sobrietà totale; dopo i tre acts di prima sembra di essere in chiesa.
Tutine e depressione
Le schede di presentazione degli artisti mi fanno pensare a quando andavo in cartoleria a comprare i supplementi iconografici dell’enciclopedia “Conoscere”: il costume tipico dei contadini rumeni e i campi di papaveri, il massiccio caucasico e il folk greco. Nelle schede i cantanti sembrano tanti subnormali giocosi e coloratissimi, molto meno fighi dei contadini rumeni che ritagliavo alle elementari per le ricerchine. Ma arriva la cantante russa: versione post sovietica di Björk almeno dal punto di vista dell’immagine, musicalmente è invece semplicemente merda. Voglio solo dimenticare. Malta: c’è Destiny. Anche lei ha il vestitino di strass (taglia curvy, con grande smacco per le taglie medie, anche qui ahimè poco rappresentate), ma è una cantante vera, è simpatica e il pezzo è pop abbastanza serio. I malinconici (?!) portoghesi mi mettono malinconia. Serbia: niente da dire sul trio di ragazzotte uscite da una festa di Briatore. Invece sul cantante UK ho da dire: è una merdissima. Brutto, scontato, vestito male, addirittura creepy, non vorresti incontrarlo nemmeno in coda per il vaccino. Auguro ogni male a lui e alle dogane.
Arriva la concorrente greca e uno si chiede per l’ennesima volta se c’è qualcosa di più di tutine attillate (variazione sul tema svestitino di strass) e pezzi di carne e movimento di bacino che mimano l’amplesso. A me l’ultima tutina che è davvero piaciuta è quella di Irma Vep nel capolavoro di Assayas. Vabbè, forse è un mio problema. O forse no. Polemizzo? Polemizzo: la metà dei concorrenti sono giovani donne scosciate che recitano una sessualità posticcia; è tremendamente noioso, un immaginario da seghino adolescenziale. Credo davvero che la pop culture debba ricostruire completamente l’idea di corpo eccetera eccetera.
Per smaltire la depressione mi cullo nel ricordo di quel capolavoro di Fire Saga, filmone comicissimo con Will Ferrell che interpreta un cantante sfigato islandese che viene selezionato per l’Eurofestival ma in patria vogliono solo che canti una canzone tradizionale, JaJa Ding Dong, il vero pezzo dell’Eurovision 2020, che c’è stato solo in quel film. Molto ridere. Mentre mi balocco con questi pensieri, arriva la Svizzera, un tale bruttissimo che melodieggia in francese. Faccio un ruttino e grazie a Dio arrivano proprio gli islandesi: hanno maglioni decorati con disegni pixelati delle facce di chi li indossa, perfetti per una festa pomeridiana. Rendono giustizia a Fire Saga, meravigliosi! C’è quella con i capelli azzurri, c’è la nerd con gli occhiali da segretaria, il tipo robusto in bermuda e dopo la sfilata di donnine svestite e ciccioni con grande estensione voooocaliiiiicaaaaa, ecco, ci si diverte facile, tra amici, con menzione speciale per la coreografia. Scopro che sono una famiglia. Due sono sposati tra loro, due sono sorelle, una è incinta e per di più sono tutti quanti in quarantena in hotel, con i volti dei due reclusi covidici esposti in due iPad. Balzano subito al primo posto della mia classifica.
La Spagna, vabbè, un tale melodico che dimentico appena entra in scena, Moldova boh, solite tipe mezze nude, non ricordo, inizio ad appisolarmi dopo il picco euforico islandese. I tedeschi sembrano Art Attack, patetici, anche se a me personalmente, il ludico-stupido teutonico è sempre piaciuto. Finlandia: hard rock (‘na specie, pare siano i “rivali” dei Måneskin, ma nemmeno da lontano). Bulgaria: canzone malinconica sul tempo che passa dedicata al padre scomparso (la cantante ha con sé la sua foto da bambina col padre incorniciata, esagerata) e poi uno dietro l’altro i miei preferiti insieme all’Islanda. I lituani, tutti vestiti di giallo, una versione giocosa di roba seventies macchinica e robotica. Niente di nuovo ma divertente e consapevole, colorato e festoso; il cantante fa anche nano-nano con la mano e siamo tutti felici. Spiccano anche perché quasi tutto il resto è una specie di pop a zero calorie, lento e senza energia (anche i pezzi delle svestitine), melodie scontate, con voce a volume cinque volte più alto della base musicale, base fatta a cazzo, gratuita, uguale a mille altre e cantato gratuito uguale, tutto fatto di reference da algoritmo dell’ascolto frugale. Questo è il pop a bpm bassi, come il respiro di un’Europa un filo depressa, che si diverte per finta. Aridatece l’eurotrash!
Svestitine incapaci
A parziale consolazione una roba veramente interessante. L’Ucraina. Un pezzo incredibile. Elettrofolk tamarro, un martello assurdo che va sempre più veloce, il pezzo che metterei in un dj set alle tre del mattino quando nessuno oramai sa più chi è. Si prendono sul serio e fanno bene, lei è veramente la più fica di tutte (in senso ampio, non letterale, mi dico precisandolo a me stesso); senza svestitino ma con uno sguardo incazzoso mentre urla a mille all’ora su una base fuori di testa, bpm a palla e assoli di flautini. I migliori, per distacco.
Dopo di lei la nemesi: una mielosa ragazzetta francese che fa Edith Piaf, due palle così. Mi consolo con una botta di eurotrash vero, Mata Hari, il pezzo dell’Azerbaigian; una cosa inguardabile con le tipe in lingerie e le mossette venute male. Si capisce che il pezzo è in inglese solo alla fine, perché lei l’inglese non lo sa, ma fanno un trenino in giarrettiera tutte a semi-pecorina mentre cantano “Mata Hari, just like Cleopatra”. Toccante. Questo sconclusionato rutto in faccia al nostro perbenismo mi fa rivalutare la sezione “svestitine incapaci”, ma anche no, sono confusissimo, non si può più parlare di pop, ormai e sono stanco di polemizzare con me stesso. Anche quando pensi da solo davanti alla tv non c’è tregua. Mi viene da telefonare alla Aspesi, che magari mi consola. Vabbè. Salto a piè pari Norvegia e Olanda, inutilissime e arrivano i Måneskin, che fanno il loro, con palco e luci essenziali da rock’n’roll primi anni zero. Bravi, tutto ok.
La Svezia: c’è un diciannovenne di colore, davvero gender fluid (pensiero indotto, vedi sopra, richiamo la Aspesi); sembra Tracy Chapman vestita come un personaggio di Star Wars che si è calato un Lsd: insomma, il costume più figo. M’informo e scopro che è di H&M. Perfetto. La canzone è generica, potrebbe farla chiunque, ma Tusse, così si chiama, è svedese solo da pochi anni. È un migrante. Gli hanno dato subito la cittadinanza e ora è il centravanti della musica pop svedese. E non usa l’autotune, che è un gesto politico ormai. Una cosa europea, diciamo. Chiude San Marino con una tamarrata incredibile, nel tripudio dei commentatori locali (non dimenticate che sto seguendo su Tele San Marino, scopro verso la fine che non è su Rai 4 stasera, ma su Rai 1 ma non torno indietro) e infatti veniamo informati che si stava giocando la finale del loro campionato di calcio. Ha vinto la Folgore.
A Rotterdam invece vincono i Måneskin grazie al voto popolare – l’Europa invecchia, il rock’n’roll è roba da cinquantenni: c’è pure un tweet di Simon Le Bon che dice che sono i migliori, per dire. Mi piace un sacco il momento dei punteggi, con le bandierine e le classifiche e le posizioni che cambiano e i presentatori da 20” che si collegano da tutti i paesi per dare il loro voto e poi il tipo che comunica i voti dell’Islanda è un genio. Fa perdere un sacco di tempo ripetendo incazzato che i voti vanno a JaJa Ding-Dong. Tutti in imbarazzo, io finalmente, rido. Stavano per vincere gli insipidissimi francesi e/o svizzeri. E invece, siamo campioni d’Europa.
Tutti a nanna. L’anno prossimo lo organizziamo noi l’Eurofestival. Che risate.
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