- In Italia, l’uso potabile ammonta a circa dieci miliardi di metri cubi all’anno, dei quali tre-quattro sono dispersi nel terreno. Ma sul paese, in media, cadono circa 300 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno in pioggia e neve. Nonostante l’interesse per le perdite di ret, non può essere quindi l’uso (o l’abuso) potabile che rende scarsa l’acqua.
- In realtà, la storia della siccità italiana è dominata quasi interamente dalla crescita delle piante. Cosa cresce sul nostro territorio dovrà cambiare, così come quanto l’agricoltura produca per ogni goccia d’acqua che usa.
- E se le nevi non ci aiutano più, raccogliendo acqua in inverno e rilasciandola in primavera, dovremo supplire con invasi artificiali e una gestione forestale che rallenti il deflusso. Tutto questo ci pone di fronte a una domanda fondamentale: che cosa vogliamo vedere quando guardiamo fuori dalla finestra?
Spesso mi si chiede che cosa possa fare il singolo di fronte alla siccità. Alcuni vogliono una risposta etica. Altri cercano colpevoli per liquidare la questione con una dose di indignazione, sentimento diffuso quanto inutile. In questi giorni molti quotidiani hanno offerto una risposta a entrambi, indirizzando i lettori verso le famigerate perdite dalle reti idriche. Queste, sentiamo dire frequentemente, raggiungono oltre il 40 per cento, un’inefficienza colposa, e la loro riduzione un passo obbligato per risolvere la siccità.
Perdere l’acqua
In realtà, la gestione dell’acqua potabile e le perdite di rete poco hanno a che fare con la siccità. “L’ignoranza non è virtù” ebbe a dire una volta il presidente statunitense Obama, parlando agli studenti dell’università di Rutgers circa l’anti-intellettualismo dilagante. Alla domanda su cosa possa fare l’individuo la mia risposta è sempre la stessa: informarsi.
Val la pena chiarire, quindi, cosa siano queste perdite. Immaginate un tubo in Pvc lungo un metro, che si trovi interrato sotto il livello della strada, parte di qualche conduttura che porta acqua a decine di famiglie in una media città italiana. Ora considerate una crepa larga meno di un capello, o forse un giunto logorato, dal quale scendano una o due gocce al secondo, disperdendosi nella falda sottostante. Tale perdita, sotto strati di cemento mentre nel tubo fluiscono centinaia di litri al secondo, passa facilmente inosservata. Quel gocciolio riempirebbe una lattina di Coca-Cola in un’ora. Poca cosa. In un giorno, circa sette litri e mezzo sarebbero dispersi. In un anno, tre metri cubi.
È una semplificazione, ovviamente, ma immaginate che quella sia la condizione media delle tubature di un sistema idrico tipico. Ciò che converte un gocciolio impercettibile in un problema serio è la dimensione delle reti. La provincia di Modena, per scegliere un esempio a caso, ha tubature di rete per quasi settemila chilometri. Se si mettessero quei tubi in fila, da sotto la torre della Ghirlandina si potrebbe raggiungere Calcutta, in India.
L’acqua potabile viaggia così, in centinaia di chilometri di tubature e valvole, spinta sotto una pressione (circa doppia rispetto a quella atmosferica) per consentirle di raggiungere i piani alti dei condomini. Se ogni metro di tubature della provincia di Modena gocciolasse come il nostro ipotetico metro di tubo, la rete disperderebbe nel terreno 21 milioni di metri cubi all’anno. Poiché il sistema della provincia di Modena ne distribuisce circa 80 milioni, il nostro gocciolio ammonterebbe a perdite del 30 per cento: più o meno quella registrata davvero in quella provincia.
Questione di tubature
Non ci sono reti al mondo che non perdano. Quanto, dipende dalla spesa per mantenerle. In Italia, le perdite medie sono intorno al 40 per cento, con enormi variazioni: Milano perde tra il dieci e il 15 per cento, Frosinone tra il 60 e il 70. A livello internazionale le variazioni sono altrettanto marcate. I tedeschi, per esempio, perdono in media sotto il 10 per cento. Gli inglesi intorno al 20. Gli irlandesi fino a poco tempo fa perdevano intorno al 50 per cento.
La differenza tra questi la fa la frequenza con la quale si rimpiazzano tubi e valvole prima che l’uso li deperisca. Sostituire migliaia di chilometri di tubature è costoso. I tedeschi le rimpiazzano spesso perché pagano l’acqua oltre 4,5 euro al metro cubo (bisogna dire che è anche più facile accedere alle tubature nella maggior parte delle città tedesche). In media gli italiani pagano tre volte meno, circa 1,5 euro al metro cubo, e rimpiazzano molto meno.
Un problema finanziario
L’ironia è che, dato il costo di produzione di un metro cubo di acqua potabile, tra uno e due euro, in Italia si perdono sia acqua che soldi: tra tre e sei miliardi di euro all’anno, un valore che, il caso vuole, sia equivalente agli investimenti necessari per ammodernare i nostri servizi idrici sostituendo i tubi, circa tre miliardi di euro all’anno appunto.
Il problema è che non si possono risparmiare i soldi riparando le perdite, a meno che qualcuno non sia disposto ad anticipare il capitale per fare i lavori. In altre parole, il problema dell’efficienza del servizio idrico in Italia non è economico, ma finanziario. Ma torniamo alla siccità. La questione delle perdite è economicamente importante. Ma bisogna chiarirsi sui volumi totali. In Italia, l’uso potabile ammonta a circa dieci miliardi di metri cubi all’anno, dei quali tre-quattro sono dispersi nel terreno. Ma sul paese, in media, cadono circa 300 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno in pioggia e neve. Nonostante l’interesse per le perdite di rete, non può essere quindi l’uso (o l’abuso) potabile che rende scarsa l’acqua.
Tra campi e boschi
In realtà, la storia della siccità italiana è dominata quasi interamente dalla crescita delle piante. La metà del territorio nazionale è agricolo. Ci sono circa 12 milioni di ettari coltivati a frumento, pascolo, alberi da frutta o altro. Quanta acqua venga usata da questi territori è questione assai complessa, ma una stima grossolana è che ogni metro quadrato in media traspiri o evapori circa 80 centimetri d’acqua all’anno: l’uso di un tipico campo di grano, per esempio, equivale a uno strato d’acqua profondo più o meno quanto sono alte le piante.
Questo significa che, dei 300 miliardi che cadono sul paese, l’agricoltura ha bisogno grosso modo di 100 miliardi di metri cubi (di cui circa 80 di pioggia intercettata prima che raggiunga falda o fiumi, e 20 prelevati per irrigazione dai fiumi o dalla falda dopo che la pioggia, defluendo, vi si è raccolta).
A questo va aggiunta l’acqua che traspira dalle foreste. Quanta acqua serva agli undici milioni di ettari di boschi in Italia è, di nuovo, cosa complessa, ma indicativamente un bosco intercetta circa un terzo di ciò che vi piove sopra: i boschi italiani traspirano circa 30 miliardi di metri cubi. Quindi, dei 300 miliardi di metri cubi che scendono dal cielo, il mondo delle piante in Italia intercetta poco meno della metà, evaporandolo o traspirandolo. Ciò che rimane si raccoglie in fiume o in falda, da cui l’uso potabile e quello industriale estraggono circa dieci miliardi ciascuno, prima di ritornarne gran parte come acqua reflua. Ciò che resta dopo tutto questo va a mare. Da questi dati è chiaro come l’uso potabile o industriale siano piccola cosa. Il territorio domina il bilancio idrico utilizzando oltre 130 miliardi di metri cubi ogni anno.
Rimedio alla siccità
Il problema dei fiumi in secca è presto illustrato. Basta una riduzione della pioggia o una temperatura un po’ più alta — in questa siccità, sono accaduti entrambi — per spingere le foreste in secca (con conseguente rischio di incendi) e gli agricoltori a estrarre più acqua dai fiumi per compensare la riduzione di piogge.
Dati i volumi coinvolti, anche variazioni percentuali piccole possono portare a estrazioni enormi. L’assenza dello scioglimento delle nevi poi, che di solito mantiene i flussi in primavera ed estate, ha fatto il resto.
Cosa può fare quindi un individuo a fronte della siccità? Si risparmi pure acqua in casa. Ci si ponga anche il problema delle perdite. Ma la soluzione, sia chiaro, sta altrove. Cosa cresce sul nostro territorio dovrà cambiare, così come quanto l’agricoltura produca per ogni goccia d’acqua che usa. E se le nevi non ci aiutano più, raccogliendo acqua in inverno e rilasciandola in primavera, dovremo supplire con invasi artificiali e una gestione forestale che rallenti il deflusso. Tutto questo ci pone di fronte a una domanda fondamentale: che cosa vogliamo vedere quando guardiamo fuori dalla finestra?
Il futuro del territorio italiano visto dalla finestra delle stime citate sopra ci mostra un’agricoltura in cui coltivazioni idrovore — dalle risaie ai foraggi per bestiame — sono state sostituite da varietà a più alto valore e minore uso idrico; è un mondo di nuovi invasi incastonati tra colline afforestate con boschi misti o ad alto fusto, gestiti per il loro impatto sul flusso dell’acqua. Avere un’opinione su che aspetto dovrà avere il nostro paesaggio, questa è la nostra responsabilità di cittadini, perché è da lì che parte la gestione del clima che sta arrivando. Fino a quando non rivedremo il nostro rapporto con il territorio, il rischio di scarsità non sarà mai veramente risolto.
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