- Pier Franco Brandimarte con il suo nuovo romanzo, La vampa, in libreria per il Saggiatore, dimostra di sapere manipolare e controllare il fatale trascorrere del tempo con una dimestichezza invidiabile.
- Il protagonista del romanzo è un bambino. Si chiama Annibale ed è l’ultimo discendente di una delle famiglie più ricche d’Italia.
- Ha una capacità, chiamata «la vampa», che gli permette di vivere in maniera diversa i grandi fatti del nostro paese
Buona parte degli uomini e delle donne, se gliene venisse concessa l’opportunità, i bambini come anche gli anziani, vorrebbero avere una dote nella vita, un prodigio da avverare quando lo desiderano: vorrebbero fermare il tempo. Lo vorrebbero forse persino più di ogni altra cosa.
Fermarlo a loro piacimento. Schioccando le dita o imponendo entrambe le mani, poco cambia, ciò che conta è sia loro consentito arrestare l’incedere del tempo. Soprattutto nei momenti più felici, così da goderseli lungamente, ma anche quando si avrebbe bisogno di qualche ora o di qualche giorno prima di prendere una decisione importante per il prosieguo della propria esistenza.
Quasi tutti, se venisse data l’opportunità di scegliersi una facoltà comunemente al di là della portata degli esseri umani, assegnerebbero per sé stessi l’abilità di fermare il tempo. Quasi tutti. Forse tutti tranne i romanzieri.
I romanzieri, se interpellati, ne domanderebbero un’altra, anche se sempre in quei dintorni: ciascuno di loro vorrebbe dominare il tempo a proprio piacere. Secondo la necessità e l’intenzione del momento. Perché chi comanda il tempo comanda ogni storia.
Il controllo sul tempo
Pier Franco Brandimarte con il suo nuovo romanzo, La vampa, in libreria per il Saggiatore, dimostra di sapere manipolare e controllare il fatale trascorrere del tempo con una dimestichezza invidiabile. Non si leggono abitualmente romanzi in cui il passato, il presente e il futuro di un protagonista e dell’Italia – come tre gemelli che si tengono per mano cantilenando una malinconica e spaurita nenia sulla finitezza delle faccende umane – si presentino così fatalmente intrecciati.
Sono passati nove anni dal suo romanzo di esordio, L’Amalassunta, non un’inezia, ma cosa vuoi che siano nove anni per uno che in questa sua seconda opera dispone del tempo con una raffinatezza da farci persino pensare di poter saltare nel passato e nel futuro a suo gusto?
Annibale
Il protagonista del romanzo è un bambino. Si chiama Annibale ed è l’ultimo discendente di una delle famiglie più ricche d’Italia. Il nonno di quel bambino, Riccardo, fondò l’azienda nel secondo dopoguerra e da allora è riuscito a imporla nel mercato internazionale come una delle più importanti e influenti.
Come ci sia riuscito è abbastanza semplice da immaginare. Agganci. Scambi di favori. Amicizie illustri. Intese e collusioni. Protezioni e appoggi. Contanti e omicidi. Sin dalle sue origini, infatti, il destino dell’azienda è legato con un nodo lasco eppure tenace sia alla benevolenza interessata della politica sia ai progetti della criminalità organizzata.
È il bambino a condurci nella casa in cui vive insieme al nonno e al resto della dinastia – una dimora labirintica costruita nel diciassettesimo secolo come tenuta di caccia, diventata, sotto lo sguardo del fondatore, “azienda agricola, fortino, villa estiva, palazzo di rappresentanza” – e nella storia ignobile della sua famiglia e del paese.
Vedere ogni cosa
Capita così ad Annibale: “Le mani premute sul tavolo di marmo, le palpebre increspate”, poi sente una scossa e un dolore alla testa. Dopodiché gemma, si ramifica e vede ogni cosa, che sia successa al nonno cinquant’anni prima della sua nascita o che stia capitando al padre in quell’esatto momento a centinaia di chilometri di distanza dalla villa.
La vampa è questa sua situazione personale, un talento e una ferita a cui non può sottrarsi. Vedere tutto. Come all’Ireneo Funes di Borges, quel ragazzino dal volto duro, figlio di una stiratrice e di un medico o forse di un ranchero nella tenuta di San Francisco a Fray Bentos, “celebre per alcune stranezze, come quella di non frequentare nessuno e di sapere sempre l’ora, come un orologio”, si ritrovò ad avere, dopo essere stato travolto da un cavallo, una memoria eccezionale, così Annibale a causa di un altro evento traumatico vede ogni cosa: il passato che altri non ricordano più, il presente che già sfugge dalle mani e la profezia per un futuro nient’affatto dolce.
Il fuoco
Brandimarte ci conduce in un intricato dedalo di parentele e quattrini, ordini impartiti dalla malavita e indagini poliziesche che promettono di far crollare tutto il castello, e lo fa avvalendosi di quel bambino che, al pari di un nugolo di pipistrelli che si orienta con gli ultrasuoni tra gli alberi e gli edifici senza mai neanche lontanamente rischiare di urtarli, grazie alla sua vampa percorre le stanze segrete dell’Italia, ascolta le confidenze più minacciose e trema per i ricatti da cui nessun membro della sua famiglia sarà indenne.
Gli artisti medievali dipingevano la visione come un’emanazione luminosa che sgorgava dalla testa dell’individuo. Qui, invece che da un fascio di luce accecante la conoscenza scaturisce da una fiammata di fuoco premonitore.
Un romanzo sul potere
Talvolta la vita si deposita lentamente, né più né meno che come la sabbia in una clessidra, ma altre volte precipita d’un tratto, senza avvisaglie o premesse, una frana improvvisa che divora quanto esisteva fino a un istante prima e impone un nuovo mondo.
Annibale vede la Resistenza contro l’occupazione nazifascista, vede il boom economico e la ricchezza che bacia la sua famiglia sulla fronte, vede i giorni più trionfali dell’azienda e quelli in cui ogni cosa è messa a repentaglio dalla dissoluzione del potere politico che fino al giorno prima la proteggeva.
La vampa è dunque un romanzo sul potere: del resto c’è qualcos’altro, a parte forse la giovinezza, che si consideri legato al tempo più di quanto non lo sia il potere? La sua tenacia. Poi la sua evanescenza. La decadenza e la sua rovina. Annibale vedrà Tangentopoli. Vedrà la classe dirigente che stavolta non potrà ricorrere alla sua millenaria impunità. Vedrà il potere disfarsi e il sangue che ne seguirà.
Visioni sull’Italia
Un personaggio del romanzo di Paolo Maurensig Il guardiano dei sogni, un nobile polacco magrissimo e con una barba che somiglia a una coda di volpe, ha la sconvolgente capacità di conoscere i sogni degli altri. Li vede, di notte, sospesi sopra il corpo di chi dorme, come una meravigliosa nuvola.
Leggendo questo romanzo, chiunque di noi può avere lo stesso talento di quel nobile barbuto: lo spaventoso paesaggio italiano emerge da queste pagine come da decine di visioni notturne e, senza neppure potersi strofinare gli occhi per la sorpresa o ricorrere a un pizzicotto per crederci al riparo da queste vicende, ecco che nelle visioni di Annibale l’Italia ci appare come il luogo più recondito e infausto del mondo.
Il punteggio di Amburgo
Una bellissima pagina di Viktor Sklovskij suggeriva che l’unico modo per decretare chi fossero gli scrittori migliori di una certa epoca fosse quello di aizzare l’uno contro l’altro, in un vero e proprio ring, i romanzieri di una stessa stagione.
Era il cosiddetto punteggio di Amburgo e, a differenza dalle serate di premiazione di qualunque altro premio letterario, quello conferirebbe il titolo a chi veramente lo merita. Scrive Sklovskij: “Il punteggio di Amburgo è importantissimo. Tutti gli incontri di lotta sono truccati. Gli atleti si fanno mettere con le spalle a terra secondo le istruzioni dell’impresario. Ma una volta l’anno si riuniscono ad Amburgo in un’osteria e lottano a porte chiuse, con le tende tirate. Lottano a lungo, pesantemente, senza eleganza. Il punteggio di Amburgo serve a stabilire la classe reale di ciascun lottatore e a evitare il totale discredito. Anche in letteratura non se ne può fare a meno. Per il punteggio di Amburgo Serafimovic e Versaev non esistono neppure. Non sono ancora arrivati in città. Ad Amburgo c’è Bulgakov, fermo accanto al tappeto. Babel’ è un peso piuma. Gor’kij è ambiguo: spesso non è in forma. Chlèbnikov era un campione”.
I tempi da allora sono molto cambiati, da un pezzo non c’è bisogno che gli scrittori si prendano a legnate per stabilirne la classe reale. Più che altro ha smesso di valerne la pena. Ora è che sufficiente dividere i romanzieri tra coloro che sanno dominare il tempo e quelli che non sono in grado di farlo.
Tra quelli che sanno che l’oggetto più ammaliante con cui possa confrontarsi la letteratura è il tempo che passa, come lo sa Pier Franco Brandimarte, e quelli che passano. Qualunque altra distinzione passa in secondo piano.
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