A nutrire il nostro ego digitale ormai ipertrofico, i resoconti della piattaforma svedese si sono trasformati nella vera hit parade annuale. Dell’estero a noi non importa proprio niente e per trovare una donna nella top ten bisogna arrivare fino alla quinta posizione
Dimmi che Spotify Wrapped hai e ti dirò chi sei. Ma anche: «Mi si nota di più se condivido il mio Spotify Wrapped, o se mi lamento di chi lo ha condiviso?». A nutrire il nostro ego digitale ormai ipertrofico, tra quintali di foto postate sotto forma di «dump» mensile e altre miriadi di informazioni private che nessuno ci ha chiesto ma che comunque regaliamo al mondo per sfuggire al complesso della mummia, da qualche anno è arrivato anche il resoconto di ciò che abbiamo ascoltato sulla piattaforma di streaming audio più usata di sempre.
Con grafiche e animazioni accattivanti, didascalie simpatiche, oroscopi musicali e altre diavolerie da aziende del tardo capitalismo che hanno tutto l’interesse a mostrarsi nostre amiche, confessori e terapeuti – come mi conosce bene il mio algoritmo di Vinted, nessuno –, la fine dell’anno, da qualche anno, coincide anche col momento in cui ci mostriamo per quello che siamo. Avidi ascoltatori di podcast sul Medio Oriente, consumatori di discografie di Bruce Springsteen o fan sfegatati della colonna sonora di Challengers, tutto nel conteggio del tempo trascorso su Spotify trasuda personalità, autodeterminazione, incontinenza identitaria, e ai social piace esattamente per questo: un’altra straordinaria ragione per litigare e metterci cuori a vicenda, perché si sa, i Beatles sono meglio dei Rolling Stones, e In Utero è meglio di Nevermind.
Superata la fitta coltre di egomania che ci accomuna tutti nel definirci come esseri umani dai consumi culturali molto precisi, l’aspetto interessante di questa vagonata di dati che Spotify mette a disposizione è un altro, senza nulla togliere all’apprendimento della quantità di volte in cui la nostra ex compagna di classe ha ascoltato Sere Nere durante quest'ultimo anno. I resoconti della piattaforma svedese, infatti, si sono trasformati nella vera hit parade annuale, nel metro di valutazione dei gusti del nostro paese vecchio e stanco, ma che ha ancora abbastanza giovani a disposizione da poter tenere in vita il mercato musicale nostrano.
Perché la prima cosa che salta agli occhi, guardando la lista dei dieci artisti – maschile sovraesteso, sia ben chiaro – più ascoltati del 2024, è che dell’estero a noi non importa proprio niente. Geolier, il cantante napoletano che all’ultimo Sanremo ha fatto esplodere i centralini durante la serata dei duetti, il secondo classificato che, a differenza di Ultimo, non ha rosicato – salvo poi fare un duetto proprio con Ultimo, lasciando intendere neanche troppo sottilmente che sì, forse un po’ aveva rosicato –, lui che rappa nel dialetto più musicale d’Italia, è al primo posto, così come il suo singolo I P’ ME, TU P’ TE; è proprio il caso di dire che è l’anno di Geolier.
Ulteriore conferma che, se come sospettiamo José Sebastiani è stato il vero direttore artistico del festival di Amadeus, aveva le sue ottime ragioni di insistere su quel nome, nonostante in molti, me compresa, non abbiano ancora capito se si pronunci più alla francese o alla partenopea.
L’assenza di cognome
Per trovare una donna nella top ten bisogna arrivare fino alla quinta posizione. È lì che, come il contenuto di un sandwich, staziona ANNA, detta anche la vera baddie, tra un Lazza, un Tedua, uno Sfera Ebbasta e sopra un Guè (unico over 40 del mucchio), un Kid Yugi e un Tony il fu Effe che, pare superfluo specificarlo, presidia anche la top ten dei singoli con il suo martellante binomio estivo, Sesso e Samba.
Questo dato ci dice almeno un paio di cose sullo stato dell’industria musicale italiana attuale, perlomeno quella che passa dagli stream: le donne non ci piacciono, i rapper ci piacciono moltissimo. E considerato che ANNA è una che con le rime e il flow ci sa fare, per dirla come uno zio che vuole fingere di essere giovane, possiamo considerare la sua presenza nella sacra lista dei dieci più ascoltati una grazia conceduta al suo essere rapper, più che al suo essere donna.
Anche se, e su questo bisogna darle atto, ANNA è una girly girl, come si direbbe in questi casi: veste come una bambola Bratz, lancia appelli a TT LE GIRLZ, indossa svolazzanti gonnellini rosa con cui saltella sul palco con grande carisma, raccoglie fan giovanissime, come ha dimostrato Ilary Blasi documentando su Instagram la sua presenza al concerto della rapper insieme alla figlia più piccola, Isabel.
Spostandoci sul fronte femminile, ANNA sale alla prima posizione, confermando il fatto che quando si parla di giovani – ossia i consumatori più avidi di musica, siamo stati tutti sedicenni e molti di noi non hanno neanche mai sentito la necessità di aggiornare la propria libreria musicale da allora – la vera queen, oltre che la vera baddie, è lei.
Annalisa, Angelina Mango, Rose Villain, Elodie, Emma, Madame: oltre alla quasi totale assenza di cognome (e alla timida presenza di tre straniere, Taylor Swift, Dua Lipa e Billie Eilish), il filo rosso che lega le donne della nostra musica sembra essere solo uno, ossia Sanremo. Se sul fronte maschile arde il fuoco sacro del rap e della trap, su quello femminile invece c’è spazio per un po’ più di assortimento, sia anagrafico che di genere; evidentemente la virilità non va a braccetto con la varietà.
I dieci singoli più ascoltati
Mentre analizzando la classifica dei dieci singoli più ascoltati, spicca la doppia presenza di Tony, il suddetto fu Effe, che lasciati ormai alle spalle i fasti della Dark Polo Gang viaggia alla velocità della luce nella sua carriera da solista, oltre che di fidanzato di Giulia De Lellis. Purtroppo non è Chiara, il brano della discordia con Fedez, uno dei due singoli presenti in classifica ma MIU MIU e Dopo le 4, con featuring di Tedua e Bresh, perché sì sa, l’unione fa la forza, soprattutto per le case discografiche oggi.
La top ten più curiosa, considerato che evade un po’ dall’egemonia culturale della trap e dei suoi derivati (sempre parlando in termini di streaming, sia chiaro), è quella degli italiani all’estero, che regge da sola il compito di riportarci con i piedi per terra. Possiamo stare tranquilli, nessuno oltre le Alpi o al di là del Mediterraneo ci percepisce ancora come la penisola dell’autotune.
Le nostre eccellenze nel mondo, infatti, restano saldamente ancorate ai cavalli di battaglia del Made in Italy, in tutte le sue declinazioni: il rock all’italiana dei Maneskin, la house all’italiana di Gigi D’Agostino, Gabry Ponte e i MEDUZA, il bel canto all’italiana di Andrea Bocelli – che, ricordiamo, è anche il cantante preferito di Kim Kardashian, oltre che di Carmela Soprano –, le stagioni italianissime di Vivaldi, il pianoforte all’italiana di Ludovico Einaudi, e i nostri ambasciatori del pop nel nuovo continente Raffaella Carrà, Laura Pausini ed Eros Ramazzotti.
I tempi che viviamo ci impongono una politica sovranista, protezionista, autarchica, e tutti quegli altri concetti duri e puri che piacciono al governo meloniano, e di questa missione, i giovani col borsello, la tuta e le Nike – quelli che alcuni giornali chiamano «i maranza» quando diventano protagonisti di scontri metropolitani, gli stessi tanto vituperati dai talk su Rete 4 –, se ne sono fatti carico, tenendo pulita la lista dei dieci artisti e dei dieci album più ascoltati del 2024 da qualsiasi traccia di esterofilia. Nel frattempo, il mondo premia Taylor Swift, senza troppe sorprese, seguita da The Weeknd, Bad Buddy, Drake, Billie Eilish (e la sua Birds of Feathers, quella che è diventata virale anche in versione cantata da un gatto), Travis Scott, Kanye West (a dimostrazione che la cancel culture non funziona come sperato), Ariana Grande e Feid. Almeno sul resto del pianeta, le donne trovano un po’ più di spazio, arrivando persino al podio, soprattutto a livello di singoli con la Espresso di Sabrina Carpenter, new entry del pop statunitense. Per quel che ci riguarda, invece, potremmo dire che tra uomini al comando, patriottismo e Sanremo siamo sempre il solito paese, quello delle musichette, della morte e della giuria demoscopica.
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