- Mi è sempre piaciuto osservare gli operai che lavorano la strada. I camion pieni di asfalto, le macchine che pianeggiano, l’odore del bitume riscaldato. Da bambino mi fermavo per ore davanti ai lavori, ero come rapito.
- Il passato, si sa, ritorna quando meno te lo aspetti e sono infallibili e perfetti i tranelli della sorte. Gli operai si sono presentati nell’incrocio di strade vicino alla mia abitazione con tutti i carrozzoni necessari alla messa in opera.
- Non potevo immaginare che, due giorni dopo, si presentano allo stesso incrocio transennato una nuova squadra di operai. Al terzo ritorno lo stupore infantile va a farsi fottere. Perché tanto spreco?
Mi è sempre piaciuto osservare gli operai che lavorano la strada. I camion pieni di asfalto, le macchine che pianeggiano, l’odore del bitume riscaldato. Mi è sempre piaciuto. Da bambino mi fermavo per ore davanti ai lavori e non mi annoiavo, anzi ero come rapito, non vedevo altro. Ero talmente preso che quando gli operai si fermavano per mangiare continuavo a fissarli. Li guardavo mentre addentavano panini giganti fatti con frittate e fettine panate. Spesso quegli operai, credendomi un morto di fame, mi offrivano un pezzo del loro “paninone” che io, malgrado fossi un bambino di poco appetito, accettavo senza remore e con gusto, mandando su tutte le furie mia madre. Ma questa è un’altra storia.
Mi è sempre piaciuto osservare gli operai dell’asfalto, padroni incontrastati di un reticolo di strade malandate e piene di buche. Mi piaceva anche quell’odore forte che manda l’asfalto bruciato prima di essere appoggiato in terra e cercavo di respirarlo a pieni polmoni perché avevo sentito dire che faceva bene alla tosse convulsa. Non mi ricordo se ho avuto la tosse convulsa ma, da bambino, non mi sono fatto mancare nulla riguardo a malattie infettive e forse ho avuto anche quella particolare respirazione difficile che cercavo di curare con forti aspirazioni d’asfalto. Ma anche questa è un’altra storia.
Nel tempo i miei interessi sono cambiati ma ogni volta che mi sono trovato di fronte a un rifacimento stradale gettavo lo sguardo interessato sulle macchine e sugli uomini che anneriti e sudati riparavano strade dissestate. Con distrazione, però, facendo finta di avere altre cose da fare.
Come Sordi
Ne ero rapito, come da bambino, ma me ne vergognavo. Avevo in mente Alberto Sordi, nullafacente, che attraversa le strade di Roma per andare a comprare l’aceto naturale e che si ferma, come fanno alcuni pensionati, davanti ai lavori indicando agli operai sudati e stanchi cosa fare. «Ce risemo, arivortate la strada n’altra volta», dice rivelando che anche sessanta anni fa il lavoro in strada era continuo. Quel momento di uno dei film più famosi di Albertone mi ha colpito nel profondo, mi ha quasi represso e così ogni volta che m’imbattevo in lavori stradali cercavo di vedere senza vedere e, soprattutto, senza intervenire né tantomeno chiedere di assaggiare il pane con la frittata. Del resto come dice Woody Allen il vantaggio di essere intelligenti è che si può sempre fare l’imbecille mentre il contrario è del tutto impossibile.
Per me comunque non è mai stata una cosa da imbecilli o da persona intelligente. Era diverso. Ne ero come posseduto. Sia da bambino che in età per così dire avanzata. Solo che da grande ho pensato che fosse intelligente non guardare o guardare con distrazione. Ho creduto che gli operai che mi offrivano da mangiare quando ero bambino facevano parte di un tempo perduto e quella zattera dove avrei dovuto ancorarmi ho cercato di evitarla. Forse sbagliando. Anzi, sbagliando sicuramente.
Io vivo a Roma e le strade da rifare sono più degli dèi dell’Olimpo. Difficile far finta di niente. Da bambino incontravo i lavori passeggiando a piedi vicino alla mia abitazione, da grande spesso sono in auto e quando t’imbatti nel cartello “Lavori in corso”, difficile fermarsi e trovare un parcheggio. Non puoi far altro che guardare dal finestrino le betoniere e i volti anneriti degli operai, annusare l’odore acre dell’asfalto e andare via. Un giorno ho provato a fermarmi in una strada del centro e in pochi minuti mi sono arrivati vigili, ingegneri, operai con le pale in mano: sembravano che volessero lanciarmele. Avevano ragione, avevo bloccato tutto il traffico già in difficoltà per i lavori stessi. Negli ultimi tempi ho cercato di evitarli. Mi faceva troppo male non assistere. Così non ci pensai più per parecchi anni e forte della mia presa di posizione non vidi più lavori per strada. La pandemia poi ha fatto il resto. Tutto ok, quindi? Neanche per sogno.
Il passato, si sa, ritorna quando meno te lo aspetti e sono infallibili e perfetti i tranelli della sorte. Specialmente quando si presenta con i fiammeggianti colori arancione di un gruppo di operai, armati di bellissime betoniere e asfalto infuocato. Gli operai si sono presentati nell’incrocio di strade vicino alla mia abitazione con tutti i carrozzoni necessari alla messa in opera. Si sono posizionati nell’angolo di strada che distinguo benissimo dalla mia finestra. Non ho resistito. Mi sono affacciato e ho cominciato a vedere, senza essere visto, i lavori avviati per pareggiare una pavimentazione assai sconnessa. Ho goduto doppiamente. Perché ritornavo bambino e, nello stesso tempo, perché immaginavo che la strada sotto casa sarebbe stata bella e lucida dopo i lavori.
Ogni cosa era al suo posto. La limpidezza del tempo presente. Via con i motori, i picconi, le pale. Via con l’asfalto ormai obsoleto. Un gran lavoro in poco tempo. Poi tutti a casa. Sono tornati il giorno dopo e io, ancora alla finestra, a curiosare. Hanno finito il lavoro rendendo quell’incrocio simile alla pista di Le Mans. Solo l’incrocio, però. Il resto delle strade non è previsto, oppure “non ci riguarda”. Al mattino seguente arriva un’altra squadra di operai armati, questa volta, di vernice bianca e azzurra. In poco tempo disegnano le strisce pedonali e quelle del parcheggio a pagamento. Bene, faccio tra me e me mentre dondolo alla finestra, anche se le “righe per terra” riguardano solo il pavimento nuovo. Il resto sembra nella mente degli dèi. Pazienza, penso, meglio di niente. Almeno non s’inciamperà più in quel tratto di strada. Sono comunque soddisfatto. È un ritorno al passato che neanche Nietzsche con il suo eterno ritorno avrebbe potuto immaginare.
Ulteriore gioia
Non potevo immaginare neanche che, due giorni dopo, si presentano allo stesso incrocio transennato una nuova squadra di operai che picconano con forza sul marciapiede. Penso: ora rifanno anche i marciapiedi, che bravi. È il pensiero di un momento, molto debole direbbe Vattimo, avanzato da chi sta in finestra a osservare senza fare altro. Realizzano una specie di trincea che dal marciapiede continua sulla strada, poi prende il marciapiede di fronte per ritornare sulla strada. Scavano con forza perché l’asfalto appena messo è durissimo. Rivortano la strada. Fanno passare fili e filoni (luce, telefoni chissà) poi richiudono alla bell’e meglio. Inutile il lavoro fatto due giorni prima, penso. Mi sbaglio. Il giorno successivo arrivano gli operai in tuta arancione armati di betoniere che rimettono tutto in ordine. Subito dopo tornano i verniciatori che ridisegnano le strisce nel frattempo cancellate. Che meraviglia, penso dalla finestra. Nel giro di pochi giorni ho assistito al gioco dell’asfalto rispondendo ai miei orizzonti infantili. Vado a dormire contento ma…
Tre giorni dopo raggiungo un capannello formato da commercianti della zona dove cade la parola e riesco a capire che l’armata dell’asfalto dovrebbe tornare la settimana successiva. A fare cosa? Nessuno lo sa. Il lunedì arrivano in quattro, con picconi e pale. Cominciano a scavare sull’asfalto a trincea, ma il percorso è diverso dal precedente anche se attraversa la strada appena rifatta. Vedo questa nuova operazione dalla finestra ma ormai lo stupore infantile che mi ha accompagnato in questi anni e in questi ultimi giorni va a farsi fottere. Di nuovo rompono e coprono alla meno peggio. Poi arrivano le betoniere e successivamente i verniciatori. È la terza volta in un mese. Fanno una parte di marciapiede non prevista e fanno finta che in altri punti non ci siano buche (“non ci riguarda”). Alcuni cittadini esasperati nel vedere una parte di marciapiede asfaltato e un’altra pieno di buche hanno parlato di mazzette. Probabilmente esagerano irritati dall’atteggiamento schizofrenico sui lavori. Se non fosse comico sarebbe drammatico. Il gioco dell’asfalto sembra una metafora di come funziona o non funziona il nostro paese. Perché tanto spreco? Non bastava bucare e asfaltare una volta sola immettendo tutti i fili dell’umana tecnologia? Non so leggere ma intuisco, direbbe Totò.
Io sono convinto che il gran dispiegamento di camion e betoniere nell’angolo di strada sopra la mia finestra sia stato fatto esclusivamente per me. Mi è sempre piaciuto osservare gli operai che lavorano la strada.
© Riproduzione riservata