Compie novant’anni la più internazionale delle attrici del cinema italiano, capace con i suoi personaggi e i suoi ruoli Anni Sessanta di anticipare la società. Cesira, Adelina, Filumena e Antonietta restano quattro donne libere pure quando soggiogate dalla guerra, dalla legge, dai costumi e dal fascismo
Generata non creata dagli dèi meridiani di Napoli, stretta tra i pensieri che venivano quando costringeva Vittorio De Sica a ballare il mambo – «E che r’’è stu mambo?». «’Na danza brasiliana» –, apparsa all’Italia con più stupore e tempo d’esistenza della dolce vita, madonna che appartiene al sud del sud dei santi e che finisce tra le regine di Hollywood: Sophia Loren è l’Italia prima e dopo il fascismo, della prima e della seconda e potete giurarci anche della terza e quarta Repubblica.
L’Italia del Boom che poteva permettersi di guardare allo stupro di una ragazzina mentre finiva la guerra e non da parte dei tedeschi (La Ciociara, 1960); come di raccontarci la vita di un’ex prostituta romantica e innamorata e pure tri-mamma (Matrimonio all’Italiana, 1964); che poteva essere contrabbandiera da mettere in carcere in caso di mancata figlianza (Ieri, oggi, domani, 1963); e che poteva essere una donna fascista nel film più antifascista del cinema italiano (Una giornata particolare, 1977) che colpiva il regime con le battute di Marcello Mastroianni.
Icona della liberazione femminile
In questi quattro film Sophia Loren quando non anticipava costumi sessuali ed esuberanza sentimentale chiariva le idee a chi andava al cinema aiutando le donne ad uscire da sé stesse, liberandosi da remore e rimorsi, con monologhi che erano discorsi alla nazione.
Quando partivano le invettive contro il cinismo dei soldati americani, contro Domenico Soriano e il suo essere piccolo borghese, contro lo stato che vuole imprigionarla – e poi ci riuscirà nel 1982 per una storia assurda, 17 giorni nel carcere di Caserta – o contro il suo marito fascista e il suo concetto di famiglia, le sue parole aprivano a movimenti che poi scavavano nel profondo e che ancora oggi a sentirle fanno pensare a quanto abbia lavorato sulle coscienze, distrattamente, in un modo aristocratico che il cinema italiano non ha avuto più: la sofferenza e l’eros, la famiglia e la sua elisione, la leggerezza e la determinazione, il dolore e la felicità.
Perché se è vero che Sophia ha recitato in 97 film – tra cinema e tivù – con tutti gli attori più importanti del secolo, da Marlon Brando a Totò, passando per grandi registi come Charlie Chaplin diventando schiava e Cleopatra, donna fatale e mamma, sedendo alla tavola di Clark Gable, Kim Novak e Liz Taylor, è anche vero che lei sta in queste quattro donne libere pure quando sono soggiogate dalla guerra, dalla legge, dai costumi e dal fascismo.
Cesira (La ciociara), Adelina (Ieri, oggi, domani), Filumena (Matrimonio all’italiana) e Antonietta (Una giornata particolare) sono così belle perché riassumono condizioni che Sophia, sia come diretta interessata che in seconda linea, ha patito e vissuto, mamma e mai matrona, capace di alimentare i maggiori demoni dell’eros senza mai essere volgare e soprattutto con una calza sfilata e le pantofole bucate, la bellezza oltre l’abbigliamento, il dramma con naturalezza, l’eversione sessuale con il sorriso, la trasgressione della legge per bisogno e col bisogno.
Il puzzle intorno a lei
Tre film su quattro sono di Vittorio De Sica, in tre film su quattro c’è Marcello Mastroianni e gli intrusi sono Ettore Scola come regista e Jean-Paul Belmondo e Raf Vallone come compagni di schermo, tutti i film sono prodotti da Carlo Ponti, marito di Sophia. A riprova che la sua vita è stato un incrocio tra questi tre uomini: De Sica, Mastroianni e Ponti.
Senza loro non ci sarebbero Cesira, Adelina, Filumena e Antonietta ma senza Sophia mancherebbe una parte fondamentale del cinema mondiale e della storia italiana. Che grande puzzle intorno a lei: Carlo, marito e produttore, Vittorio padre e regista, Marcello compagno e attore. Difficile trovare quattro persone meglio incastrate, a parte i Beatles, ed è merito di Sophia e della sua versatilità, dei suoi salti di stile e recitazione.
Perché a parte la sua prorompente bellezza, il seno pronunciato e altissimo, la faccia e gli occhi a mandorla – se li allungava col trucco a Hollywood orientaleggiando più di Edward Said – il collo modiglianesco e i capelli montati dal vento, così si ritrae anche in un autoritratto che ha messo alla fine della sua autobiografia Ieri, oggi, domani. La mia vita, a riprova che è stata quella che voleva essere, e anche questa è una lezione. Il suo è un corpo-nazione che attraversa la storia italiana, difficile trovare un’altra attrice così con donne nelle quali riconoscersi, dalle quali imparare, con le quali crescere.
Perché Sophia non è stata solo la più bella, la mamma apprensiva che doveva nascondere i suoi figli o generarli per poter rimanere a piede libero o accudirne la casa mentre loro andavano all’incontro tra Hitler e Mussolini innamorandosi e diventando antifascista – con una sorella imparentata con Benito Mussolini: il padre del pianista Romano, diceva Luciano Salce – nel giro di una giornata particolare dopo aver incontrato Mastroianni e I tre moschettieri. Sophia offre il suo corpo come mezzo, l’Italia attraverso lei impara, ricorda, condanna, s’eccita, s’innamora.
E recitando e apparendo educa anche la parte maschile che la guarda al cinema: un uomo, un marito violento, un amante, un fascista, apprendono che c’è da riconoscere un errore per cercare di migliorarsi, da scoprire un mondo e un modo diversi per cambiare. Anche perché come funzione paideutica insegna: non stai facendo piangere solo tua moglie, ma anche Sophia e se lei piange tu sei colpevole due volte.
È la stessa funzione di chi si ribella, riscatta, oppone alle ingiustizie. Sophia ha educato mogli e mariti, uomini e donne, mostrando che cosa accadeva quando facevano male, quando agivano egoisticamente, apparecchiando il dopo, il vuoto dopo il male. Guardandola difendere – senza riuscirci – sua figlia (d’oro, santa) Rosetta ne La ciociara: anche i maschi, che per tutto il film la insidiano con prepotenza, potevano capire quanto male facevano così per abitudine, come per abitudine un gruppo di goumier le stuprano. E alla fine chiede perdono alla figlia per tutto il mondo adulto.
Guardandola in Ieri, oggi, domani diventare una popolana che facendo figli ritarda l’esecuzione della condanna per contrabbando di sigarette dove una multa diventa prigione e la gravidanza opposizione con il maschio che è solo un elemento per la procreazione che viene amorevolmente sminuito. Con leggerezza Sophia incarnava il matriarcato che ha dominato e domina il sud.
Guardandola in Matrimonio all’italiana spiegare a Mastroianni-Soriano che cosa significa essere una donna di scorta o che i figli non si pagano – merito della grande intuizione di scrittura sudamericana, una delle tante vene di Eduardo De Filippo, capace di cogliere un dramma antico che non passerà mai, trasposto da De Sica senza polvere – il maschio poteva scoprire un disagio che non immaginava, prendendosi anche un «ricchio’».
O guardandola in Una giornata particolare come madre fascista di sei figli mentre beve il caffè che resta nelle tazze dopo la colazione e colleziona foto e frasi del Duce assumendo carattere e comandamenti fino a diventare invisibile oggetto, come desiderava il regime, per poi esplodere nel finale dopo aver scoperto un altro modo di amare, rivelando la solitudine di ogni donna trascurata dalla famiglia, dalla società e dalla vita, dove persino il suo sfogo si deve sovrapporre alla voce narrante dell’EIAR e al reggimento di aggettivi che accompagna quello dei soldati e dei fascisti che sfilavano per Roma in un giorno fatidico che Scola incornicia con ironia sottilissima.
La quinta donna
La chiosa a queste quattro grandi donne è un’altra donna, tra le tante interpretate dalla Loren, Sofia Cocozza in Pane, amore e... (1955) che balla il mambo in un vestito rosso e ad ogni colpo di fianchi e oscillazione del seno fa montare desideri da montagne russe, tutti sgonfiati dall’autorità comica di Vittorio De Sica.
È selvaggia, sensuale, esagerata e lui legnoso, goffo e intimorito. Questa era l’Italia davanti a Sophia: aveva voglia di amarla, ma s’impappinava, mentre lei ballava e guardava altrove.
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