- Mauro, l’operaietto, stava passando in rassegna i villini dei quali nel corso del tempo, e non senza una buona dose di prepotenza nei confronti dei suoi competitor dell’est Europa, era diventato il manutentore assoluto.
- Ormai era il baronetto incontrastato delle tre strade private che componevano il Villaggio: quel luogo leggendario compreso in un cubo tagliato dalla litoranea che confinava a nord con Ostia, a sud con Torvaianica, a ovest con il mare e a est con Campo Ascolano.
- «Scé ‘sta ‘na bara. Cori prinscipà». Si arrese soltanto dopo il quarto cori prinscipà di Ștefan ché strillato in maniera tanto angosciante iniziò a impensierirlo oltre modo.
Quando il nebbione di mare spaventò fin dalla mattina gli abitanti del litorale romano – ché sembrava un incendio – le due peroni da 66cl ingrossarono talmente tanto la vescica di Ștefan che le fitte al basso ventre lo fecero accartocciare dal dolore. L’operaio rumeno sapeva che il capo non gliele avrebbe date le chiavi del Sebach. Nel bagno chimico solo Mauretto ci poteva andare. I sottoposti non erano precisi come lui, quando pisciavano. Per ridurre gli schizzi alterava l’angolo d’attacco del getto facendo rimbalzare il fiotto verso il basso, cogliendo il cantuccio della tazza più stretto possibile. Lui mica inzaccherava i cessi come gli altri.
Col braccio destro alzato a mezz’asta e la mano a paletta gli indicò il cancello in legno smaltato di bianco, tutto scrostato dalla salsedine, oltre il quale via di lago Misurina sboccava sulla spiaggia. Con la nevicata dei giorni passati, i bungalow fronte mare del Villaggio Tognazzi erano stati piagati con un accanimento che neanche l’acne sul viso di un quattordicenne.
Il capo del villaggio
Mauro, l’operaietto, stava passando in rassegna i villini dei quali nel corso del tempo, e non senza una buona dose di prepotenza nei confronti dei suoi competitor dell’est Europa, era diventato il manutentore assoluto. Ormai era il baronetto incontrastato delle tre strade private che componevano il villaggio: quel luogo leggendario compreso in un cubo tagliato dalla litoranea che confinava a nord con Ostia, a sud con Torvaianica, a ovest con il mare e a est con Campo Ascolano. Le tre viette alberate che impreziosivano villini bassi ed eleganti, palazzetti modesti, grandi e piccole ville che occupavano la prima fila a ridosso dell’arenile, adesso erano robba sua.
Così, dopo aver isolato con dei pannelli di poliuretano spessi due dita la struttura d’alloggio del contatore esterno per proteggere la camera di misura, stabilì che quell’intervento al villino della vecchia signora inglese che come c’era capitata da quei pizzi? Boh sarebbe stato l’ultimo della giornata.
Gocce di condensa, grandi come monete da venti centesimi, presero a picchiettargli sulla chierica ricordandogli che al tetto del bungalow avrebbe dovuto sostituire la paglia naturale, ormai logora, utilizzando quella di palma nipa sintetica. Ma tant’è. Scartò il panino con la mortadella, lottando un po’ contro il foglio antigrasso avana che lo imbozzolava, e salendo a fatica sul bordo dell’aiuola poggiò i gomiti sul muretto guardando dritto davanti a sé.
Interruzioni
All’alba, una massa d’aria tiepida carezzando l’acqua fredda del mare era evaporata in tante piccole lacrime salate che avevano ammantato quella porzione del litorale di un velo di vapore bianco sporco che sembrava fuliggine. L’operaietto ci provò a guardare il mare suo come faceva sempre durante le pause quando almeno per un momento i pensieri gli si alleggerivano perdendosi nella dismisura generata dal coito fra l’acqua e il cielo in lontananza. Stavolta però il caligo boiaccia gli negò il conforto di quell’atto liturgico laico, hai voglia a bestemmiarci su.
«Scé ‘sta ‘na bara. Cori prinscipà».
Mauro si scrollò di dosso le briciole pinzando un paio di volte con le dita lo smanicato poi con la stessa empatia di un renziano di fronte alle sorti del Pd continuò ad addentare quel brandello di panino che gli era rimasto. Si arrese soltanto dopo il quarto cori prinscipà di Ștefan ché strillato in maniera tanto angosciante iniziò a impensierirlo oltre modo.
Il ragazzo rumeno guidò l’operaietto oltre la cancellata di via di lago Misurina, nel punto in cui l’arenile iniziava a ingoiare il cemento. Penetrarono le viscere del nebbione e costeggiando il muro di cinta del villino superarono il passaggio Wilma Montesi: uno dei tanti camminamenti in legno di pino costruiti per oltrepassare la duna e raggiungere la spiaggia a piedi senza rovinare la vegetazione che il comune di Pomezia fece edificare per ingentilire la memoria della povera ragazza morta ammazzata in quella zona del litorale.
Le scarpe antinfortunistica della strana coppia cominciarono a calpestare il tratto di spiaggia in cui la sabbia iniziava a impataccarsi del verde bluastro degli arbusti d’erica recintati dal cisto e, malgrado lo scudo degli indumenti, le braccia e le gambe di quei poveracci furono continuamente sottoposte alle puncicate delle ginestre spinose che ricoprivano il pendio della duna.
Rinvenimenti
Su un cuscino di euforbia che imbottiva il fosso oltre il declivio del montarozzo di renella, a Mauro apparve una scatola da morto – di quelle costose, da signorone – e accanto alla bara c’era Glauco, l’ex cassamortaro dell’agenzia funebre di via Danimarca, nel cuore di Torvaianica, anche lui caduto dal pero per quel bizzarro rinvenimento – generalmente le bare gliele consegnavano nella casa dei morti dove lavorava, non gli era mai capitato di ritrovarne durante le solite passeggiate mattutine sul lido – rese edotto l’astante con un severo ma sinceramente indignato: «Che robba. Che schifo. Non c’hanno rispetto manco pe’ li morti. Guarda che s’è inventato er comune pe’ fasse pubblicità: la bara de Raimondo Vianello davanti al Villaggio Tognazzi. Ma li mortacci loro» che colpì Mauro come uno schiaffone in faccia a mano aperta.
Neanche si chiese la ragione della presenza di Glauco, che neppure salutò nonostante l’antica amicizia, e si avvicinò al sarcofago restando a debita distanza perché un po’ quella cosa gli faceva senso. La targhetta in ottone al centro del coperchio con inciso il nome del marito di Sandra Mondaini gli confermò però che no, l’ex cassamortaro quella mattina ancora non era ubriaco. La mucosa gastrica dell’operaietto fu attaccata dai succhi digestivi acidi che gli incendiarono la parete interna dello stomaco. I due smisero di parlare ma continuò a oltranza un dialogo extrasensoriale che alimentò la rabbia di entrambi.
A Mauro presero a friggere gli zigomi poi il calore arrivò agli occhi inumidendogli le ciglia. Per quella mancanza di rispetto che feriva un’intera nazione «Perché un’istituzione che offende un simbolo nazionalpopolare è un’istituzione malata» gli andò il sangue al cervello. L’accettazione del dolore per quella soperchieria avvenne fulminea e così il vuoto emotivo, causato dall’indignazione, come in un moto spontaneo iniziò a riempirsi di ricordi pieni, concreti.
Sketch al villaggio
«Ao ma te ricordi quando Raimondo e Sandra girarono lo sketch qui davanti al villaggio?».
Mauro innescò la memoria dell’amico che deflagrò all’istante, e allora fu tutto un: «Che lui la porta in spiaggia e je dice de fasse le sabbiature», «e che non me lo ricordo», «ma che te ricordi che eri piccolo, sta’ bono famme raccontà», «Vianello allora prende la pala e fa la buca ce mette dentro la moje e la ricopre di sabbia, la lascia lì e se mette a giocà a pallone sul bagnasciuga co’ l’amico suo». Glauco non riuscì più ad andare avanti e scoppiò a ridere forte, una risata fragorosa che gli tolse il fiato per qualche secondo e iniziò a tossire che quasi si stava strozzando.
L’operaietto si voltò in slow motion verso il manovale rumeno – seriamente preoccupato che i due stessero infartando – e l’ex cassamortaro, mostrando il suo faccione deformato da una risata affogata che lo stava portando alla sincope. Per un attimo, un solo attimo, come un reflusso, il pensiero che quello nella bara potesse essere effettivamente il popolare attore italiano lo colpì come uno scappellotto dato con rancore.
Tornare al lavoro
Poi uccise l’ultimo pezzo di panino ingollandolo velocemente e sentenziò «Vabbè che ore abbiamo fatto? Io pe’ non sapé né legge e né scrive me farei l’affari miei» che Glauco appoggiò con un più argomentato «Ah, sì. Io non c’ho tempo da perde al commissariato a testimonià che oggi pomeriggio devo tumulà quattro vecchi che se so’ sfranti sulla Pontina».
Sulla montagnetta di sabbia dove si trovavano, in condizioni normali, si intravedeva il mare davanti. Solo un pezzetto piccolo piccolo, incorniciato dalle eleganti barriere in legno di pino del passaggio e, sulla sinistra, dalla macchia. Quella mattina però la finta fuliggine aveva pixelato tutto. Non si vedeva niente, neanche il mare piccolo piccolo.
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