- Sui rischi che si corrono a innamorarsi, il Settecento aveva le idee molto chiare. E il capolavoro di Choderlos de Laclos Le relazioni pericolose è scandalosamente contemporaneo.
- Se mai è esistito un personaggio in grado di incarnare i pericoli e gli accidenti della seduzione, il piacere machiavellico di far capitolare un amante rendendo esplicite le regole del gioco di potere, questo personaggio è certo la marchesa di Merteuil.
- Oggi, raccontare questi amori è un’impresa tutt’altro che facile, e infatti chi ci riesce raccoglie giusta ammirazione. Come quella che si è guadagnata di recente Naosie Dolan.
Pare che il capolavoro di Choderlos de Laclos, secondo le intenzioni del suo autore, si sarebbe dovuto intitolare non Les liaisons dangereuses ma, con sottile inversione, Le danger des liaisons, ovvero Il pericolo delle relazioni.
Sui rischi che si corrono a innamorarsi, il Settecento aveva le idee molto chiare: il titolo mancato, che l’autore cancellò di suo pugno dal contratto con l’editore, era già stato impiegato qualche tempo prima per un romanzo della marchesa di Saint-Aubin.
Sta di fatto che Laclos, ufficiale di carriera alla vigilia della Rivoluzione Francese, scrisse Le relazioni pericolose nel più puro esprit de l’escalier, per vendicarsi delle umiliazioni subite dalla nobiltà intrigante e corrotta. Malgrado le sue intenzioni edificanti, finì però per mettere in piedi una delle trame seduttive più seducenti di sempre.
Se mai è esistito un personaggio in grado di incarnare i pericoli e gli accidenti della seduzione, il piacere machiavellico di far capitolare un amante rendendo esplicite le regole del gioco di potere, questo personaggio è certo la marchesa di Merteuil, maestosa burattinaia capace di orchestrare a distanza intrighi e liaisons, e di trasformare un romanzo epistolare scritto due secoli e mezzo fa in un libro scandalosamente contemporaneo.
La marchesa è una sadica? Forse. È però, soprattutto, una donna che si ribella all’epoca in cui vive; un’intellettuale autodidatta, anziché la noiosissima vedova morigerata che il mondo si aspetta che sia.
La lettera forse più famosa di tutto il romanzo, la numero 81, costruita come una sontuosa autobiografia polemica, rivela nella seduttrice depravata una sete di conoscenza che l’affilia alle correnti libertine, ma, soprattutto, porta allo scoperto la sua sotterranea ribellione a una società che costringe le donne in uno stato di minorità e di cattività permanente, facendone indifese creature tutt’al più votate a conservare la propria virtù.
La marchesa, che intuisce come la seduzione non sia altro che un gioco di potere, la imbraccia come un’arma: d’altronde, lei è «nata per vendicare il mio sesso e dominare il vostro», come scrive al suo amante-rivale-nemico, il visconte di Valmont, che al suo cospetto fa un po’ la figura del bietolone.
Sposa vergine quasi bambina, per scoprire i segreti del sesso, con ironia sottile, si è dovuta fingere colpevole – ovvero: sedotta – all’orecchio del suo confessore, che solo sotto il velo del biasimo le ha rivelato in cosa consista la “rovina” di una donna. Poi, vedova giovanissima, solo grazie alla morte del marito ha potuto godere di una libertà altrimenti impensabile; e ne ha approfittato senza lesinare, certo, ma chi legge la lettera 81, alla fin fine, difficilmente si sognerà di biasimarla.
Insomma: Madame de Merteuil, in pieno Settecento, smashed the patriarchy. La più celebre trasposizione cinematografica del romanzo, quella di Stephen Frears del 1988, la fissa nella memoria collettiva nella regale interpretazione di Glenn Close. La quale proprio l’anno prima era stata la sedotta-e-abbandonata (e singolarmente vendicativa) Alex del cult Attrazione fatale; ma nei corsetti della marchesa incarna un personaggio ben più interessante, più sfaccettato e più libero; più moderno, sarei tentata di dire, ma è un’ovvietà, perché è molto difficile essere più moderni di una marchesa libertina che nella Francia pre-rivoluzionaria si inventa un sistema per vincere in ogni gioco di dominazione, e poco importa che l’epilogo la veda sconfitta, perché, come lei sa benissimo, quello che conta è il tempo del gioco.
Raccontare le relazioni oggi
Oggi, ad esempio, ci piace pensarci fluidi e immuni dai pericoli delle relazioni: esistono app di dating di ogni tipo, abbiamo forse troppi nomi da dare al desiderio di sfuggire l’impegno e la monogamia; ricorriamo a parole come ghosting, orbiting, zombieing, per dire i tanti modi in cui ci si può sfilare da una relazione; viviamo amori, online e offline, che ci pare di poter accendere e spegnere a intermittenza.
Raccontare questi amori è un’impresa tutt’altro che facile, e infatti chi ci riesce raccoglie giusta ammirazione. Come quella che si è guadagnata di recente Naosie Dolan: autrice irlandese ventottenne al suo debutto con un bellissimo romanzo, Tempi eccitanti (ora in libreria per Atlantide), scritto in una prima persona nevrotica e a tratti esilarante, che racconta la storia di Ava, 22 anni, disorientata dublinese che sentendosi senza arte né parte è volata fino a Hong Kong dove, in una scuola privata, insegna ai bambini locali l’inglese che lei stessa, anglofona di una terra dominata, impara via via che lo spiega.
Una delle idee geniali del libro è quella di parlare dell’amore attraverso le lezioni di grammatica di Ava, posso solo immaginare quanto sia stata ardua la sfida che ha affrontato Claudia Durastanti per tradurre Dolan in italiano, ma il risultato è ammirevole.
In questa Hong Kong disperatamente internazionale, che somiglia molto a un enorme hotel per uomini d’affari, Ava intreccia due storie d’amore parallele: una con Julian, banchiere inglese perfettino e ostinatamente distaccato, e una con la deliziosa Edith, autoctona ma educata a Cambridge. Rispetto a entrambi, lei, che viene da una famiglia modesta di cui a tratti sembra fiera e a tratti si vergogna, si sente subalterna, dunque in diritto di usare la seduzione – con una goffaggine che la rende deliziosa – come strumento di lotta di classe; e questa è l’altra idea geniale del libro.
Del resto, liaisons nel francese settecentesco significava sia “relazione” che “commercio”, come indicano i dizionari dell’Ancien Régime. Ava, però, si sente in colpa per le sue relazioni parallele: nonostante tutta la sua veemenza di aspirante rivoluzionaria, l’idea della monogamia – che pure, razionalmente, riconduce a un codice borghese-patriarcale – è fin troppo radicata in lei. Peccato, direbbe la Marchesa, che d’altronde ha scoperto a sue spese quanto possa essere pericolosa ogni relazione, e ogni commercio.
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