I conflitti mondiali non la sfiorano. La Ilha de Tristão da Cunha non ha porto né aeroporto. Piacerebbe a Rousseau e Fourier. Tutti hanno sanità e salario garantiti, pari disponibilità di spazio. Il problema più grande? L’asma. È raccontata come un posto dove è difficile vivere, invece ha raggiunto un livello di civiltà nell’isolamento: si conserva la pace, mentre nel resto della Terra si spara e si aspetta il prossimo nemico
Quando nel 1506 il navigatore portoghese Tristão da Cunha, uscito dalla rotta per le Indie, la scoprì e le diede il suo nome, Ilha de Tristão da Cunha, non sapeva che sarebbe diventata l’isola senza guerre, figlia dei naufragi. È probabile che se Napoleone Bonaparte non avesse perso a Waterloo, molti anni dopo, le cose sarebbero andate diversamente, lasciandola disabitata come le altre tre isole del suo arcipelago: l'isola Inaccessibile, le Isole Nightingale e l'isola Gough (dove poi dal 1963 ci sarà una stazione meteo).
Mentre il vascello inglese Northumberland portava Napoleone a Sant’Elena, dove sbarcò il 17 ottobre del 1815, è probabile che uno degli uomini che più hanno scritto la storia e la geografia del mondo non ricordasse l’appunto preso da ragazzo guardando l’oceano Atlantico e finendo a scrivere un nome e un commento: «Sant’Elena, piccola isola». Se non avesse scritto il nome dell’isola, un piccolo punto – divenuto quello finale – in una traiettoria che dallo sguardo si fa di vita, avremmo avuto un altro Napoleone, e lui un’altra vita.
Omero e Napoleone
Quell’appunto che era una premonizione oscura, una di quelle intuizioni che l’istinto si concede in anticipo sui tempi, senza motivo, era l’ultima tappa del viaggio avventuroso dell’uomo che cambiò il mondo. Se non avesse notato quel nome di donna – che Omero usa come pretesto per una guerra – scritto in mezzo all’oceano, ma un altro nome, e l’avesse appuntato: è probabile che avremmo avuto un Napoleone scrittore, come desiderava, prima di essere risucchiato nella vita da imperatore. E, un altro caporale, non sarebbe mai finito sull’isola più remota del mondo, lo scozzese William Glass, dando inizio – di fatto – alla colonizzazione di Tristan da Cunha.
È così che tutto comincia. Due caporali e due isole, distanti 2440 km. Perché gli inglesi portando Napoleone a Sant’Elena e, memori della fuga da l’Isola d’Elba, insediarono una guarnigione di cinque ufficiali e trentasei soldati su Tristan sotto il comando del tenente David Rice, sedando la paura di un’altra fuga. Quando nel 1821 Napoleone muore, la guarnigione lascia l’isola, ma il caporale Glass decide di restare, divenendo una sorta di José Arcadio Buendía che ha trovato la sua Macondo in mezzo all’oceano tra Città del Capo (a 2780 km) e Rio de Janeiro (a 3400 km), poco dopo arriverà la sua Ursula: Maria Magdalena Leepers, sudafricana, avranno sedici figli.
Col tempo si aggiunsero altre persone che volontariamente o meno, spinti dalle burrasche, discendendo dalle baleniere o dalle navi d’esplorazione, finirono sull’isola: inglesi, olandesi, statunitensi, irlandesi e italiani. Arriveranno capitani, marinai, pittori, esploratori, ingegneri e soldati come Thomas Swain testimone della morte dell’ammiraglio Nelson nella battaglia di Trafalgar, o almeno così raccontava. Eco della storia e della guerra.
Scrittori e missionari
Arriverà il missionario Dodgson, fratello di Lewis Carroll, proprio l’anno dopo la pubblicazione di Alice nel paese delle meraviglie. E arriveranno Gaetano Lavarello e Andrea Repetto e Nazzareno Marcianesi (poi scelse Capetown) che daranno vita all’innesto italiano sull’isola, non a caso oggi il piccolo ospedale si chiama Camogli. Per due secoli i problemi più seri dell’isola saranno lo sbarco dei topi (1882) dallo schooner americano Henry B. Paul, e una eruzione vulcanica (1961), che portò all’evacuazione dell’isola e al ritorno due anni dopo: sarà uno dei discendenti italiani, Johnny Repetto, il primo a ri-mettere piede sull’isola per preparare l’accoglienza.
Quella frattura servirà a far scoprire un’altra vita, quella oltre il mare, agli isolani che mai avevano visto auto e tv se non in foto, costringendoli a una forzata immersione nel mondo capitalista. Scoprono il giradischi ma anche il lavoro sotto padrone. Misurando la distanza dal mondo. La flessibilità a Tristan era molto diversa anche da quella che immaginava il più aperto dei laburisti inglesi. Ne parla lo scrittore Hervé Bazin che disegna Tristan come «un conte philosopique qui a l’avantage d’être vrai» nel suo Les Bienheureux de la Désolation. Nel 2011 una nave cargo si è incagliata a Nightingale island sversando 1500 tonnellate di petrolio, ma le forti correnti marine l’hanno ripulita rapidamente.
I topi
La prima guerra mondiale non l’ha sfiorata, la seconda ha portato una stazione della Royal Navy per controllare le navi tedesche nel sud Atlantico. L’arcipelago – che dipende dalla Gran Bretagna – in due secoli e un fischio ha dovuto affrontare un grande problema dovuto alla sua natura – l’essere un’isola vulcanica: ha fatto più la lava che l’uomo, non c’è porto né piste di atterraggio –, uno dovuto a uno sbarco differente con i topi che si insediarono sull’isola, e infine l’uomo col petrolio, problema risolto dalla natura. Per il resto il sogno del caporale scozzese – massone – William Glass è rimasto intatto.
Gli abitanti dell’isola sono tutti uguali, ogni cosa viene condivisa, tutti si aiutano. I terreni sono di tutti e tutti ci lavorano, anche perché senza i campi di patate Tristan sarebbe finita. Questo vale anche per gli animali che vivono liberi, e per le aragoste, fonte di sostentamento ed evoluzione, e poi i francobolli. Patate, francobolli e aragoste. Un ottimo manifesto per vincere le elezioni anche a New York, anche se il resto che c’è dietro non piacerebbe agli americani ma a Jean-Jacques Rousseau, «Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni», e a Charles Fourier, «Non c'è idea più nuova, più sorprendente, di quella di associare trecento famiglie di diverso grado di fortuna, conoscenza e capacità».
La vita quotidiana
Sarebbe troppo facile e su numeri troppo bassi saltare alla conclusione che nel posto più isolato del mondo – immune dalle guerre – dove tutti hanno sanità e salario garantiti e una pari disponibilità di spazio e movimento, il problema più grande venga dal vento o dall’asma che si portano nel DNA. Non c’è nemmeno stato bisogno della cappa di paura che avvolge l’idea utopica di The Village, il film scritto e diretto dal regista M. Night Shyamalan. Non hanno bisogno di creature mostruose a Tristan, c’è l’oceano col quale convivono, sopportando i suoi repentini cambi, un altro ospite, il più bizzoso di tutti.
Pur essendo un posto colonizzato per via di un uomo che mosse guerra al mondo, Napoleone, ne sono immuni, come sono immuni dalla delinquenza e dal male, non ci sono omicidi e nessuno ruba. L’isola e il suo arcipelago sono sempre stati raccontati come un posto assurdo dove è difficile vivere, invece andrebbe ribaltata la visione: è un posto bellissimo dove si è raggiunto un livello altissimo di civiltà nell’isolamento. L’arcipelago negli anni è entrato nelle pagine di Edgar Allan Poe, Le avventure di Gordon Pym, poi usato come base da Jules Verne, La sfinge dei ghiacci, è finito in un racconto de Il sistema periodico, Mercurio, di Primo Levi, viene citato ne Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, scritto con Peter Handke, e raccontato dal documentario di Guido Lombardi e Anna Lajolo, L’isola in capo al mondo. Ma sempre nell’accezione selvaggia, inesplorata, perduta.
Una fede
È la lontananza che lavora sull’immaginazione, tanto che l’angelo di Wenders la mette tra La Croce del Sud; l'Oriente lontano; Il grande Nord; l'Ovest selvaggio. Qualcosa di astratto e distante. Una stella. Ma su quella stella ci vivono e anche bene, nonostante le mille difficoltà. Costruiscono barche e case, sognano in modo diverso. La vecchiaia non è un problema da cancellare con la plastica, ma un valore. E la condivisione vale più di un attico o un suv, perché non si tramanda con atti di vendita, ma per sentimento, visione, educazione. Tristan da Cunha prima che geografia è fede e prima che fede è ossimoro. Con Albert Camus, possiamo dire che Tristan è solitaire et solidaire. Un’isola che dice: «Avrei preferenza di no» al mondo, e «Eccomi» agli altri isolani. Una contraddizione nella quale, però, si conserva la pace, mentre nel resto della Terra si spara, trama e si aspetta il prossimo nemico.
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