Con 30 candidature e 14 statuette vinte, siamo il paese straniero con più successi, ma Vermiglio è rimasto fuori dalla cinquina e quest’anno l’unica certezza è Isabella Rossellini come migliore attrice non protagonista per Conclave. Una situazione figlia di un certo immaginario presente tra i votanti americani e delle difficoltà di distribuzione. Dialogo tra Nicola Giuliano, produttore de La Grande Bellezza, e Gabriele Salvatore, regista di Mediterraneo
Ancora oggi se si parla di cinema italiano, qualsiasi star o regista di Hollywood si sperticherà in elogi su Fellini, de Sica, Leone, Sophia Loren o Roberto Begnini. Tutti straordinari ambasciatori dell’arte e della cultura italiana, per carità, ma possibile che nel 2025 i nomi citati siano ancora immancabilmente questi?
Con 30 candidature e 14 statuette vinte, l’Italia è il paese straniero che ha vinto più Oscar, ma nonostante la conferma internazionale di artisti come Sorrentino, Garrone o Guadagnino che, con il loro sguardo universale sul presente, hanno aperto gli orizzonti mentali e geografici di alcuni giurati dell’Academy, rimane il dubbio che i votanti per la categoria miglior film internazionale vogliano ancora essere cullati da un cinema italiano anacronistico, da film simil “madeleine di Proust” in cui ritrovare l’immaginario dei grandi maestri.
Quest’anno la giuria ristretta dei votanti per il film straniero ha escluso il candidato italiano: l’austero e bellissimo Vermiglio di Maura Delpero. Alla vigilia di un’edizione degli Oscar in cui l’unica certezza italica è l’iconica (sarà un caso?) Isabella Rossellini (candidata come migliore attrice non protagonista per Conclave) e in cui i candidati internazionali se la sono data di santa ragione a colpi di social durante delle campagne promozionali che sembravano elettorali, tutto sembra possibile.
Ne sanno qualcosa due eccellenze del cinema italiano: Nicola Giuliano, produttore illuminato della Indigo Film che ha portato alla vittoria La Grande Bellezza agli Oscar 2014, e un autore come Gabriele Salvatores, premio Oscar per Mediterraneo nel 1992.
Secondo voi i giurati dell'Academy hanno un'immagine dell’Italia che ci imprigiona in un cliché?
Gabriele Salvatores: La maggioranza dei film italiani o girati in Italia che sono arrivati agli Oscar sono ambientati nel passato, spesso nel Sud, durante la guerra o nel dopoguerra, con tanto di protagonisti in canottiera e mandolino in sottofondo (risata). Penso ovviamente al mio film Mediterraneo, a Nuovo cinema Paradiso, a La vita è bella o anche a Il Talento di Mr Ripley di Anthony Minghella o Il Postino di Michael Radford. C’è un’idea stereotipata dell’Italia, anche se La Grande Bellezza è un film diverso da quelli citati, e corrisponde a un immaginario che si sono fatti dell’Italia berlusconiana, barocca e decadente.
Nicola Giuliano: Voglio credere di no, spero che sia una cosa passata e voglio immaginare che il nuovo sistema dell’Academy abbia portato i votanti ad accogliere anche un cinema completamente diverso.
Perché Vermiglio non ce l’ha fatta?
G. S.: A me Vermiglio è piaciuto molto, ma probabilmente non ha ciò che gli americani cercano in un film italiano. Paragonandolo con Mediterraneo, anche se il mio film è una commedia e Vermiglio no, hanno similitudini perché sono ambedue ambientati durante la guerra, in una comunità lontana. La differenza è che Mediterraneo rientra esattamente negli stereotipi: italiani brava gente, l'estate, il sole, i bagni, l’amicizia. Il problema è che Vermiglio, in dialetto ladino che ha forti influenze tedesche, non sembra un film italiano ma nordico, ma è anche il suo bello, no?
N. G.: La Commissione ha scelto un film che ha vinto il Leone d’argento al Festival di Venezia. È una storia femminile, diretta da una donna e questo ha un peso sempre più decisivo nel sistema delle premiazioni americane. Vermiglio è comunque entrato nella cinquina dei Golden Globe e, per gli Oscar, nella shortlist dei 15 migliori film internazionali su 85. Mi sembra già un gran risultato.
Forse c’è stato poco sostegno dal distributore americano? È stato distribuito da Sideshow/Janus Films, era il distributore americano giusto per competere agli Oscar?
N.G.: Vermiglio ha incassato solo 160.000 dollari negli Stati Uniti ed è uscito a Natale, troppo a ridosso delle nomination. Anche La Grande Bellezza è stato distribuito dalla Janus Films negli Stati Uniti e il loro contributo per la campagna promozionale è stato pari a zero. All’epoca il nostro maggiore competitor era il film belga Alabama Monroe di Felix Van Groeningen, dico solo che c’era una troupe della televisione belga fissa che lo seguiva costantemente, avevano anche organizzato un tour di concerti attraverso gli Stati Uniti con una band country, il loro budget per la campagna Oscar? Due milioni di euro. Tutta la prima fase della campagna Oscar di La Grande Bellezza è stata a carico nostro, ci abbiamo creduto e abbiamo investito 400.000 euro per la promozione, senza nessun sostegno iniziale da Medusa né dal Ministero della Cultura. Il film era stato inizialmente scartato dall’Academy ed è rientrato in lizza grazie a una super giuria composta da 10 persone che ha deciso di recuperarlo. Per cui anche tutte quelle chiacchiere sul fatto che fosse un film costruito a tavolino per gli Oscar, le chiamo “sennodipoismo”.
Che cosa si fa durante una campagna Oscar?
N. G.: Si va in giro per le città americane, soprattutto in quelle dove ci sono più votanti. Si assume un addetto stampa con una rete di relazioni che organizza il massimo di incontri, ricevimenti e proiezioni, anche in case private. Paolo Sorrentino si è portato tutta la promozione sulle spalle perché Toni Servillo era impegnato a teatro, ma la ragione vera era che ha notoriamente paura di volare. È stato difficilissimo portarlo alla notte degli Oscar, ricordo che provò a declinare dicendomi: «Non posso, devo recitare a Avellino quella sera». Testuali parole.
G. S.: Per Mediterraneo non ho proprio fatto la campagna Oscar perché stavo girando Puerto Escondido in Messico. Mediterraneo fu preso da Harvey Weinstein, mi convocò al festival di Toronto, nella sua suite e mi disse: «Ho deciso di distribuire il tuo film in America ma a condizione di tagliare i primi minuti dell’inizio». Io gli risposi: «E se non volessi?». E lui «Non lo prendo». E io: «Va bene, tagliamo». Voleva arrivare prima possibile all'incontro tra le due comunità, quella italiana e quella greca, non aveva torto.
Perché è così importante concorrere agli Oscar? È arte o è competizione? Ci si va per vincere?
N. G.: È il campionato del mondo, in qualche modo. Da buon ex sportivo so che quando competi vuoi vincere, ma devi anche saper perdere, con eleganza e dignità. Come ha fatto Thomas Vinterberg che era in concorso insieme a noi con il bellissimo Il sospetto, simpaticissimo prima, durante e dopo la cerimonia.
G. S.: Sicuramente l’Oscar è un premio dell'industria che dà molto potere, ma la vincita di una statuetta non coincide necessariamente con la dimensione artistica del film. Anche se ogni tanto succede: l'anno di Mediterraneo, per esempio, vinse Il Silenzio degli Innocenti, un capolavoro che usciva fuori dagli schemi del classico film da premio Oscar. Oggi le candidature sono anche molto influenzate dai cambiamenti sociali, il mantra dell’inclusività impone quote etniche e di genere che sono imprescindibili.
Qual è il film giusto per competere agli Oscar?
G.S.: Mediterraneo è un buon film ma quell’anno ero in competizione con Lanterne Rosse di Zhang Yimou che, da regista e da spettatore, considero migliore del mio. Questo mi ha insegnato a capire quanto un premio Oscar dipenda da molti fattori e che la vittoria non è mai dovuta. Credo che il mio film abbia funzionato per la sua “italianità”, per il suo messaggio di solidarietà, l’incontro di due popoli che trovano un'alternativa di vita mentre la guerra impazza.
N. G.: L'Oscar, la Palma o il Leone d’Oro ti fanno molto felice quando li vinci, ma poi non se ne ricorda più nessuno. Quello che conta è quanto quel film resta nella memoria e nella coscienza degli spettatori. Kubrick, Lynch o Chaplin non hanno mai vinto un Oscar, ciò non toglie il fatto che, ancora oggi, è difficile resistere ai loro film, hanno segnato l'immaginario del pianeta. La molla di chi fa il nostro mestiere è fare qualcosa che resti.
© Riproduzione riservata