«Data la bella giornata di marzo, le finestre erano spalancate e la musica entrava nella sala insieme con la brezza primaverile. Era un motivo popolare ungherese, che, suonato l’organetto di Barberia, acquistava una cadenza di marcia militare, il cui ritmo avvincente faceva sorridere i ragazzi».

Quante volte me la sarò immaginata la vista da quelle finestre, quando il banco di scuola nelle tiepide giornate di primavera diventava troppo stretto e neppure le folte sopracciglia che contornavano lo sguardo severo del maestro Bruno riuscivano a tenerci attenti.

Grazie a quelle pagine – la citazione è tratta dal famoso romanzo ungherese I ragazzi della via Pál di Ferenc Molnár, uno di quelli che mi hanno accompagnato da bambino – fuori dalle finestre di una scuola veneziana immaginavo una via di Budapest, mentre campo Sant’Angelo, a due passi dalla Fenice, diventava quel pezzo di terreno tra gli edifici che era quartier generale di Boka, Nemecsek e compagni; con la fantasia diventavo parte delle loro epiche avventure, che prendevano forma tra la laguna e la capitale magiara.

Diventavo un lettore attivo, colei o colui che «in qualche modo riscrive l’opera, la amplifica con la sua immaginazione, crea un mondo, usa le sue capacità, la sua memoria, i suoi sogni, la sua stessa storia…».

Definizione, questa, che compare all’inizio della Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione scritta da papa Francesco il 17 luglio e pubblicata domenica 4 agosto; la potete leggere sul sito della Sala Stampa vaticana. Nella quale mi sono subito riconosciuto: allora da lettore bambino che immaginava la sua via Pál, oggi da adulto che dipinge col pensiero volti, paesaggi, emozioni letti in un romanzo. Così come accade a chiunque apra un libro per leggervi dentro un mondo.

Messaggio universale

È un documento ampio, non scontato, frutto «di una decisione forte, inedita per un pontefice, che riconosce nella pagina letteraria l’apertura di uno spazio interiore di libertà», come ha scritto su Repubblica Antonio Spadaro, sottosegretario del dicastero vaticano per la Cultura e l’educazione, il cui libro La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale (Ares, 2023) è più volte citato da papa Francesco.

La sua lettera è un elogio della lettura, che per il papa «ci apre nuovi spazi interiori che ci aiutano ad evitare una chiusura in quelle poche idee ossessive che ci intrappolano in maniera inesorabile». È stata concepita inizialmente come contributo alla formazione sacerdotale, ma poi – come scrive il pontefice – più in generale affronta il «valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale».

Una riflessione solo in parte inattesa: la letteratura è stata elemento importante per l’esperienza umana di Bergoglio, che – come scrive Spadaro – «è una persona che vive la poesia e l’espressione artistica come parte integrante della sua spiritualità e della sua pastorale». Per lui «la letteratura e l’arte sono vita», sono legate a filo doppio alle nostre esistenze.

Amplificare

Ciò che si coglie leggendo la lettera è che la letteratura consente di amplificare l’umano, permettendo l’accesso a esperienze che forse richiederebbero anni per esser conosciute (qui il papa nella lettera cita Proust), di metterci in relazione con chi ci sta attorno.

Auspicando di incontrare «un Gesù Cristo fatto carne, fatto umano, fatto storia» il papa parla di quella carne fatta di «passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti, mani che toccano e guariscono, sguardi che liberano e incoraggiano, di ospitalità, di perdono, di indignazione, di coraggio, di intrepidezza: in una parola, di amore». Messaggio universale che va ben oltre l’orizzonte religioso, al quale si può essere ancor più attenti grazie a «un’assidua frequentazione della letteratura».

La letteratura è mediatrice dell’umano, racconta di noi e consente di conoscerci e di conoscere gli altri e il mondo. A un fisico come me viene in mente l’analogia con la scienza, altro strumento di relazione tra gli umani e tra noi e la natura.

Letteratura e scienza – ne scrivevo su queste pagine qualche giorno fa a proposito di Calvino e Galileo – che lungi dall’essere distinte sono, grazie alla lingua, mezzi per accedere a ciò che altrimenti rimarrebbe sconosciuto; che ci liberano dall’illusione delle semplificazioni e ci mettono davanti quella complessità di natura e umanità che richiede la fatica della mediazione, l’accettare l’imperfezione e il rifuggire da facili categorizzazioni.

Gratuità vs efficientismo

La lettera di papa Francesco è ricca e va considerata nel suo complesso. Qui vorrei soffermarmi su un passaggio che mi ha colpito. Il papa scrive che «il nostro sguardo ordinario sul mondo è come “ridotto” e limitato a causa della pressione che gli scopi operativi e immediati del nostro agire esercitano su di noi». Poco dopo aggiunge: «Il rischio diventa così quello di cadere in un efficientismo che banalizza il discernimento, impoverisce la sensibilità e riduce la complessità. È perciò necessario ed urgente controbilanciare questa inevitabile accelerazione e semplificazione del nostro vivere quotidiano imparando a prendere le distanze da ciò che è immediato, a rallentare, a contemplare e ad ascoltare. Questo può accadere quando una persona si ferma gratuitamente a leggere un libro».

Stiamo correndo troppo e ci chiedono di correre sempre di più, in nome di un’efficienza ammantata da termini come smart, performance, ranking. Non c’è più tempo per pensare, sbagliare, esplorare, appassionarsi, emozionarsi. Di nuovo Spadaro su Repubblica nota: «Questo dobbiamo imparare a non perdere in una vita segnata dall’algoritmo dell’efficienza: sentire e gustare le cose». Dedicare tempo alla ricerca, alla riflessione, alle emozioni: questo è ciò di cui abbiamo gran bisogno. La gratuità della lettura può diventare antidoto all’efficientismo fine a sé stesso.

Subito dopo il papa continua: «È necessario recuperare modi di rapportarsi alla realtà ospitali, non strategici, non direttamente finalizzati a un risultato, in cui sia possibile lasciar emergere l’eccedenza infinita dell’essere. Distanza, lentezza, libertà sono i caratteri di un approccio al reale che trova proprio nella letteratura una forma di espressione non certo esclusiva ma privilegiata. La letteratura diventa allora una palestra dove allenare lo sguardo a cercare ed esplorare la verità delle persone e delle situazioni come mistero, come cariche di un eccesso di senso, che può essere solo parzialmente manifestata in categorie, schemi esplicativi, in dinamiche lineari di causa-effetto, mezzo-fine». È una sintesi densa di significato e controcorrente.

Logica generativa

Penso a quanto sarebbe oggi necessario, e rivoluzionario, passare da una logica dell’eccellenza fine a sé stessa – fatta di traguardi, valutazioni asettiche, misure, giudizi – a una nella quale l’eccellenza vada di pari passo con l’eccedenza.

Una logica generativa che, come afferma la pedagogista dell’università di Padova Marina Santi «faccia emergere l’eccedenza come motore dello sviluppo umano, creando le condizioni perché la creatività si riproduca e sia messa a disposizione delle comunità per fiorire nelle forme gratuite della solidarietà, della cura, del sapere, del benessere e ben-diventare, innovando, ma più ancora reinventando l’avvenire».

Una visione del mondo che rifugga dalle ipersemplificazioni, che rinunci alle «dinamiche lineari di causa-effetto, mezzo-fine» e che accetti invece la complessità.

Non tutto si può misurare, non tutto è riconducibile a scelte binarie tra bianco e nero, tra buoni e cattivi, tra vero e falso, tra giusto e sbagliato. Polarizzazioni e fondamentalismi inducono a scelte guidate da un ipotetico buon senso, su luoghi comuni o peggio su fandonie, e diventano pretesto per escludere, marginalizzare, mettere alla berlina. Esistono situazioni ibride.

Così come la natura, anche la vita è fatta di sfumature, di cui la letteratura, e la scienza, sono ricche. Il che non significa relativismo, ma opporsi a chi riduce la vitalità delle società umane a classifiche e griglie come strumenti di potere ed esclusione e accettare invece la difficoltà, ma anche la bellezza, umanissima, di vivere insieme nelle differenze, di esplorare ed errare.

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