- Sul DC9 Itavia, l’aereo decollato a Bologna e mai arrivato a Palermo, c’era un dentista, un insegnante, un commerciante di carni, due che si occupano di macchinari per l’estrazione del marmo, sette casalinghe, due carabinieri, un operaio, un avvocato.
- Sono vite comuni unite dal caso. Le persone su un aereo sono un campione statistico, il ritratto di un pezzo di mondo in un dato momento. Come un carotaggio.
- Molte delle persone a borde del volo, poi disperso a Ustica, viaggiavano per motivi sanitari: per accompagnare figli o parentesi fuori dalla regione. Migranti sanitari, come molti nel nostro paese.
Il 27 giugno 1980 il DC9 Itavia matricola I-Tigi, nominativo radio IH870, decolla da Bologna verso Palermo. Ha due ore di ritardo, non arriverà mai. A bordo ci sono 81 persone. Di 38 si recuperano i corpi. Solo «a partire dal gennaio del 1992 – scrive il Giudice Priore – sono stati svolti accertamenti nei confronti dei deceduti nel disastro aviatorio in ordine, in particolare, ai precedenti penali, all’attività? lavorativa svolta ed ai motivi del viaggio».
Nessun precedente penale dei passeggeri è tale «da motivare azioni di vendetta o di minaccia». Le professioni sono un catalogo del paese Italia: c’è un dentista, un insegnante, un commerciante di carni, due che si occupano di macchinari per l’estrazione del marmo, sette casalinghe, due carabinieri, un operaio, un avvocato, otto tra impiegati e impiegate, due ingegneri, un magistrato, una laureata in ingegneria nucleare e uno che fa surgelati. Poi un agente di cambio, un agente di pubblica sicurezza, un piastrellista, un fotografo, un assicuratore, un maresciallo della Finanza in pensione. Un manovale edile, un perito metalmeccanico, un assistente di analisi matematica, due tecnici della Snam progetti, due bancari, quattro studenti e una baby sitter. È li per la figlia dell’ingegnere nucleare. La bambina si chiama Alessandra. Ha cinque anni. Sull’aereo ci sono anche undici bambini.
Sono vite comuni unite dal caso. Le persone su un aereo sono un campione statistico, il ritratto di un pezzo di mondo in un dato momento. Come un carotaggio. Uguale per i motivi del viaggio: c’è chi va al matrimonio della sorella di un amico, chi in vacanza e tanti che viaggiano per lavoro. C’è chi vola al compleanno della figlia, chi torna dalla laurea del fratello, chi va a un congresso e chi è stato a trovare i suoi: «Rientrava da Bologna dopo aver fatto visita ai figli, entrambi colà residenti».
Tutti innocenti
Un carabiniere è in permesso; il maresciallo della Finanza in pensione «si è recato a Mantova per prelevare le nipoti», Daniela e Tiziana. Poi c’è un gruppo particolare. Un filo unisce alcune di queste vite interrotte. È uno dei tanti. Il più importante è che erano tutti innocenti.
Passeggera n. 7, Calderone Maria Vincenza, da Marineo (Pa), di anni 58, casalinga: «In viaggio dopo essersi sottoposta a visita medica di controllo presso l’ospedale di Bologna, conseguentemente ad un intervento chirurgico subito all’arto inferiore destro presso lo stesso ospedale».
Passeggero n. 55, Norrito Guglielmo, da Campobello di Mazara (Tp), di anni 37, impiegato: «Rientrava dopo aver fatto visita al fratello ricoverato in ospedale». Volpe Maria, di anni 48, da Collesano, (Pa), passeggera n. 78, pensionata: «Rientrava a Palermo dopo essersi sottoposta a visita medica specialistica a Bologna». Con lei viaggiano la figlia Carmela, di 17 anni, e il marito, Fullone Rosario, di 49.
E ancora: Pinocchio Antonella da Palermo, 23 anni, studentessa universitaria e suo fratello Giovanni, 13 anni: «Rientravano a Palermo dopo aver visitato a Bologna la propria madre ricoverata in un ospedale di quella città».
Speciale Maria Elena, da Partinico (Pa), di anni 55, casalinga: «Rientrava a Palermo da Parma dove si era recata per una visita medica oculistica». Poi Parrinello Carlo da Marsala (Tp), di anni 43, bracciante agricolo che «rientrava da Padova ove si era sottoposto a controlli sanitari specialistici» e Parrinello Francesca, sempre di Marsala, casalinga, 49 anni: «Rientrava da Padova ove si era sottoposta a visita medica».
Viaggiano insieme al passeggero n. 27, Fontana Vito, commerciante. Anche lui torna da Padova: «Controlli sanitari specialistici». Sono parenti. Sono andati insieme a fare questi controlli. Lontano da casa, insieme, è meglio.
Sono undici. Undici passeggeri su 77 viaggiavano per curarsi o per accompagnare qualcuno che si sta curando o per andare a fargli visita mentre è in un ospedale lontano da casa. Sono tanti.
«All’ospedale di Salerno non sapevano esattamente cosa avesse mio figlio e hanno detto che dovevano fare altri accertamenti, però lui aveva dolori forti che non riusciva a sopportare e non dormiva; non poteva stare neppure disteso sul letto. Perciò, per non perdere tempo, siamo venuti a Roma, al Bambin Gesù che ha una buona fama. A Salerno ci sarebbe voluto molto più tempo per avere una diagnosi; anche per fare la biopsia dovevamo aspettare quindici giorni mentre il bambino soffriva. Il giorno dopo essere arrivati nell’ospedale romano gli hanno messo il catetere venoso centrale e fatto la biopsia. Dopo cinque giorni c’era già il risultato e purtroppo abbiamo scoperto la malattia», racconta una mamma a Cristiano Caltabiano e Gianluca Budano, in un libro del 2021, Melteni editore, Viaggi con la speranza.
Emigrazione sanitaria
Spostarsi per curarsi. Lo fanno ogni anno quasi un milione di cittadini italiani, dati Censis del 2017. Si chiama emigrazione sanitaria. Una metà, più o meno, si muove per la ricerca della qualità nelle cure. Un altro 25/30 per cento fa piccole migrazioni, attraversa il confine della propria regione perché di là c’è un servizio migliore. È sempre faticoso muoversi per curarsi, ma per chi ci sta dentro, dice il Censis, queste sono “difficoltà gestibili”: «Area delle difficoltà gestibili».
Nella situazione più difficile, “Area della necessita?”, restano il 20/25 per cento dei pazienti. Sono quelli che si spostano di tanto e alla sofferenza, alla preoccupazione per il futuro si aggiunge la fatica del viaggiare. Per te e per chi ti deve accompagnare: «Area delle difficoltà sommate».
A volte, però, c’è come una accelerazione fulminea e le cose non si sommano più: si moltiplicano. Una patologia grave, di quelle che interrogano sulla vita e la morte moltiplicato per un trasferimento a 900 km da casa; moltiplicato per cure e lontananze che durano mesi; moltiplicato per quello che costa; moltiplicato per le difficoltà del coniuge o di un familiare che deve assentarsi dal lavoro; moltiplicato per la solitudine. Moltiplicato con il fatto che a volte uno non ce la fa più.
“Area delle difficoltà moltiplicate”: ci stanno dentro ogni anno centomila cittadini malati e 80mila parenti che li accompagnano. Censis: «180.000 persone che devono affrontare una prova durissima, forse la piu? dura della loro esistenza». Area della disperazione.
La misura di quelli che emigrano per curarsi si chiama “Indice di fuga”. Bergamo ha indice di fuga 1.4, Lecco e Como 1.5. Matera indice di fuga 22.5, Reggio Calabria 22.6, Isernia 22.7
Le regioni con alto indice di fuga sono Campania, Sicilia, Calabria, Sardegna e Puglia. Dal sud si va al centro e al nord. In Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Lazio. Uno su quattro va a Roma, a Milano, a Genova, a Padova, a Firenze, a Pisa e Siena. E a Bologna. A Bologna al Rizzoli e al Sant’Orsola-Malpighi.
Si parte dal sud diretti al centro-nord. L’IH870 Bologna-Palermo è un volo di ritorno. L’emigrazione sanitaria è un pezzo della questione meridionale. Una storia vecchia che continua. In mezzo alcune associazioni del privato sociale che mettono a disposizione case, alloggi, posti dove stare, reti di accoglienza per i migranti sanitari.
«Era la metà degli anni Ottanta e io ero una giovane mamma di quattro bambini. Ogni mattina li accompagnavo a scuola e vedevo delle persone che dormivano all'addiaccio, sulle panchine di piazzale Gorini, vicino all’Istituto dei tumori di Milano. Non erano clochard, lo capivo. Erano persone dignitose, che venivano da fuori Milano o accompagnavano i loro familiari nel duro percorso delle terapie oncologiche. La notte, per mancanza di mezzi, non avevano un alloggio. Li vedevo angosciati, disorientati», scrive Lucia Cagnacci Vedani, che di associazione ne ha fondata una a Milano, nel 1986.
Si chiama CasAmica e adesso con 90 volontari ha quattro case che accolgono cento persone. Altre le hanno pensate e poi messe su, piano piano, mattone dopo mattone, caparbiamente, quelli che ci sono passati: i parenti. Un dolore che diventa compito. Anche questo – parenti che si associano, ricerca di dignità e verità – è un legame con IH870.
Gratitudine aggiuntiva se fosse possibile segnalare che mercoledì 6 luglio alle 21.15 a Bologna, Parco della Zucca, ci sarà il reading di Laura Curino e Massimo Cirri, all’interno delle celebrazioni indette dall’Associazione Parenti delle vittime della Strage di Ustica per il 42o anniversario
© Riproduzione riservata