- Il testo che segue è un estratto del volume La bella stagione, edito da Mondadori, un libro di Gianluca Vialli, che ci ha lasciato il 6 gennaio 2023, e Roberto Mancini. I due raccontano una storia epica, la straordinaria vittoria dello scudetto della Sampdoria del 1991.
- In questo estratto Luca e “il Mancio” (ovvero Mancini) sono nella terrazza dello storico ristorante di Genova e parlano della finale di Champions League, che la Samp perse contro il Barcellona l’anno successivo.
- Una squadra di amici che ha consumato sangue e fatica per caricarsi sulle spalle, ognuno per quanto poteva, una missione: rendere possibile l’impossibile, vincendo lo scudetto e poi arrivando in finale nella Coppia dei campioni.
«Avevamo sempre vinto a Wembley, sempre» dice il Mancio (Roberto Mancini, ndr), appoggiandosi alla terrazza di Carmine. «E invece…».
«C’è sempre la prima volta. E poi non si perde mai. O si vince, o si impara, no?», gli risponde Luca (Gianluca Vialli, ndr).
Si leva il berretto, si appoggia di schiena e guarda il locale, dove stanno arrivando tutti gli altri. «Che ci vuoi fare? Sono passati trent’anni, e ancora non mi va giù.»
«Pensa alle cose belle», dice Luca, sorridendo. E poi aggiunge: «Ma li senti? Fanno ancora lo stesso casino di trent’anni fa. Peccato solo che…».
Il Mancio solleva il bicchiere. «Al presidente, al dottore e al mister».
Luca fa cin-cin con le nocche della mano, poi si gira verso il mare. O mä, come lo chiamano a Genova. Il mare e il male. «Siamo stati su questa terrazza così tante volte, tutti insieme. Prima e dopo la battaglia…».
«Sì, ma andare in battaglia con gli amici è stato divertente», dice Mancini. Indica la città illuminata nella notte. «Noi eravamo là, Pietro e Lombardo dall’altra parte, ti ricordi?».
«Casa di Ivano…».
«E di là Katanec con il mister, a Sori. Quante volte abbiamo mangiato qui coi ragazzi?».
«Mille? Eppure… sembra sempre come se fosse la prima volta…».
«Siamo stati anche fortunati».
Luca sorride: «Io non credo alla fortuna. Bisogna farsi trovare pronti, lavorare duro, con costanza e impegno. Non devi uscire la sera quando gli altri vanno in discoteca. Devi alzarti e allenarti. Anche quando non ne hai voglia». Beve un sorso di vino, poi riprende: «C’è gente che passa la vita a capire cosa vuol fare da grande e non ci riesce, e invece noi, a tre anni, dando il primo calcio al pallone, già lo sapevamo. Abbiamo fatto della nostra passione un lavoro…».
«E il talento, dove lo metti? Il calcio è un’arte…».
«Oh, certo, e tu lo sai bene. Però ci sono cose fondamentali che vanno fatte e per le quali non serve il talento: arrivare in orario, lavorare seriamente, farsi trovare pronto, dare sempre il massimo, essere positivo, metterci passione, fare una cosa in più di quelle che ti vengono richieste, lasciarsi allenare…».
«Luca…».
«Cosa?».
«Non sei a fare una consulenza da Ernst & Young…».
Luca ride: «Touché». E poi aggiunge: «Però ti dico una cosa. Quello che facciamo è tutto vero. Regaliamo ricordi, emozioni, belle e brutte, dipende, ma… tutto ciò che provano i nostri tifosi e quelli che ci guardano, è vero. Quello che suscitiamo negli altri lo proviamo anche noi per primi, in campo. Costruiamo emozioni che dobbiamo sentire. Che sono nostre, vere. Non è solo uno spettacolo».
«Questo è il bello e il brutto del nostro mestiere», dice allora il Mancio, dopo un po’. «E vale per tutti. Tu, io, gli altri…». Indica il locale illuminato per la loro cena. «Anche se a volte li avrei strozzati…».
«E loro te…».
«Il privilegio è essere stati scelti per far parte di questo
gruppo…».
Luca non dice niente. Ma lo pensa anche lui. E lo lascia continuare. «Abbiamo giocato a calcio, abbiamo vinto, siamo anche diventati ricchi e famosi in un posto che ci ha dato una cosa in più: amicizie che dureranno per sempre».
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