- Gli hanno tagliato l’acqua e gli vogliono negare la via d’accesso alla sua casa. Un giudice ha ordinato che dovranno garantirgli il libero passaggio. L’udienza decisiva il prossimo 18 gennaio.
- Da una parte la tutela del diritto di proprietà e dall’altra l’isolamento del reverendo che aveva marciato con le sue preghiere contro i 112 Cruise della Nato puntati contro quella che al tempo era l’Unione Sovietica.
- «Oggi la Sicilia è meglio di quarant’anni fa perché non ci sono più quei missili», dice il monaco che sopravvive con le offerte. La sindaca di Comiso: «Spero che tutto si risolva presto, intanto il Comune assicura l’acqua a Gyosho con le autobotti».
Com'è la Sicilia di oggi rispetto alla Sicilia di quarant'anni fa? «Meglio, perché adesso su quest'isola non ci sono più i missili», risponde il monaco che è venuto dall'altra parte del mondo. Non ci sono più i 112 Cruise, testate nucleari da crociera, chiamate così per renderle probabilmente più simpatiche nonostante la loro capacità esplosiva quindici volte superiore alla bomba sganciata su Hiroshima. Nascoste nell'estrema punta meridionale dell'isola, erano puntate su quella che al tempo era l'Unione Sovietica.
Non ci sono più i missili e, dopo questi lunghi quarant'anni, forse non ci sarà più nemmeno la strada che porta alla casa di Gyosho Moroshita, il buddista che arrivò alla base militare Nato di Comiso insieme a pacifisti norvegesi e tedeschi, inglesi e canadesi.
Centomila, un popolo chiamato a raccolta da un capopopolo, Pio La Torre, il segretario siciliano del partito comunista che qualche settimana dopo la grande adunata contro i Cruise venne ucciso - il 30 aprile del 1982 - in una strada di Palermo. C'è chi dice proprio per quei missili.
Tamburo e preghiere
Lui, il monaco, era lì con il suo tamburo a recitare preghiere e a girare intorno all'arsenale e ai bunker sotterranei. Ogni giorno, di mattina e di sera. E da lì non se n'è più andato. Bancario a Tokyo, settantasette anni alla vigilia del prossimo Natale, Gyosho ha aspettato che la Nato portasse via i Cruise e poi da quel «punto energico dove Europa e Africa s'incontrano» non è riuscito più a distaccarsi. C'è rimasto per sempre.
Con amici e volontari ha costruito un tempio alto sedici metri e con una circonferenza di quindici, la Pagoda della Pace. E accanto un piccolo rifugio, dove mangia e dorme. E' la sua vita dal 1982, fra i campi di contrada Canicarao.
Sveglia all'alba sotto l'ala protettiva del Buddha dorato, meditazione sino alle sette, i fedeli che uno dopo l'altro lo raggiungono nel pomeriggio sulla collina.
Fino a quando, l'estate scorsa, qualcuno ha minacciato di chiudere la strada che porta alla sua Pagoda. E poi gli hanno pure tagliato l'acqua, una ruspa che ha spezzato i tubi. Ed è proprio in quel momento che è iniziata la seconda storia italiana del monaco venuto dall'altra parte del mondo.
L’affitto simbolico per 99 anni
Da simbolo del movimento pacifista mondiale a intruso di una piccila comunità con la memoria corta.
Per raccontarla bisogna fare un passo indietro, tornare ancora ai primi Anni Ottanta quando il vecchio aeroporto militare di Comiso, intitolato durante il regime fascista al generale di brigata aerea Vincenzo Magliocco morto nel 1936 nella campagna d'Etiopia, viene scelto per ospitare i 112 Cruise.
La decisione e l'"autorizzazione” del governo italiano è nell'estate del 1981. Bastava un ordine secco e, in piena Guerra Fredda, in soli quattordici secondi uno di quei missili era in condizione di viaggiare verso Mosca. Manifestazioni, proteste di massa, la politica italiana che si divide con Gyosho Moroshita che è ormai una bandiera.
Così un siciliano di nome Salvatore Giannì cede in affitto per 99 anni una parte del suo terreno - all'incirca seimila metri quadri - al monaco con il tamburo dell'Ordine Nipponzan Myohoji. Le clausole del contratto: deve piantare almeno un albero l'anno e lo autorizza a tirare su un fabbricato «da destinare al culto della religione buddista».
Tutto resta immobile per quasi mezzo secolo. Nel frattempo il signor Giannì si separa con la prima moglie e sposa un'altra donna, Kadiu Valbona.
La battaglia legale
Dopo un po' comincia una battaglia legale. Accusano il monaco di avere violato quel contratto, di avere costruito un secondo edificio accanto al tempio, di avere realizzato una cisterna, di non avere provveduto al rimboschimento.
Si lamentano anche di un incendio divampato l'estate scorsa, fiamme che si sono mangiati diecimila alberi e il fuoco che ha lambito l'abitazione dei Giannì-Valbona.
I rapporti di un tempo fra vicini sono diventati più difficili, molto tesi, tanto da finire nelle aule di giustizia. «Nessuno vuole mandare via il monaco o lasciarlo isolato in cima alla collina, ma ci sono state inadempienze e vogliamo semplicemente tutelare il diritto di proprietà», dice Giovanna Latino che difende gli interessi di Salvatore Giannì e di sua moglie Kadiu.
Per risolvere la questione hanno proposto di cedere quasi un ettaro di terreno al reverendo per 12 mila euro, 1,50 euro al metro quadro.
Così da potere tracciare un sentiero, autonomo, che dalla strada conduca al tempio della pace di contrada Canicarao. Nell'esposto inviato in tribunale scrivono: «Ci si chiede perché si pretenda che un privato cittadino quale il Giannì sopporti sacrifici di natura economica per garantire l’esercizio del culto religioso al reverendo Morischita».
Il sopralluogo del giudice
Alla mediazione il monaco non si è presentato, è iniziato un processo. C'è stata una prima udienza l'8 ottobre scorso e una seconda udienza il 5 novembre.
Il giudice Giovanni Giampiccolo, insieme all'assistente giudiziaria Patrizia Basile, si è arrampicato sulla collina (con i difensori del reverendo e dei coniugi Giannì-Valbona, più i geometri delle due parti) per un sopralluogo.
Una perlustrazione per capire dove tracciare un nuovo sentiero, una via alternativa al tempio che non sconfini nell'altra proprietà. Il giudice Giampiccolo ha disposto comunque con ordinanza che «si dovrà garantire, anche attraverso la consegna di apposita chiave, l'accesso al reverendo, nel caso si ritenesse di dover chiudere con lucchetto il cancello». E ha anche consentito il passaggio per i fedeli fra le 16, 30 e le 18,30 di ogni giorno.
La prossima udienza al Tribunale di Ragusa è fissata per il 18 gennaio del 2023, allora conosceremo il destino di Gyosho Moroshita. «Nessuno vuole approfittare di nessuno ma questo problema lo dovrebbe risolvere non un privato ma qualcun altro», ripete l'avvocata Latino. Chi? Forse il comune di Comiso? Parla la sindaca Maria Rita Schembari: «E' una vicenda che mi rattrista, abbiamo in più occasioni tentato di far accordare le parti e spero ancora che la questione si risolva al più presto, intanto noi ogni volta che ce n'è bisogno mandiamo un'autobotte in contrada Canicarao per assicurare l'acqua al reverendo».
Quattro anni fa, il 13 dicembre del 2018, il comune di Comiso ha conferito la cittadinanza onoraria a Gyosho Moroshita.
«Il nostro desiderio è quello di farlo diventare cittadino italiano per garantirgli tutti i diritti che il reverendo merita ma la pratica è ferma per oggettivi problemi alla presidenza della Repubblica, il comune di Comiso farà di tutto per provare a risolvere questa situazione», dice la sindaca, un'insegnante di italiano e latino alla guida di una lista civica di centrodestra.
L'isolamento del monaco ha acceso polemiche. «In comune si devono sbrigare, i problemi di Gyosho Moroshita si stanno trascinando da troppo tempo, credo che abbiamo il potere di fare qualcosa e al più presto in suo favore», spiega Fabio Iemolo, un maestro di tennis che con qualche amico accudisce da tanti anni il reverendo. Cibo, medicine, offerte.
Come finirà la battaglia legale non lo sappiamo. E che dice lui, Gyosho? Quello che può dire un monaco buddista: «Tutto, come sempre, dipende dai sentimenti».
Dalla fine degli Anni Novanta la base Nato di Comiso è chiusa, adesso c'è l'aeroporto, l'ultima batteria dei missili da crociera li hanno smantellati nella primavera del 1991.
Il “grande orecchio” di Niscemi
Intorno si scorgono ancora bunker, camminamenti e tanta ruggine. Ci sono sempre anche i terreni acquistati dai mafiosi palermitani, quelli che avevano fiutato l'affare di un'altra base militare in Sicilia. E ora che non ci sono più i Cruise, Gyosho di tanto in tanto si spinge una quarantina di chilometri più a nord, inoltrandosi nella provincia di Caltanissetta, per raggiungere Niscemi, un paese che domina la piana di Gela..
Sotto, in mezzo a una campagna di ulivi e di viti e distese di carciofi, ci sono le gigantesche parabole e i radar del Muos (Mobile User Objective System), un grande orecchio, una stazione militare che assicura le comunicazione segrete in tutto il Mediterraneo delle forze aeree e terrestri della marina Usa. Nel 2022, come nel 1982, Gyosho Moroshita è sempre intorno a una base. Colpi di tamburo e preghiere.
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