Si attribuisce al feldmaresciallo del Terzo Reich Hermann Göring la seguente citazione: «È più facile tirare fuori un nazista da un artista che un artista da un nazista». Questo è vero anche per la satira
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Si attribuisce al feldmaresciallo del Terzo Reich Hermann Göring la seguente citazione: «È più facile tirare fuori un nazista da un artista che un artista da un nazista». Forse consapevole del livello intellettuale dei suoi, il futuro degustatore di cianuro sapeva che non solo non esiste nessuna garanzia che un artista (con o senza apostrofo) si riconosca necessariamente in quei valori di evoluzione e progresso che tendenzialmente vengono attribuiti alla sua categoria, ma che anzi è piuttosto facile il suo manifestare idee e principi conservatori più o meno estremi, non solo, come tutti, perché è invecchiato, ma anche semplicemente perché la pensa così. Se questo è valido per ogni forma d’arte, è ovviamente valido anche per la Satira.
Non ho nessuna intenzione di provare a definire cosa sia la Satira visto che se avessi un centesimo per ogni definizione di Satira che ho incontrato potrei tranquillamente smettere di fare l’autore satirico; tuttavia, immagino che su una cosa si possa facilmente concordare senza dover scomodare Aristofane: la Satira esprime un punto di vista dell’autore attraverso le tecniche del comico. Prendiamo per esempio la seguente barzelletta, vecchia e innocua come lo stesso Göring dopo Norimberga: su un aereo ci sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Se l’aereo cade chi si salva? L’Italia.
Ora, sperando che tra quando io ho scritto quest’articolo e quando voi lo state leggendo non sia davvero caduto un aereo con Giorgia e Matteo, è facile pensare che sia chi la dice che chi ne ride, oltre a essersi perso decenni di evoluzione dell’umorismo, abbia una visione del mondo diversa da quella dei suddetti due politici. Ma, proviamo a riscrivere la stessa barzelletta cambiando i protagonisti. Su un aereo ci sono Elly Schlein e Giuseppe Conte. Se l’aereo cade, chi si salva? L’Italia.
Chi la dice, ma, come vedremo tra un attimo, ancor più chi ne ride è probabile che non condivida granché della visione dei due nuovi protagonisti della barzelletta. Il motto di spirito è strutturalmente identico al precedente ma quello che cambia – e che dunque lo rende più o meno divertente per certo pubblico – è la rivelazione della verità personale che si nasconde dietro a esso.
Per scoprire meglio perché questo avviene, abbiamo bisogno di una risonanza magnetica funzionale. Non scherzo. Seguitemi e, se non vi esploderà il cervello, alla fine di questo viaggio nella testa umana sarete persone migliori. Se vi esploderà il cervello avrete comunque bisogno di una risonanza magnetica quindi è una situazione win-win.
La comicità è sorpresa
Se chiedete in giro come funziona la comicità probabilmente in molti convergeranno nel dire che la comicità è sorpresa. Vero, ma incompleto. Dalle moderne neuroscienze infatti sappiamo che non basta che una cosa ci sorprenda perché si possa trovarla divertente e riderne. Senza scendere troppo nei dettagli, è colpa del nostro lobo frontale ossia quella parte di cervello che è dietro la nostra fronte e che l’Adolf amicissimo del suddetto Göring, si spappolò con una pallottola.
Lì, tra le tante cose e sebbene nessuna parte del nostro cervello funzioni a compartimenti stagni, è nascosta la nostra identità, il nostro sistema di valori, la nostra morale.
Lo sappiamo anche perché chi ha subito danni in quella parte del cervello ha visto alterazioni nel suo sistema morale e se vi sta venendo voglia di suggerire una TAC a Giuseppe Cruciani, vi suggerirei di rispettare la privacy altrui.
Oltre a quello, il lobo frontale contiene anche la nostra capacità di fare “set-shifting” e “problem solving” due termini inglesi che qui uso solo per darmi un tono, ma che sono in realtà fondamentali per mettere vicini tra loro le due immagini distanti che una battuta ci fornisce, cercando poi di risolvere l’incongruità in essa contenuta.
Quando sentiamo «un uomo entra in un caffè, splash» il nostro lobo frontale, responsabile anche del pensiero astratto, vede prima un uomo che entra in un caffè, poi un qualcosa che cade in un liquido; le due immagini, difficilmente sovrapponibili, lo diventano nel momento in cui capiamo che l’equivoco si basa sull’utilizzo, piuttosto desueto a dire il vero, della parola caffè, come sinonimo di “bar”.
A quel punto l’enigma è risolto, il nostro cervello rilascia dopamina al fine di premiarci per la nostra intelligenza e noi ridiamo. Fa così perché si è evoluto in quel modo. Pensate all’uomo primitivo che sente un rumore da un cespuglio: può essere il vento, ma anche un anacronistico dinosauro.
Risolvere questo enigma può fare la differenza tra la vita e la morte ed è quindi evolutivamente sensato che il nostro cervello sia programmato per premiare chi riesce a ottenere la sopravvivenza in palio. Quando sentiamo una battuta dunque, il nostro lobo frontale si attiva per cercare di capire quale è il conflitto e di risolverlo. Cerchiamo cioè di “capire” la battuta.
“Capire” la battuta
Se l’enigma è risolto il cervello, viziato da migliaia di anni di evoluzione, si premia con il rilascio di dopamina. Non sempre però, perché tra la risoluzione dell’enigma e il rilascio di dopamina c’è l’attivazione di un’altra piccola schifezza grigia contenuta nella nostra testa che si chiama Amigdala. L’Amigdala è considerata un centro di gestione delle nostre emozioni, tra le quali anche la paura. Dunque, quando sentiamo una battuta e risolviamo l’enigma che c’è alla base, prima del rilascio di dopamina l’Amigdala verifica se è necessaria una sua attivazione, controllando, con la collaborazione di altre parti del cervello, se questa rivelazione non è pericolosa.
Se lo è, niente dopamina, mi dispiace, ma potete provare con il sesso o con l’eroina. La comicità dunque non è solo sorpresa, ma è sorpresa non pericolosa, per noi, per la nostra identità e per il nostro sistema di valori.
Questo porta con sé degli interessantissimi corollari. Uno: quando non si trova divertente una battuta, lo si fa perché o non la si è capita, o la si è capita troppo tardi oppure la si è capita nel tempo giusto, ma l’Amigdala si è attivata e la “paura” è scattata, inibendo il rilascio di dopamina. Una battuta che ha come bersaglio una minoranza, dunque, avrà più probabilità di venir trovata divertente da chi non fa parte di quella minoranza o da chi, pur facendo parte di quella minoranza, non sente minacciata la sua identità da quella gag.
Uno bis: è molto più probabile che una battuta su una minoranza, sia considerata inopportuna non da un membro di quella minoranza, che è possibile non veda la sua identità minacciata da quella battuta, ma da qualcuno che sta lottando per i diritti di quella minoranza e che vede più dei diretti interessati il suo sistema di valori minacciato da quella gag.
Due: poiché quando si invecchia la propria identità e il proprio sistema di valori diventano più difficili da cambiare, l’Amigdala tende ad attivarsi più spesso e noi siamo propensi a offenderci con maggiore frequenza. Non è una regola, lo dico soprattutto per quelli che hanno realizzato in questo momento che sono invecchiati, ma in generale è così.
Alla luce di tutto questo, quando ci imbattiamo in una battuta, una vignetta, una gag, inconsciamente nella nostra testa si attiva tutto un bailamme di neuroni e neurotrasmettitori che immediatamente ci consentono di sapere se possiamo “ridere o no” di quello che abbiamo visto o sentito. Di fatto, dunque, si può intendere la risata come rivelatoria del proprio sistema di valori etici e morali (in realtà non proprio la risata, che scatta non per il contenuto ma per il meccanismo comico, quanto il fatto di trovare o meno qualcosa divertente, anche se qui il discorso si fa ancora più tecnico e complesso).
Ecco dunque spiegato perché, di base, tendiamo a considerare di scarsa qualità l’umorismo che esprime un pensiero diverso dal nostro e più gradevole quello che conferma il nostro modo di intendere la realtà. Eppure, sempre di umorismo si tratta. Ma si tratta di Satira?
Colpire il potere
Prima di proseguire occorre fare un piccolo distinguo. Per quanto, come abbiamo detto, sia difficile dare una definizione di Satira, c’è chi dice che la Satira debba necessariamente colpire il potere, anziché la vittima di quel potere. È la famosa distinzione tra punching-up e punching-down che tanto piace a chi recentemente è uscito dall’Europa e ha cambiato sovrano. Se il bersaglio della tua Satira è chi ha più potere di te, stai facendo punching-up e sei un bravo figliuolo.
Altrimenti stai facendo punching-down e finirai all’inferno o, peggio ancora, a fare una serie pluripremiata in cui interpreti uno a cui è morta la moglie per darti una giustificazione morale. Anzi, si può sostenere, come fa Daniele Luttazzi, che chi fa punching-down non stia neanche facendo Satira, ma sfottò fascistoide. Anche condividendo questa visione, non possiamo non riconoscere un problema.
Se è chiaro che la presidente del Consiglio ha più potere di me e che quindi il “vettore di potere” che collega me a lei ha direzione “basso-alto”, non sempre l’individuazione di questo vettore risulta facile, ma soprattutto, è rivelatorio della propria visione del mondo. Nella vignetta di Alfio Krancic che ha come bersaglio gli attivisti di Ultima generazione, è possibile che l’autore veda in quell’insieme di persone, un gruppo di potere e quindi si senta moralmente autorizzato a fare Satira su chi, facendo disobbedienza civile (evidentemente in-civile per Krancic) cerca di sensibilizzare su un tema a loro molto a cuore.
Dunque il divertimento di chi trova spassosa questa vignetta, per i motivi fisiologici che abbiamo esposto sopra, rivela il sistema di valori che descrive il mondo di quella persona. Viceversa se la soluzione dell’enigma umoristico mina l’identità o la morale di una persona, l’Amigdala si attiverà, il rilascio di dopamina sarà inibito e dunque non si troverà nulla di divertente in una vignetta che pure, è innegabile, usa tecniche comiche per esprimere il punto di vista dell’autore.
Mario Improta, detto Marione, è un altro vignettista salito alla ribalta grazie alla rete, soprattutto grazie al Movimento 5 stelle dal quale col tempo si è poi in qualche modo allontanato (anche se lui dice che è il Movimento ad essersi allontanato da lui; al lettore si lascia l’esercizio di capire chi è Maometto e chi la Montagna). Spesso bersaglio delle sue vignette è l’Europa cattiva, ma anche gli scienziati, a rivelare un sistema di valori nel quale la scienza di oggi è un potere da combattere e contrastare attraverso le tecniche comiche della satira.
Di nuovo, la Satira e, per dirla come i giovani d’oggi, “i suoi effetti sulla gente” hanno un potere rivelatorio. Leggendola e vedendo se la troviamo divertente, scopriamo o confermiamo chi è e come la pensa l’autore e, in seconda battuta, chi siamo e come la pensiamo noi stessi. C’è poi da dire che a volte l’autore satirico (e noi di conseguenza) trova divertente qualcosa, senza sapere bene il perché, ma per quello vi rimando al dottor Sigmund Freud e a sedute da 70 euro più Iva all’ora.
Resta il fatto che Internet, che in latino significa “il media che non ha un editore”, ha dato ha tutti la possibilità di esprimere il proprio punto di vista. Così in poco tempo sono fioriti i vignettisti di destra come i due che abbiamo visto, ma non solo. C’è Pubble, per esempio, le cui vignette rivelano opinioni non eccessivamente rare, come quella secondo cui le sanzioni alla Russia non funzionino, gli ambientalisti siano da condannare, Paola Egonu sia soltanto un’avida arraffasoldi che fa la vittima.
C’è ovviamente anche Ghisberto, che disegna zecche rosse a rappresentare le persone di sinistra, attacca la comunità Lgbt e le femministe, utilizzando lo strumento della vignetta per raccontare il suo sistema di valori e, principalmente, denigrare quello, o quelli, contrari ai suoi. Immagino, senza sentirsi minimamente in colpa, visto che quelle che alcuni possono considerare minoranze senza privilegio e che subiscono il potere, per altri possono essere invece lobby col potere di intervenire, in maniera oppressiva, sulla vita altrui e quindi meritevoli di essere passate al ferro della Satira.
D’altra parte non è la prima volta che questo accade. Mi perdonerete la Reductio ad Hitlerum, ma, cresciuto con l’ormai quasi obsoleta idea che i nazisti siano stati un orribile potere da combattere mi è sempre venuto naturale pensare che durante il Terzo Reich l’umorismo e la satira fossero aspramente combattute in quanto voci critiche verso quel potere.
Questo è senz’altro vero, ma è meno noto che esistevano anche artisti che invece condividevano le idee del pittore austriaco e che dunque mettevano, più o meno volontariamente, la loro arte a servizio della propaganda tedesca. Ecco dunque spuntare, ad esempio, raffigurazioni umoristiche di ebrei grassi e col naso adunco che mettono le mani sulle cose tedesche, finché un valoroso soldato tedesco glielo impedisce a bastonate (Die Brennessell, 1934).
La satira, di nuovo, esprime il punto di vista dell’autore e se l’autore è nazista, lo sarà anche la sua Satira. Ecco perché affermazioni come quella recentemente dichiarate da un altro vignettista spesso ritenuto “vicino al centro destra” ossia Osho non hanno alcun senso.
Dire «voglio portare la par condicio nella Satira» è del tutto equivalente a dire «voglio portare la par condicio nel mio punto di vista» e dunque dire «per ogni cosa di sinistra che penso, ne devo trovare una di destra e viceversa».
Che a pensarci bene, è una discreta definizione alternativa di qualunquismo. D’altra parte se esiste la satira di destra e quella di sinistra, perché non può esistere anche quella qualunquista? L’importante è che non la si faccia in romanesco, altrimenti sì che si finisce censurati. Nonsepopiuddinienteahò.
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