Il governo di DF è convinto che il dolore è la missione della donna. Dinanzi al bollettino quotidiano dei femminicidi emesso dall’Istituto Superiore della Naturalità resta una soluzione: la legalizzazione. Secondo il Centro studi del governo nel 99,2 per cento dei casi l’omicidio è una legittima difesa di uomini che sono scavalcati, traditi, lasciati, oppressi, sviliti e malserviti. Giulio Cavalli firma con il romanzo “I mangiafemmine” (Fandango) la sua opera più radicale e provocatoria. Questo è un estratto dal suo libro
Nel primo Consiglio dei ministri che convocherò entro la fine della prossima settimana interverremo con un decreto», dice la presidente Marzia Rizzo testa sul microfono come un abbeverarsi, «legalizzando il femminicidio e chiudendo una volta per tutte questa piaga infestante che ha assalito il dibattito pubblico. Il popolo ha espresso la sua volontà, ci affida la responsabilità di occuparci di cose ben più serie per la prosperità dei cittadini di DF».
«Legalizzare il femminicidio?». Nella sede dei Democratici, uffici usurati e odore di mensa, la conferenza stampa della presidente Marzia Rizzo è seguita nel salone principale da una televisione larga e pesante ormai fuori produzione. «Legalizzare il femminicidio è impossibile, ha preso un abbaglio, avrà voluto dire normare e le è scappata la mano», dice un senatore che anche questa volta è riuscito a rientrare in Parlamento, per 110 fortuna, visti i debiti ancora da pagare.
Il segretario dei Democratici assiste alla trasmissione su una sedia di magazzino, i gomiti sulle ginocchia, una campagna elettorale appena persa che non ha lasciato segni. Alla brocca del caffè Mario Spini, un vecchio comunista che ancora legge libri, lamenta un «periodo nero, nerissimo, per cui non siamo pronti, per cui non siamo attrezzati», e gli altri che gli dicono di smetterla, di accontentarsi, che ha guadagnato un altro giro di giostra alla sua età e non ha ancora imparato a fare un caffè. In fondo alla stanza si consigliano di non evidenziare l’errore, non è questa l’opposizione che gli elettori si aspettano, non è una parola sbagliata a fare perdere il consenso a questi che sono una corazzata. Dall’osservatorio del sentimento sui social dicono che quella frase sostanzialmente è passata inosservata. «Alle femministe gliela farà pagare. Questo lo possiamo dare per certo.
Il suo elettorato glielo chiede ma soprattutto glielo chiede Corti che non sopporta l’idea di essere stato fatto fuori su un tema che per lui non dovrebbe nemmeno esistere», Filippo Sansa è il segretario particolare del segretario, quando dice qualcosa i parlamentari gli prestano attenzione perché conoscono i passaggi di idee all’interno del partito: Sansa propone, il segretario talvolta si limita a smussare ma l’azione finale ricalca la proposta. Il segretario ombra lo chiamano quelli della minoranza interna che vorrebbero scalzare il segretario da anni ma ogni volta ne escono sconfitti. «Ai cittadini di DF interessa l’economia. Vedo che continuate a non capirlo. Non interessano le battaglie ideologiche sui principi. Non interessa l’azione residuale di chi radicalizza lo scontro ma non propone soluzioni», dice Luigi Barattini, l’economista per tutti, professore universitario in una scuola senza iscritti ma membro nei direttivi di una dozzina di fondazioni. «Sì Luigi», gli risponde Sansa, «posso anche essere d’accordo con te ma Valerio Corti non ha perso la poltrona da presidente per una previsione errata sull’inflazione».
Sbuffa, Sansa. Lo scontro nel partito tra chi ritiene gli elettori selvatici sottosviluppati da non inseguire nei loro pruriti e chi, come lui, chiede di intercettare anche i desideri, oltre ai bisogni, è una litania quotidiana. Filippo Sansa non lo vuole nemmeno fare quel lavoro, non sopporta ricoprire quel ruolo. Filippo Sansa ha la natura del funzionario di partito, ama smistare le elaborazioni dei gruppi di lavoro, allertare gli esperti sui progetti di legge, coordinare i gruppi locali e nazionali, tirare le somme degli incassi nelle feste e negli eventi.
Pragmatico, dicono di lui. Il segretario del partito lo vuole con sé perché «il Sansa vede le cose come le vede la nostra gente, è la cinghia di distribuzione tra dirigenti e popolo». «Nei nostri circoli ci si chiede perché non siamo capaci di esprimere una donna come segretario», affonda Sansa. Qui il segretario solleva i gomiti e si pone eretto. «In che senso?», gli chiede, e Sansa spiega che tra gli iscritti al partito galleggia un’evidente delusione per l’intuizione di candidare a presidente di DF una donna, dice Sansa che gli iscritti gli chiedono perché «non siamo arrivati prima noi». «Le iscritte, immagino», interviene il deputato Torlisi.
«Gli iscritti, anche gli iscritti maschi», puntualizza Sansa. «Me li vedo i nostri iscritti Democratici che non dormono la notte perché non abbiamo una donna come segretaria, interessati più al sesso che alle qualità della guida della nostra comunità. A me pare che qui si stia perdendo la bussola. Se domani lanciamo una campagna in difesa degli uccelli dobbiamo proporre un’upupa come ministra all’Ambiente?», chiede Barattini mentre smammola sul telefonino sudato. «Io dico la mia», dice Sansa che ha voglia di troncare la discussione, in sottofondo s’ode Marzia Rizzo rispondere sulle iniziative per richiudere il buco dell’ozono.
«I nostri hanno bisogno di essere scaldati con battaglie identitarie. E infatti in questa campagna elettorale si sono mossi poco, svogliati e male», dice Sansa. Il segretario dei democratici ora è in piedi. «Andare alla guerra contro un governo che non si è ancora insediato accusando una donna di essere nemica delle donne sarebbe un gesto di poco rispetto istituzionale, basato su un pregiudizio. La Rizzo ha anche una figlia femmina. Faremo solo la figura dei fessi, ancora una volta». La discussione è chiusa, forse.
Guardando la conferenza stampa, Clementina si riempie di collera. «Legalizzare il femminicidio?», Clementina Merlin chiama immediatamente la redazione. «Questa è la notizia da mettere in prima», dice trafelata al suo caporedattore. «Non lo so, ora vediamo, non ne sta parlando nessuno, nemmeno i Democratici rispondono, rischiamo di montare un caso inesistente». «Inesistente? Ma cosa serve di più, che vengano a manganellarci in casa? Ma perché siete così cretini?». «Clementina, al solito esageri e io non ho tempo da perdere, devo chiudere il giornale». La stimano in redazione. Però «quando vuole sa essere davvero insolente», dicono. Lei ora vorrebbe poter parlare per l’ultima volta con suo padre, chiedergli un consiglio. «Legalizzare il femminicidio?».
Quando Marzia Rizzo pronuncia la frase, Beatrice Vagnati sta bruciando nel boschetto dietro alla stazione di Saranda. Aveva sedici anni fino a un minuto fa. Ora ha milioni di anni come la cenere che si appoggia. Era contenta di Mario, più grande, con la patente. A volte le faceva il piacere di accompagnare al supermercato anche le sue amiche, in classe con lei. Passavano a prenderle, come gli adulti, lei scendeva per alzare il sedile e spedirle dietro perché il sedile davanti, di fianco a Mario, quello delle mogli, era roba sua. L’ha conosciuto alla festa della scuola, lui era fidanzato con una all’ultimo anno. Ma era una puttana, diceva, perché lo tradiva in continuazione. A Beatrice ha fatto tenerezza, così ferito e bistrattato, nonostante il taglio sul sopracciglio destro.
Oggi uscivano per festeggiare un anno di fidanzamento, Mario si è arrabbiato per un messaggio nel telefono di Beatrice, un compagno di classe che la salutava con baci. «Che cazzo bacia? Che vuol dire Bea?», le ha chiesto. «Baci, si dice baci mica perché si bacia, si dice baci come si dice ciao», ma lui no, lui sapeva che semplicemente gli era scappato perché si baciano davvero. «Pensi che sia stupido? Pensi di prendermi per il culo?». A lei veniva da ridere ma non rideva per non farlo arrabbiare di più, lo baciava a baci piccoli sulla bocca come i pappagalli mangiano i biscotti, lui l’ha spinta sul sedile con una manata sulla faccia. «Ma sei scemo?».
«Chi cazzo è questo? Chi cazzo è?», diceva mentre le stringeva le mani sul collo, urlandole come poteva fargli questo, anche lei come tutte le altre, «Ma allora siete tutte puttane», e ripeteva rispondi!, le diceva rispondi!, ma lei non respirava più. Terrorizzato, non voleva. Non se n’è nemmeno accorto. La solleva, non ci riesce, la trascina in uno spiazzo, ha una tanica di benzina per il decespugliatore. Gli rimane l’odore dei capelli bruciati, sembra plastica.
Quando i giornalisti chiedono a Valerio Corti cosa ne pensi dell’ennesimo femminicidio lui risponde che, se è un femminicidio anche un litigio tra ragazzini, allora vale tutto. «Ancora con questa storia? Non preoccupatevi, ora la sistemiamo». Saluta. Ora che è al governo la scorta ha un’auto nuova, più veloce e più elegante.
Giulio Cavalli (Milano, 1977), scrittore e autore teatrale, dal 2007 vive sotto scorta per il suo impegno nella lotta contro le mafie.
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