Falso storico di Felice Farina, regista recentemente scomparso, non è in sala ed è “dimenticato” dai festival. L’Istituto Luce lo ha prodotto «e poi lo ha abbandonato», dice lo sceneggiatore. Un omaggio al clima politico?
«Una cosa è ritrovare dei film persi. Una cosa è ritrovare dei film che non hanno ancora avuto il tempo di perdersi». Luca D’Ascanio, sceneggiatore, sta parlando di Falso storico, film di Felice Farina a cui ha lavorato, prodotto da Istituto Luce Cinecittà.
La scena è questa: un lunedì pomeriggio di fine giugno, alle 14:20, nella rassegna bolognese del Cinema Ritrovato, la pellicola viene per la prima volta mostrata al pubblico. Nel panel dei presentatori, manca Farina: è morto nel settembre 2023, quando il film era ormai ultimato. D’Ascanio parla del lavoro di ricostruzione, ricorda Farina, e poi si chiede: «Perché questo film è fermo da un anno?».
Il sottinteso è forte: il film, in quattro episodi, prodotto da Istituto Luce con materiali d’archivio, è il racconto della corruzione sotto il regime fascista, partendo dalle carte segrete di Mussolini. Dal malaffare di Milano, al sicario di Matteotti: sono tutti lì dentro.
L’organizzazione del festival ci rimane male: la sede bolognese è prestigiosa, non sta certo nascondendo l’opera. Ma il punto che porta avanti D’Ascanio rimane lì, sospeso nell’aria: come è successo che un film di un regista apprezzato come Farina, celebre per la commedia Condominio e patria (presentato a Venezia nel 2014), e che ha fatto di tutto, dal cinema, al teatro, alla tv, si sia trovato in un limbo distributivo.
Quattro pezzi
Falso storico è un gioco di ricombinazione: i materiali dell’Istituto Luce sono stati presi e adattati alle quattro vicende, raccontate da un diverso narratore per ogni episodio. Francesco Pannofino, Valerio Mastandrea, Paola Cortellesi, Claudio Bisio.
Alcuni dei documenti sono realmente correlati con la storia raccontata, altri non hanno nulla a che vedere, ma grazie al montaggio (a opera di Fabrizio Campioni) ne diventano parte. Il processo di falsificazione per l’appunto è dichiarato dal titolo stesso, in uno scherzo metanarrativo che denuncia la stessa riscrittura della realtà da parte del regime.
Le storie, però, sono vere. Quella di Ugo Cavallero, generale prestato all’industria (Pirelli, Ansaldo), poi ritornato in servizio prima in Africa, e dopo a comando della campagna di Grecia: nel frattempo, accumulava terreni nel Monferrato, di cui era originario.
La sua morte, avvenuta dopo il suo rifiuto di dirigere le truppe italiane al fianco della Germania dopo l’armistizio, passò per suicidio.
Ci sono i fratelli Scalera, dagli appalti delle strade come la Tripoli-Bengasi in Libia alla casa di produzione Scalera, appoggiata da Mussolini per il rilancio di Cinecittà – un ulteriore gioco di specchi nel film di Farina – che, mentre lancia Roberto Rossellini e Michelangelo Antonioni, dal 1941 fa uscire a spron battente anche film propagandistici sulla guerra.
Amerigo Dumini, che dal Midwest arriva in Italia, entra nella Ceka fascista, partecipa all’omicidio di Giacomo Matteotti e dal carcere continua a ricattare Mussolini, che un po’ se lo tiene buono un po’ ogni volta cerca di incastrarlo e farlo sparire, ma Dumini è come Rasputin, che per la leggenda sopravvisse a parecchi tentativi di assassinio. L’ultimo episodio è dedicato allo scandalo Belloni che travolse i vertici fascisti milanesi e si concluse con l’espulsione dal partito del podestà Ernesto Belloni e di Mario Giampaoli.
Il tono della narrazione è ironico, «disinvolto» come dice D’Ascanio, ma «non tradiva un evocare dei fatti in modo sbagliato». Quello che stupisce lo sceneggiatore, nel momento in cui ragiona sul possibile oscuramento del film, è che «le cose che racconta non sono scoop, ci sono stati scritti dei volumi sopra», spiega D’Ascanio, «c’è stato uno storico che ha lavorato come consulente, è andato con Felice all’Archivio di stato e ha verificato dalla M di Mussolini alla G di Giampaoli».
Giri di nomine
Niente di particolarmente scomodo, quindi. Come spiega D’Ascanio, la prima idea era quella di una collana di episodi, poi è diventato un film unico. «Era pronto a dicembre del 2023, poi il Luce l’ha un po’ repentinamente accantonato. Ho chiesto spiegazioni, e nessuno mi ha risposto».
Dalle primissime idee sul progetto, intorno al 2020, a Cinecittà è cambiata la dirigenza: dal 2021 è presidente di Istituto Luce Cinecittà Chiara Sbarigia (anche a capo dell’Associazione produttori audiovisivi). Già su questo giornale si è parlato della sua vicinanza a personaggi del centrodestra (e si è ricordato il legame anche personale con l’attuale sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni, che ha officiato il suo matrimonio nel 2022).
Per D’Ascanio, «la sensazione, anche attraverso il cambio di presidenza è che, effettivamente, al di là di un giudizio sul film, sulla sua riuscita, da un punto di vista di impostazione tematica non fosse gradito».
Adesso Cinecittà si ritrova proprio in un periodo di rinnovo dei vertici: l’ad Nicola Maccanico si è dimesso alcune settimane fa. L’Istituto Luce, contattato da Domani, ha fatto sapere di stare attendendo la formazione del cda prima di fissare la data di uscita del film, e di non star compiendo particolari programmazioni proprio in attesa di questi cambi strutturali. Ha in seguito detto che, indicativamente, dovrebbe uscire verso l’autunno/inverno.
C’è ancora l’autunno
Dal momento in cui il film è stato ultimato fino alle dimissioni di Maccanico, le occasioni di uscita ci sarebbero state. Il centenario dell’omicidio Matteotti, per dirne una.
«A voler essere cinici fino in fondo», osserva poi D’Ascanio, «non è mai successo che il film postumo di un noto regista patisse di essere postumo. Piuttosto succede che, morbosamente, acquisisce quell’interesse dell’ “andare a vedere l’ultimo film di”». Senza contare la partecipazione di Cortellesi e Mastandrea, che erano da poco arrivati in sala con C’è ancora domani, il film più visto del 2023: «Da un punto di vista di politica distributiva, mi chiedo perché non giocarsi un successo del genere», continua D’ascanio.
«Non abbiamo proprio pensato di cavalcare la cosa» è il commento del Luce. «Avevamo un film di cui era scomparso il regista, che ne era un portavoce essenziale, specie quando si tratta di un documentario del genere». Nel Cinema Ritrovato, spiegano, hanno trovato un modo per ricordare un regista «molto bravo, che era anche un amico» tenendo conto della natura del film, che è realizzato con materiale d’archivio. Quanto all’iter abbastanza tipico di un film di un autore del genere - cioè il passaggio da festival come Venezia, Roma o Torino - il Luce ha riconosciuto che c’erano stati dei tentativi di «avvicinamento», ma «qui interviene la discrezione dei selezionatori, non ci sono questioni poco chiare dietro. Adesso vogliamo concentrarci sulla parte positiva, omaggiare l’autorialità di Felice Farina».
Le quattro storie raccontate in Falso Storico sono nerissime: in un periodo in cui il servizio pubblico italiano non mostra le immagini della sconfitta in Francia di Le Pen, lo sguardo scanzonato ma drittissimo di Farina arriva in ogni caso puntuale – e profetico – anche a un anno di distanza dalla morte del regista. Non ci resta che aspettare l’autunno, o l’inverno.
DIRITTO DI REPLICA
In merito all’articolo di Anna Maniscalco sul film ‘Falso storico ‘ si precisa che
la Presidente Chiara Sbarigia non ha delega sulla Distribuzione di Cinecittà, che - fino a due settimane fa, fino alle sue dimissioni - era nelle deleghe dell'Amministratore Delegato Nicola Maccanico e che il Direttore competente sulla Distribuzione, Enrico Bufalini, rispondeva direttamente a lui.
La Direzione Comunicazione di Cinecittà
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