I fedeli in Italia calano a un ritmo ben superiore rispetto a quello a cui decresce il clero: la professione clericale resiste discretamente alla secolarizzazione. Il problema è semmai è la qualità e l’adeguatezza dei sacerdoti
È un’opera seria e scrupolosa quella del sociologo Luca Diotallevi La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019 (Rubbettino, 2024). Leggendola, gli studiosi di cose cattoliche e i fedeli troveranno una conferma di molti dei loro sospetti.
La partecipazione alla messa domenicale (analizzata attraverso le rilevazioni dell’Istat) è, nel nostro Paese, in calo vertiginoso. Nel 1993 il 37 per cento dei nostri connazionali dichiarava di onorare con regolarità settimanale il precetto cattolico, nel 2019 la percentuale si è ridotta al 23 per cento. Un declino nettissimo che sarebbe ancora più grande se fossimo in grado di calcolare le presenze “reali” in chiesa (un buon numero di quelli che affermano di andarci in realtà non ci mettono piede).
Si tratta di una contrazione destinata ad ampliarsi se si osservano con attenzione, come fa Diotallevi, le tendenze contenute nei dati, soprattutto in relazione al genere e all’età. Sul primo versante il libro conferma il crescente distacco delle donne dalla partecipazione ai riti cattolici. Le donne che vanno a messa continuano a rimanere di più degli uomini, ma con un divario che si assottiglia con impressionante velocità anno dopo anno, mentre anche il numero di consacrate italiane (suore e monache) scende vertiginosamente.
Sul secondo versante, Diotallevi osserva che siamo probabilmente di fronte all’ultima generazione di settantenni che tornano in chiesa dopo averla abbandonata qualche decennio prima. In futuro il comportamento religioso delle diverse generazioni tenderà ad assomigliarsi.
Le considerazioni che l’emergere di questo scenario suggerisce sono tante. Mi limito a presentarne due (che anche Diotallevi sfiora nel testo).
Il caso italiano
La prima riguarda la rappresentazione del “caso italiano” come un’eccezione rispetto alle tendenze secolarizzanti del resto del continente. La popolazione del nostro paese, dicevano qualche anno fa il cardinal Ruini e i suoi accoliti (compreso qualche studioso), dimostra un legame indissolubile con il cattolicesimo e resiste alla secolarizzazione che dilaga ovunque. Questa rappresentazione è oggi smentita dai fatti.
Non c’è nessuna eccezione italiana e non c’è nessuna “rimonta della religione”. Anche il papato di Francesco, per tanti versi un successo clamoroso, non ha riportato in chiesa nemmeno un fedele né ha scoraggiato quelli che hanno deciso di lasciare il cattolicesimo. Verrebbe da dire che la fede è una cosa seria e non si recupera per amore di un leader.
La seconda considerazione riguarda il continuo piagnisteo dei vertici ecclesiali cattolici sulla mancanza di nuovi preti. Anche questa è una bufala. Come mostra Diotallevi, i fedeli in Italia calano a un ritmo ben superiore rispetto a quello a cui decresce il clero. Per questo motivo ciascun pastore cattolico di oggi ha un gregge molto più esiguo di quello di un tempo. Il principale sacrificio che costui è chiamato a patire è semmai quello di dover gestire un numero di parrocchie rimasto ancora troppo elevato in rapporto al numero reale dei fedeli.
Dunque, la crisi del clero è una fake news. Al contrario, la professione clericale, con tutti i suoi vantaggi e soprattutto in alcune aree del paese, resiste discretamente alla secolarizzazione. Il problema è semmai quello della qualità del clero, della preparazione dei presbiteri, della loro adeguatezza a guidare le comunità dei credenti. È qui che la chiesa perde colpi ed è qui che si genera uno scompenso che si riflette anche sulla partecipazione ai riti.
Questione femminile
Ho intervistato di recente, per motivi di ricerca, molte donne cattolicissime, ma davvero cattoliche (comprese alcune suore), con lunga militanza e spesso con tanto di incarichi diocesani, che a messa la domenica non ci vanno quasi più in ragione della povertà e dello squallore delle omelie.
Quel che è successo è che le donne hanno fatto passi da gigante sulla via dell’emancipazione. Le ragazze vanno in massa all’università e le donne più grandi sono diventate consapevoli dei loro diritti e in generale più colte. Le prediche dei parroci appaiono loro sempre più distanti dai loro problemi. Per cambiare questa situazione, la chiesa dovrebbe dare ad alcune di costoro la possibilità di prendere parola e di celebrare le funzioni. Forse non si invertirebbe la marcia della secolarizzazione ma si farebbe la storia e si darebbe certamente nuova linfa all’antico rito dell’eucaristia sottraendolo a un’egemonia tutta maschile.
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