Il lavoro di David Salomoni (Francis Drake. Il corsaro che sfidò un impero, Laterza) non è una biografia ma ha una dimensione corale. Racconta il rapporto con Nuno da Silva, rapito a Capo Verde per sfruttare le sue conoscenza nautiche, la relazione con gli indigeni a base di violenza e musica, il legame stretto tra la cartografia e la religione. Un libro di storia che si legge come un romanzo
Come si insegna fin dalla scuola primaria, il titolo è un estremo riassunto. Quello scelto per Francis Drake. Il corsaro che sfidò un impero, scritto da David Salomoni e pubblicato da Laterza (2023), è talmente sintetico da rischiare di ridurre fin troppo la virtuosa complessità di un libro di storia ricco di pregi. Ne abbiamo parlato con l’autore.
La vicenda è di per sé stimolante e avventurosa. Il corsaro Francis Drake salpò da Plymouth, in Inghilterra, per trovare l’allora mitico Passaggio a Nord Ovest (all’epoca lo si definiva Stretto di Anián), non senza muovere guerra alle navi spagnole che incrociavano sugli oceani Atlantico e Pacifico. A differenza del pirata, che abbordava e saccheggiava qualunque vascello fuori da ogni regola e per il proprio esclusivo tornaconto, il corsaro era autorizzato dal proprio governo a catturare navi di imperi o stati nemici. Lo faceva in virtù della patente di corsa, che Francis Drake ottenne dalla regina d’Inghilterra.
Drake effettivamente assalì e depredò molte navi spagnole, ma non riuscì a scoprire il Passaggio, sbagliando i calcoli di mezzo grado «che è molto, ma è anche poco», ci dice Salomoni, a causa della mancata conoscenza delle correnti oceaniche. Sfidando complicazioni previste e impreviste, il corsaro fece ritorno sulle coste patrie con un equipaggio di cinquantanove sopravvissuti, dopo quasi tre anni di navigazione (dicembre 1577-settembre 1580).
Il prigioniero
«Il mio libro non è una biografia – specifica Salomoni – ho voluto scrivere di esperienze corali, collettive». Questa dimensione si coglie fin dalle prime pagine, nell’evidenza che gli attori protagonisti del libro sono due: Francis Drake, sì, ma anche il pilota portoghese Nuno da Silva, rapito a Capo Verde e preso a bordo per sfruttare le sue conoscenze nautiche, indispensabili per attraversare lo stretto di Magellano.
«Per le navigazioni cinquecentesche il bagaglio di competenze del pilota era fondamentale – spiega l’autore – carte e libri erano il bottino più importante, tanto che Drake li prendeva dalle navi conquistate prima ancora dell’oro e dell’argento». Viaggi lunghi tre anni erano delle vere e proprie «imprese tecnologiche e scientifiche, non solo delle avventure. Tutto era studiato nei minimi dettagli: provviste, scali e conseguenti rifornimenti, strumentazione di bordo necessaria a interpretare fasi lunari ed eclissi, a calcolare la longitudine e la variazione dell’orario».
Chi ha visitato una riproduzione delle navi protagoniste delle prime circumnavigazioni del globo è di certo rimasto impressionato dalle dimensioni davvero minuscole, «al limite dell’immaginabile, uno spazio di un metro quadrato per persona». Erano scafi angusti, nei quali convivevano uomini di provenienza geografica ed estrazione sociale molto diversa, «dall’aristocratico di alto lignaggio all’avanzo di galera».
Violenza e musica
La coralità del libro viene ben rappresentata in episodi davvero singolari: dopo aver attraversato lo stretto di Magellano, la nave capitanata da Drake e pilotata da Da Silva entrò in contatto con gli indigeni abitanti della Patagonia, la comunicazione sembrava impossibile a causa della distanza linguistica. Ma una soluzione era alle porte: i nativi si espressero attraverso la propria musica fatta soprattutto di percussioni, alle quali si aggiunse la piccola orchestra che il corsaro inglese aveva voluto fosse imbarcata con il suo equipaggio.
«È un esempio dell’universalità del linguaggio della musica, mentre in altri casi l’altro linguaggio universale – quello della violenza – indusse gli inglesi ad attaccare, saccheggiare e rapire». Uno di questi saccheggi mise a ferro e fuoco la città portuale messicana di Huatulco, sul Pacifico, dove Nuno da Silva fu rilasciato, dopo aver portato a termine il suo compito di passare da un oceano all’altro. La liberazione del pilota portoghese diede il via a una lunga catena di eventi e conseguenze, l’ultima delle quali (almeno fino a ora) è proprio la stesura di questo libro.
David Salomoni, infatti, mentre lavorava nella biblioteca di Ajuda a Lisbona assieme al proprio gruppo di ricerca, ha avuto modo di ritrovare un documento inedito che riportava una dichiarazione resa da Nuno da Silva al Consiglio delle Indie nel 1583, a Madrid. «Passare dal documento al libro è stato un processo spontaneo», ci ha confidato l’autore. La dichiarazione riguardava proprio il tempo trascorso dal portoghese a bordo della nave di Drake e faceva parte della raccolta documentaria relativa ai processi per eresia mossi contro Da Silva.
Cartografia e religione
Perché mai un poveraccio rapito, costretto a mettere le proprie competenze al servizio di un corsaro al solo scopo di salvare la pelle, avrebbe dovuto venire processato (e persino condannato, sia pure a una pena lieve)? La risposta chiama in causa i sospetti dell’Inquisizione cattolica che nel terrore tutto cinquecentesco della diffusione del protestantesimo vedeva in ogni angolo il pericolo dell’eresia. Come non lasciarci convincere dal timore di una conversione, se Nuno da Silva – come disse qualche altro navigante, spagnoli catturati e rilasciati come lui dai corsari inglesi – aveva imparato la lingua del nemico, discorreva amichevolmente con il capitano Drake, ne condivideva la tavola, addirittura lo accarezzava in una frequente manifestazione di “amicizia totale”?
La religione pervadeva le coscienze dell’epoca, «quella dei comandanti come quella dell’ultimo mozzo reclutato dalla galere». Le guerre erano spesso guerre di religione e tale fu senza dubbio anche quella tra Inghilterra e Spagna, posta alla base del rilascio della patente di corsa a Drake. Salomoni racconta come ci fosse «una dimensione religiosa anche nella cartografia, gli atlanti erano visti come manifesti teologici: il mondo dall’alto lo vedeva solo Dio, disegnare una mappa significava anche assumere la prospettiva di Dio».
Il rapporto molto ambiguo tra carceriere e carcerato è uno degli aspetti più interessanti del libro. Scontiamo, nel tentativo di ricostruirlo, il limite delle fonti disponibili e seguiamo l’autore nel suo chiaro percorso tra evidenze documentali e indizi plausibili: fu, quello di Da Silva, davvero un rapimento? Inghilterra e Portogallo avevano interessi comuni, condividevano l’avversione per il nemico spagnolo, perché non cercare allora di rintracciare nelle pieghe della storia eventuali segnali di accordi destinati a rimanere segreti, pure a secoli di distanza?
È questa una delle strade intraprese da Salomoni, alla luce di strani incontri tra corsari e ambigui emissari portoghesi, di incertezze cronologiche e vuoti di informazioni, di percorsi biografici che si interrompono. Fermiamoci qui, però, perché dire troppo potrebbe soddisfare fin troppo la curiosità di potenziali lettrici e lettori. È a loro beneficio che, con l’aiuto dell’autore, abbiamo cercato di mettere in evidenza la ricchezza di un libro che sì, si può dire sembri un romanzo, ma è un libro di storia da leggere piacevolmente tanto quanto un buon romanzo.
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