Mentre in Francia il diritto all’aborto entrava nella costituzione, i mastri gelatai di Genova erano al lavoro su tre nuovi gusti per celebrare l’unicità delle donne, evidentemente così uniche da poter essere catalogate in tre varianti di dessert. Devono essere davvero buonissimi, ma fanno dimenticare che dall’inizio del 2024 in Italia possiamo già contare diciotto femminicidi?
«Le donne sono fatte per essere amate, non comprese» leggo su un cencio ricamato a punto croce esposto nella vetrina di un negozio di articoli per la casa. Il cencio fa ovviamente parte degli addobbi per le celebrazioni dell’8 marzo, e come molti epifenomeni di questa giornata fa nascere in me l’improvvisa urgenza di trovare un mattone da tirare contro la suddetta vetrina.
Che poi quel negozio non ha colpe, si limita ad adeguarsi alla retorica stucchevole, imbarazzante, e a questo punto ipocrita e nociva di quella che è diventata la “festa delle donne” (invece che la giornata internazionale per i diritti delle donne, come andrebbe opportunamente chiamata), una specie di ora d’aria che ci viene concessa ogni anno, in cui invece della parità salariale e di un welfare che non ci costringa a scegliere tra la maternità e la carriera – o tra la maternità e l’onta di non aver procreato – ci accontentiamo di ricevere fiori che sanno di urina.
Un giorno di gadget e pensierini
Un profluvio di scarpe col tacco e poesiole attribuite a Emily Dickinson affolla i social, non mancano neanche le offerte speciali dei brand che sfruttano l’8 marzo per vendere due pezze in più grazie a codici sconto promossi per l’occasione. In effetti in assenza di stipendi adeguati è importante per noi spendere meno, grazie mille del pensiero, cara azienda di pneumatici.
Mentre in Francia questa settimana il diritto all’aborto entrava nella costituzione, i mastri gelatai di Genova erano al lavoro su tre nuovi gusti per celebrare l’unicità delle donne, che evidentemente sono così uniche da poter essere catalogate in giusto tre varianti di dessert. Devono essere davvero buonissimi questi nuovi gelati, ma sono abbastanza buoni da farci dimenticare che dall’inizio del 2024 in Italia possiamo già contare diciotto femminicidi? Sono abbastanza buoni per farci dimenticare che viviamo in un paese in cui tra le persone che si dimettono dal lavoro dopo aver avuto un figlio le donne rappresentano più del 70%? E che il governo è presieduto da una presidente donna che sembra attivamente impegnata a svalutare il lavoro femminile e la parità di genere?
Temo che, a meno che uno di questi gusti non sia il Rohypnol, non sarà facile distrarci da questi fatti.
Un’iniziativa come questa – che vorrei fosse isolata ma è invece simile a molte altre – mette in evidenza quanto poco ancora si capisca delle questioni di genere, quanta poca consapevolezza si abbia delle reali necessità delle donne di oggi, e quanto abbia senso parlarne in termini seri. Pesanti, direbbe qualcuno, ma se ci alleggeriamo ancora un po’ rischiamo di prendere il volo al primo colpo di vento.
L’impressione, di fronte alle scelte di comunicazione che ci fanno roteare gli occhi ogni anno nel giorno delle mimose, è che se il mondo ci amasse un po’ di meno e ci comprendesse un po’ di più, con buona pace degli strofinacci ricamati, non ci sarebbero più gelati o pizze farcite per noi, ma concreti tentativi di risoluzione dedicati ai nostri numerosi problemi. Che vanno sì diminuendo – le nostre nonne erano in larga parte macchine da figli nullatenenti che non potevano divorziare, lo sappiamo benissimo, e le loro nonne prima di loro non potevano neanche contare sulla lavatrice – ma non per questo sono senza valore.
Il senso reale
Va detto che negli ultimi tempi, gelati a parte, l’8 marzo sembra aver recuperato il suo significato politico e sociale, mentre l’afflato celebrativo appartiene più ai post di Instagram che alla vita reale delle persone. A maggior ragione quest’anno, dopo che la morte di Giulia Cecchettin lo scorso novembre ha riempito le piazze, risvegliando la rabbia anche nelle più addormentate di noi (mi sono già autodenunciata più volte su queste pagine).
Perché la giornata mondiale per i diritti delle donne non diventi solo una delle 365 che compongono il fittissimo calendario delle giornate mondiali di qualsiasi cosa (della pasta alla carbonara, della fauna selvatica, persino del passero, giuro) a quanto pare c’è ancora bisogno di mantenere alta l’attenzione sui temi importanti. E mi rendo conto che non è facile in anni in cui la nostra soglia dell’attenzione va invece abbassandosi alla velocità della luce: a volte un post di Instagram su quanto speciali sono le donne, creature dolcemente complicate da amare e non comprendere, è tutto quello che riusciamo a carpire dal flusso abbondante di questo ciclo senza fine.
Immagino però che nel frattempo neanche Fiorella Mannoia sia più d’accordo con se stessa: vorrei che fosse chiaro che non siamo dolcemente complicate, siamo perfettamente comprensibili, che più chiare di così si muore. E infatti si muore ancora, se si è troppo assertive o non abbastanza, se si vuole stare da sole o lavorare o uscire la sera o vattelapesca.
Non siamo complicate, non siamo migliori, non siamo regine, raggi di sole, fonti di vita, non siamo panda in via d’estinzione. Mangiamo e caghiamo come tutti, siamo incapaci e meschine e vorremmo avere il diritto di fare schifo. Dopotutto uomini schifosi, incapaci e meschini non hanno mai avuto difficoltà a guidare eserciti, invadere paesi, dominare il mondo nei secoli dei secoli, perché noi dovremmo sforzarci di essere eccezionali? Certo, sarebbe un peccato perdere certi primati: le donne non hanno mai sterminato un popolo, o creato armi di distruzione di massa, ma chissà che prima o poi non ci venga gentilmente concessa anche questa possibilità.
Mentre l’8 marzo scrollavo Instagram con la bava alla bocca, ho ritrovato la frase del cencio al punto croce abbinata all’immagine di una scarpa rossa e un rossetto. La citazione stavolta portava la firma di Oscar Wilde, padre putativo e non consenziente di qualsiasi citazione idiota orfana che sia mai esistita. Cerco di immaginare in che contesto possa aver pronunciato questa frase Wilde, che è stato molte cose ma di sicuro non un povero coglione, e mentre cerco su internet evidenze di questo aforisma nella sua produzione letteraria mi imbatto in una poesia di Francesco Sole che ne riprende il concetto, con parole leggermente diverse ma ugualmente deliranti, in un book trailer che mi turba nel profondo. Il cortocircuito tra i due mi mette in difficoltà e mi fa venire mal di testa, ho molte domande e nessuna risposta, cerco i nessi e non li trovo. Sarà che gli uomini vanno solo amati e non compresi?
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