- All’idea della Confederazione e cioè di un’Unione confederale allargata ai paesi candidati e/o candidabili che ci è stata ricordata in questi giorni prima da Enrico Letta e poi da Piero Fassino bisogna accompagnare subito una iniziativa che metta al centro l’obiettivo del superamento dei nazionalismi/sovranismi.
- Rispetto al modesto “trattato-costituzionale”, ben lontano dal progetto Altiero Spinelli del 1984, il Trattato di Lisbona ha fatto compiere all’Unione europea addirittura alcuni significativi passi indietro.
- Per evitare l’effetto della diluizione e in definitiva dell’impotenza dell’Unione europea di fronte alle sfide del ventunesimo secolo, il Movimento europeo ritiene che la definizione di un sistema costituzionale europeo debba essere affidata al parlamento europeo.
Il Trattato di Lisbona è stato firmato oltre quattordici anni fa dopo il fallimento di quello che fu chiamato impropriamente “trattato costituzionale”, respinto da francesi e olandesi, ma definito più correttamente da Giuliano Amato un “ermafrodito” a metà strada fra un sistema confederale, in cui prevale il principio secondo cui gli Stati e cioè i governi sono i padroni dei trattati e dell’attribuzione all’Unione europea dagli Stati di limitate competenze, e il metodo comunitario che ha permesso la realizzazione del mercato e di alcune politiche dell’economia reale dai trattati di Roma in poi.
I passi indietro
Rispetto al modesto “trattato-costituzionale”, ben lontano dal progetto Altiero Spinelli del 1984, il Trattato di Lisbona ha fatto compiere all’Unione europea addirittura alcuni significativi passi indietro rafforzando il ruolo dei capi di stato o di governo nel Consiglio europeo, lasciando la politica estera e di sicurezza nell’area dei poteri degli Stati-nazione e confermando il voto all’unanimità e cioè il diritto di veto nelle materie che avrebbero richiesto un ruolo più forte della dimensione sovranazionale come la politica fiscale o la difesa o il rispetto dello stato di diritto.
Negli oltre quattordici anni dalla firma del trattato di Lisbona l’Europa e il pianeta sono stati scossi da una serie di terremoti che hanno messo in discussione la capacità di reazione del sistema europeo e l’organizzazione multilaterale del sistema internazionale: crisi economica, terrorismo internazionale, primavere arabe e successivi inverni di nuove autocrazie, disastri ambientali, flussi migratori incontrollati, trumpismo diffuso, pandemia e infine aggressione della Russia all’Ucraina.
L’allargamento
L’allargamento dell’Unione europea ai paesi dell’Europa centrale e orientale a partire dal 2005 e cioè sedici anni dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica è stato effettuato dai governi europei ignorando l’allarme lanciato da Jacques Delors sui rischi di diluire l’integrazione europea nata per superare le sovranità nazionali e la proposta avanzata da François Mitterrand a Praga nel 1989 di un’Europa a due cerchi con un’ampia confederazione come spazio economico ed una federazione “fra quelli che lo vorranno” come spazio politico.
L’Unione europea e gli Stati membri non hanno colto le occasioni offerte dai negoziati per i trattati di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza insieme a quella della Convenzione chiamata a scrivere una “costituzione per l’Europa” per affiancare o meglio far precedere l’allargamento dall’approfondimento spiegando a chi bussava alle porte della casa europea che l’obiettivo principale dell’integrazione era che la garanzia della prosperità e della sicurezza di tutti poteva essere raggiunta solo nel quadro di una sovranità condivisa e non dal confronto fra ventotto ed ora ventisette sovranità nazionali.
Con la sola eccezione della lotta alla pandemia dopo una fase di disarmanti incertezze, l’Unione europea ha reagito a tutte le altre sfide del ventunesimo secolo in ordine sparso e l’aumento dei problemi è andato di pari passo con l’aumento della difesa di apparenti interessi nazionali.
La prospettiva dell’ulteriore allargamento dell’attuale Unione europea da ventisette fino a trentasei paesi membri con la futura adesione di Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo ed ora Ucraina, Georgia e Moldavia lasciando per ora in sospeso la candidatura della Turchia riapre la questione dei rischi di diluizione del processo di integrazione politica sollevato da Jacques Delors e rilancia il tema dell’Europa a due velocità o dell’integrazione differenziata di cui parlò François Mitterrand a Praga.
La Confederazione
All’idea della Confederazione e cioè di un’Unione confederale allargata ai paesi candidati e/o candidabili che ci è stata ricordata in questi giorni prima da Enrico Letta e poi da Piero Fassino bisogna accompagnare subito una forte iniziativa che metta al centro l’obiettivo del superamento dei nazionalismi/sovranismi per creare un sistema costituzionale fondato sui principi della democrazia, dello stato di diritto e dell’autonomia strategica all’interno di uno spazio politicamente integrato.
Per raggiungere quest’obiettivo la strada di un nuovo negoziato intergovernativo è impervia e rischia solo di esaltare la contrapposizione fra apparenti interessi nazionali con un compromesso finale su un inefficace minimo comun denominatore.
La proposta
Per evitare l’effetto della diluizione e in definitiva dell’impotenza dell’Unione europea di fronte alle sfide del ventunesimo secolo, il Movimento europeo ritiene che la definizione di un sistema costituzionale europeo debba essere affidata – dopo un ampio dibattito pubblico che coinvolga parlamenti nazionali e poteri locali, forze politiche, società civile e partner sociali - alla capacità di sintesi democratica del parlamento europeo a nome delle cittadine e dei cittadini che lo eleggeranno nella primavera del 2024 e che questa sintesi venga sottoposta infine al giudizio dei popoli europei in un referendum paneuropeo che avvenga contemporaneamente in tutti i paesi membri dell’Unione europea.
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