Molti esponenti della maggioranza si sono affrettati a dichiarare che il disegno di legge sul cosiddetto regionalismo differenziato non spaccherà il paese perché la noma, in prima lettura al Senato, sarebbe equilibrata. La spaccatura non ci sarebbe perché la riforma prevede Livelli essenziali di prestazione (Lep) uguali per tutte le regioni, comprese quelle che non dovessero essere interessate ad ottenere forme particolare di autonomia sulle materie per cui questa può essere richiesta ai sensi dell’art. 116 della Costituzione.
Secondo alcuni la norma, anche se approvata, sarebbe destinata ad arenarsi. È, infatti, emerso con chiarezza come, al momento, i cosiddetti Lep siano poco più che virtuali poiché non esiste una loro quantificazione economica e, laddove questa ci fosse, non ci sarebbe copertura per le necessarie risorse economiche. Quello che, invece, non è emerso dal confronto è che per alcune materie i Lep esistono solo come “titoli” indicativi e non come parametri quantificabili. Tra queste materie c’è la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema che rimane formalmente tra le materie su cui le regioni possono chiedere l’autonomia, nonostante dal 2022 tali tutele rientrino tra i principi fondamentali della Costituzione.
Se per la tutela dell’ambiente possono essere assunti come riferimento i Livelli essenziali di prestazioni tecniche ambientali (Lepta) adottati a suo tempo dal l’Istituto superiore per la Protezione e ricerca ambientale (Ispra) e dal Sistema delle agenzie regionali per l’ambiente (che comunque sono cosa diversa dai Lep), bisogna sottolineare come per la tutela dell’ecosistema un simile lavoro di base non c’è.
Ad esempio, se da un lato le prestazioni per garantire la protezione dall’inquinamento possono essere definite partendo dai parametri di controllo delle agenzie regionali per l’Ambiente, dall’altro un simile lavoro di parametrazione dei servizi ecosistemici non è altrettanto avanzato ed è impossibile farlo senza il supporto della comunità scientifica. Eppure, la qualità dell’aria e dell’acqua dipendono proprio da questi servizi ecosistemi forniti dagli ambienti naturali che sono spesso trasversali ai confini delle regioni: l’esigenza di una tutela omogenea e coerente di questi ambienti nella loro integrità ed estensione è il presupposto del mantenimento del servizio ecosistemico che garantiscono.
I documenti
Per capire la posta in gioco al di là di ogni interpretazione possibile è utile richiamare le bozze d’intese su cui le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna avevano avviato il confronto con lo stato, prima col governo Gentiloni, e poi con quello Conte. Se tutte e tre le regioni hanno chiesto il trasferimento dei beni demaniali, una maggiore autonomia su rifiuti, bonifiche, energia e valutazioni d’impatto ambientale, sul tema biodiversità Veneto e Lombardia, in particolare, accreditano l’idea che la natura possa essere trattata in modo differenziato in ragione dei confini ammnistrativi.
La regione Lombardia, ad esempio, vorrebbe gestire in piena autonomia l’attività venatoria senza alcun parere dell’organo statale competente (l’Ispra), preposto alla protezione della fauna selvatica che è patrimonio indisponibile dello stato e che non riconosce, di certo, i confini regionali. La stessa regione Lombardia vorrebbe poter consentire nei parchi non solo abbattimenti selettivi, ma anche prelievi faunistici. La regione Veneto, invece, vorrebbe autorizzare la pesca del novellame nelle zone di demanio marittimo quasi che questo non possa poi diffondersi ed interessare altri spazi marittimi; rivendica anche, la potestà legislativa ed amministrativa sulle prospezioni, la ricerca e la coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi con buona pace della subsidenza che com’è noto interessa anche i fondali marini della Regione Emilia-Romagna. Il Veneto, infine, vorrebbe poi acquisire tutte le competenze statali legislative ed amministrative sulla Laguna di Venezia, ma non quelle relative al Mose in modo che i costi di gestione rimangano in capo allo stato.
Sono solo pochi esempi che, però, indicano con chiarezza l’orientamento di parte della politica che persegue l’obiettivo dell’autonomia fiscale giustificandola anche con la necessità di copertura finanziaria delle materie che verrebbero trasferite alle regioni. Da questo gioco tutto politico la tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e della biodiversità anche nell’interesse delle generazioni future, come recita oggi la nostra Costituzione, non può uscirne frammentata e indebolita.
Per la sua natura giuridica il testo di legge sull’autonomia differenziata in discussione non offre garanzie su una tutela ambientale omogenea ed efficace su tutto il territorio nazionale: se approvate, infatti, le disposizioni in discussione avranno forza di legge ordinaria e, pertanto, saranno modificabili in qualsiasi momento anche dalle leggi di ratifica delle intese stato-regioni. Intese che, quindi, potranno derogare su aspetti che ora possono essere richiamati come garanzia.
Sollevato in sede di audizioni in Commissione Affari costituzionali (tra gli altri gli interventi dei costituzionalisti Claudio De Fiores, Damiano Fiorenzano e Camilla Buzzacchi), questo punto non è stato approfondito, lasciando la strada aperta a interrogativi e rischi inaccettabili. E, francamente, non può trattarsi di una svista.
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