Piano piano ci arriviamo, anche se non ci siamo ancora del tutto. Perché se abbiamo capito che servono concorsi pubblici veloci che in cento giorni consentano di reclutare dentro le pubbliche amministrazioni, non è ancora chiarissimo a tutti che serva anche farli in maniera impeccabile: con prove con cui accertare le abilità e le competenze anche organizzative, e prevedendo orali – perché non si può assumere sulla carta, senza un confronto tra chi seleziona e chi si candida! – e magari prove preselettive e selettive dove certamente la tecnologia può giocare un ruolo ma a condizione che tutto il processo sia governato da commissioni di valutazioni fatte di persone di grande qualità, motivate a svolgere questo compito, e remunerate per farlo – e che non siano quindi costrette a farlo in maniera distratta e nei ritagli di tempo.
Questo è ciò che abbiamo scritto nel vademecum Il fattore umano, una guida per fare concorsi pubblici velocemente e bene, che è a disposizione di ogni amministrazione pubblica e che abbiamo presentato alla Camera proprio nelle stesse ore in cui il ministro Brunetta pubblicava il bando per assumere 2800 funzionari al sud.
Serve una riorganizzazione
Da mesi, con Movimenta, ForumPa e Forum Disuguaglianze Diversità stiamo ripetendo che il nodo è sempre lo stesso: senza una Pa rigenerata non c’è accesso ai fondi europei che tenga; non c’è legge buona o incentivo efficace. Perché tutto muore in un passaggio di carte tra due uffici, in un ricorso davanti a un Tar, in un click day. Prima di decidere di iniziare a fare politica e candidarmi alla Camera, ho lavorato per anni tra istituzioni di Bruxelles e i piani alti di più ministeri italiani: ho visto e toccato con mano i meccanismi dentro le burocrazie italiane, le incrostazioni, i compartimenti stagni, la fragilità della nostra macchina pubblica. So che da lì, e solo da lì, possiamo ripartire. E che a tutti i livelli, politici e amministrativi, le cose nuove non si fanno con le persone di sempre.
Poi è arrivato il governo di Mario Draghi, e ce lo ricordiamo ancora tutti – al momento di chiedere la fiducia alla Camere – il messaggio chiaro che ha dato sul protagonismo dei giovani, su come debbano contribuire ad aggiustare e far ripartire il paese. Poche settimane ancora ed eccoci qui, oggi, alle prese con le prove generali: un concorso per reclutare al sud 2800 nuove figure e… migliaia di giovani in rivolta!
Cosa è successo?
Per questo concorso il ministro Brunetta si è evidentemente mosso spinto dalla fretta, perché si è trovato a gestire la pubblicazione di un bando che aspettava da tempo e ha finito per scegliere una procedura “straordinaria” che prevede una preventiva selezione automatizzata per titoli e poi solo una prova scritta con 40 domande a risposta multipla.
Nella fretta di chiudere un procedimento in ritardo tutto questo è, al limite, anche comprensibile, ma è difficilmente condivisibile, soprattutto perché la combinazione di ruolo assegnato ai titoli con valutazione solo automatizzata in tutte le fasi della selezione penalizza tanti giovani che erano pronti a mettersi in gioco e che non hanno così modo di dimostrare il proprio valore.
Addio giovani!
Sui titoli, l’articolo 6 del bando prevede per i punteggi: laurea al massimo 1 punto; master universitari 0,5 o 1 punto a seconda che sia di primo o secondo livello; dottorato 1,5 punti; 1 punto per l’abilitazione ad una professione e 1 punto per ogni anno di lavoro svolto per lavori legati ai programmi europei. Certamente le esperienze contano e vanno apprezzate e premiate, ma così è chiaro quello che succede: addio giovani! Per non parlare del fatto che il messaggio che passa è che sia bene collezionare titoli.
Il risultato finale di questo confondere la fretta con l’urgenza non ha prodotto un gran risultato, e serve adesso capire cosa può essere fatto, nell’immediato su questo concorso e in prospettiva su tutti gli altri, per aggiustare il tiro.
Ho trovato infatti sbagliato anche quanto contenuto all’articolo 10 dell’ultimo decreto Covid, laddove si autorizzano le amministrazioni pubbliche a cambiare i concorsi già banditi. Sbagliato perché vige una regola sacrosanta: le regole del gioco non si cambiano in corsa. Come possiamo chiedere ai cittadini di fidarsi dello stato, se lo stato è il primo a non mantenere la parola?
Attenzione: tutto questo “stato di eccezione” non può chiaramente essere la solida normalità amministrativa che serve all’Italia per le decine di migliaia di posti che dovranno essere messi ora a concorso. Per questi concorsi non si può eliminare il contatto diretto tra chi seleziona e chi è selezionato, né ridurre tutta la selezione a test per quanto perfezionati e a titoli valutati con algoritmi.
Con altri venti deputati siamo anche in attesa che il ministro Brunetta risponda alla nostra interrogazione su che uso intenda fare dell’intelligenza artificiale nei concorsi pubblici. Ho promosso questo chiarimento come coordinatore dell’intergruppo parlamentare sull’intelligenza artificiale e convinto, lo dico a scanso di equivoci, che a certe condizioni l’Ia possa aiutare molto la Pa. Ecco: a certe condizioni!
Ripartiamo allora dal vademecum che abbiamo elaborato – e che contiene anche buoni casi concreti di concorsi pubblici svolti in giro per l’Italia – e lavoriamo tutti per conciliare nei concorsi la velocità con l’uso di strumenti di selezione più adeguati, usando i vantaggi che oggi offrono il digitale e l’intelligenza artificiale, ma lasciando alle commissioni una assunzione di responsabilità, una discrezionalità nel selezionare i migliori dopo una verifica che, specie per le posizioni più qualificate, deve dare un peso non secondario anche alle competenze psico-attitudinali, alle capacità organizzative, e – importantissimo! – alle motivazioni. Guardiamoli in faccia, questi giovani, ad un colloquio orale, sfidandoli non su un elenco di titoli ma su quello che sono pronti a fare per servire la collettività.
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